Lo straniero descrive la nudità dell’uomo davanti all’assurdo.
Albert Camus, Quaderni
Un uomo divenuto cosciente dell’assurdo, è legato a questo per sempre.
Albert Camus, Il mito di Sisifo
1.1. Non è colpa mia
Meursault è un giovane impiegato. Lavora in un ufficio al porto di Algeri. Ha appena perso la «mamma», ma non sa quando precisamente sia morta, se oggi oppure ieri. Forse ieri. Perché la mamma di Meursault non viveva con Meursault, ma in un ospizio a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Così Meursault è costretto a chiedere al suo principale due giorni di permesso. Non può certo rifiutarglieli, «con una scusa così», ma sembra seccato. Allora Meursault gli dice che non è colpa sua. «Non è colpa mia», proprio così gli dice. Ma il principale non risponde, e Meursault pensa che forse non avrebbe dovuto dirglielo, non avrebbe dovuto giustificarsi, e che anzi è lui, il principale, a dovergli fare le condoglianze. Il fatto è che Meursault non vuole mai dispiacere a chi gli sta davanti.
1.2. Sforzi
Nell’ultimo anno Meursault non è andato a trovare la mamma quasi più. Un po’ per l’«abitudine», un po’ perché andare a Marengo significava perdere una giornata intera, la domenica, «senza contare lo sforzo di andare fino alla fermata, comprare i biglietti e fare due ore di viaggio» [1].
La pessima abitudine dell’uomo di giudicare tutto e tutti, e viene in mente Clamence, il protagonista della Caduta, l’ultimo romanzo compiuto di Camus, che questa pessima abitudine la definisce «insopprimibile vocazione» [2], e all’interlocutore dice di non aspettare il Giudizio universale, perché avviene «tutti i giorni» [3], non risparmia neppure i personaggi letterari, ma Lo straniero richiede, in questo senso, uno sforzo: lo sforzo di mettere da parte il giudizio, di sospenderlo, almeno fino alla fine del libro (non sono poi molte pagine, ci si può riuscire), quando finalmente Meursault, confidando «al lettore qualcosa del proprio segreto», gli permetterà di «congetturare» sul suo «atteggiamento profondo» [4]. Fino a quel momento non è giusto, non è onesto farlo. Bisogna resistere centocinquanta pagine, più o meno.
1.3. Non ha importanza
Meursault non vuole vedere la mamma. È lì, nel piccolo obitorio dell’ospizio, imbiancato a calce e coperto da una vetrata, accanto alla bara, ma non vuole che il custode sviti il coperchio e gli mostri la mamma. Al custode, che, «senza biasimo», gli chiede perché, Meursault risponde che non lo sa, il perché. Dice di capire, il custode, e forse è vero.
Il custode ha sessantaquattro anni ed è di Parigi. A Meursault spiega che a Parigi «si resta con il morto tre o addirittura quattro giorni», mentre qui bisogna fare in fretta, per via del caldo:
Qui […] non hai il tempo, non ti sei ancora abituato all’idea e già devi correre dietro al carro funebre (24).
Dice cose «appropriate e interessanti» il custode. Che è, di fatto, un pensionante, anche se lui dice di no. E in effetti sui vecchi dell’ospizio ha dei «diritti».
Il custode propone a Meursault, perché ormai è ora di cena ma Meursault non ha voglia di mangiare, una tazza di caffellatte. Gli piace molto il caffellatte, a Meursault, e così accetta. Dopo averlo bevuto gli viene voglia di fumare, ma esita, non sapendo se possa farlo davanti alla mamma:
Ho riflettuto, e non aveva nessuna importanza. Ho offerto una sigaretta al custode e abbiamo fumato (25).
In fondo è un buon compagno di veglia il custode. Poteva andare peggio, a Meursault.
Non ha importanza; non significa niente. Frasi, o meglio formule, che Meursault ripete spesso e il cui senso verrà chiarito alla fine dell’opera. Meursault è un fenomeno umano molto più complesso di quanto possa sembrare all’inizio dello Straniero. Ciò che appare come indifferenza, noncuranza, superficialità, negligenza, «insensibilità» – e poiché tale appare, tale verrà giudicato dalla società, legata sempre più alla forma che alla sostanza, alla convenzione, all’etichetta -, è in realtà consapevolezza, una spietata e drammatica consapevolezza metafisica. E in fondo è come se Lo straniero fosse un lunghissimo prologo alla conclusiva espressione di questa consapevolezza.
In compagnia del custode, dell’infermiera sfigurata dal cancro e degli amici della mamma, una decina di pensionanti di cui non si vedono gli occhi, «ma solo una luce smorta in un nido di rughe», Meursault veglia la mamma per tutta la notte, appisolandosi di tanto in tanto nella luce artificiale del piccolo obitorio.
1.4. Una tregua malinconica
Del piccolo corteo funebre che accompagna la salma della mamma di Meursault alla chiesa di Marengo, fa parte anche Thomas Pérez, l’unico pensionante al quale il direttore dell’ospizio ha dato l’autorizzazione di partecipare al funerale. Non si lasciavano mai, Pérez e la mamma di Meursault. Spesso, la sera, accompagnati da un’infermiera, facevano una passeggiata fino al paese. E osservando il paesaggio circostante, «le linee dei cipressi che portavano alle colline vicino al cielo, e quella terra rossa e verde, e quelle case rade e ben disegnate», Meursault comprende la mamma:
La sera, in quel paese, doveva essere come una tregua malinconica (32).
Il giorno, invece, il sole «esasperato» fa «vibrare il paesaggio» rendendolo «disumano e deprimente».
1.5. Così così
Durante il corteo un addetto delle pompe funebri rivolge la parola a Meursault. Dopo aver constatato che il sole «picchia» – se non lo avesse fatto, Meursault non se ne sarebbe accorto, c’è da scommetterci -, gli chiede se è sua madre «quella», e se fosse vecchia. «Così così», risponde Meursault, che non ricorda l’età esatta della mamma.
1.6. Nebbia
Il bagliore del cielo è «insopportabile». Il sole è così forte da squagliare l’asfalto fresco, nel quale i piedi affondano lasciando aperta la sua «polpa scintillante». A Meursault pare che anche il cappello del cocchiere sia «intinto in quel fango nero». Non è lucido Meursault, ed è una sua caratteristica questa, perdere lucidità quando il sole è troppo forte:
Ero un po’ sperduto fra il cielo blu e bianco e la monotonia di quei colori, nero gelatinoso dell’asfalto aperto, nero smorto degli indumenti, nero laccato del carro. Tutto questo, il sole, l’odore di cuoio e sterco del carro, quello della vernice e quello dell’incenso, la stanchezza di una notte d’insonnia, mi annebbiava lo sguardo e le idee (33-34).
1.7. Non c’è via d’uscita
C’è anche un’infermiera nel corteo funebre. La sua voce, «melodiosa e tremante», non lega con il suo viso, «lungo e ossuto». Ecco, di rado le cose sono come appaiono, e Meursault verrà condannato senza mai essere ascoltato. Ma di questo più avanti.
Tornando all’infermiera, ha ragione quando, all’ingresso del paese, dice a Meursault che «se si va adagio, si rischia l’insolazione. Ma se si va troppo in fretta, si suda e poi in chiesa si piglia un colpo di freddo» (34). Non c’è via d’uscita. E in questa trappola non si trovano soltanto Meursault, l’infermiera, Pérez che arranca e sembra cedere da un momento all’altro e gli altri componenti del corteo funebre che accompagna la salma della mamma di Meursault alla chiesa di Marengo. Sarà certamente superfluo, forse persino offensivo sottolinearlo, ma la condizione di Meursault, dell’infermiera, di Pérez e degli altri, sotto quel sole «esasperato» che squaglia l’asfalto e annebbia sguardo e idee, è la condizione umana.
1.8. Il dolore e la gioia
Non cadono, a causa delle rughe profonde come solchi, non cadono le «grosse lacrime di stizza e dolore» che scorrono sulle guance di Pérez quando, per l’ultima volta, nella sua rincorsa affannata, si ricongiunge al corteo funebre poco prima di entrare in paese. Non cadono, ma si ammassano l’una sull’altra e creano «un velo d’acqua sul suo viso distrutto». Una delle tante immagini che restano a Meursault di quella interminabile giornata. Un’altra immagine, l’ultima, è la sua «gioia quando l’autobus è entrato nel nido di luci di Algeri e ho pensato che mi sarei coricato e avrei dormito per dodici ore» (35).
NOTE
[1] Albert Camus, Lo straniero, traduzione di Sergio Claudio Perroni, Bompiani, Milano 2016, p. 21. D’ora in avanti il numero di pagina tra parentesi nel corpo del testo.
[2] Albert Camus, La caduta, traduzione di Yasmina Melaouah, Bompiani, Milano 2021, p. 51.
[3] Ivi, p. 72. Per un approfondimento sul romanzo rimando al contributo Albert Camus, «La caduta»: un falso profeta nel deserto dell’assurdo – Prima parte, Seconda parte.
[4] Albert Camus, Taccuini, traduzione di Ettore Capriolo, Bompiani, Milano 2018, p. 168.