Non sentiva più nulla: la notte era assolutamente silenziosa. Ascoltò di nuovo: silenzio perfetto. Sentì che era solo.
I
A Mr Duffy, James Duffy, non piace Dublino. Non gli piacciono i suoi sobborghi, così «meschini, moderni e pretenziosi». Tutti, tranne uno, Chapelizod, dove abita, in una «vecchia casa tetra» dalla cui finestra si può «cogliere con lo sguardo l’interno di una distilleria abbandonata, o risalire il magro corso del fiume sul quale sorge la città di Dublino». Nell’emarginazione residenziale di Mr Duffy si riflette la sua emarginazione spirituale. Non è un dubliner consueto Mr Duffy, nient’affatto, e basta dare un’occhiata alla sua stanza per capirlo. Una stanza dalle pareti alte e nude e dalla mobilia essenziale, acquistata personalmente da Mr Duffy: «un letto di ferro nero, un lavabo di ferro, quattro sedie di vimini, un attaccapanni, un secchiello per il carbone, un parafuoco con gli alari e un tavolo quadrato con un doppio scrittoio» [1]. Ha una libreria, una vera libreria nella sua stanza Mr Duffy, fatta di assi di legno chiaro, sulla quale i libri sono ordinati dal basso verso l’alto secondo la grandezza. Alle due estremità della libreria si trovano, nella parte inferiore le opere complete di Wordsworth, nella parte superiore il Catechismo di Maynooth. No, non è proprio un dubliner consueto Mr Duffy. Inoltre sul tavolo non manca mai l’occorrente per scrivere e nel cassetto è conservata una traduzione, scritta a mano, del Michael Kramer di Hauptmann, con le indicazioni di regia scritte in violetto. Dunque il nome, James, non è l’unico elemento che Joyce condivide con Mr Duffy: come testimonia Svevo nella sua celebre conferenza del 1927, lo scrittore irlandese considerava Hauptmann il più grande drammaturgo vivente, insieme a Ibsen [2].
Come mostra la sua libreria, e più in generale la sua stanza, detesta il disordine, fisico e mentale, Mr Duffy. Di «temperamento saturnino»: così lo avrebbe definito un medico del medioevo. Il suo volto, che narra «per intero la storia dei suoi anni», ha il «colore scuro delle strade di Dublino» (non deve essere piacevole vedere i toni cupi e disperanti di Dublino riflessi nel proprio viso, come se non bastasse attraversarli ogni sacrosanto giorno per andare e venire dal lavoro). Sulla testa di Mr Duffy, «piuttosto lunga e larga», spuntano capelli «secchi e neri», mentre i baffetti rossicci non riescono a nascondere del tutto una «bocca poco gradevole». Ha una generale «espressione di durezza» il volto di Mr Duffy, che però non compare nei suoi occhi. Occhi che, «guardando il mondo da sotto le sopracciglia rossicce», lo fanno sembrare come uno che aspetti «sempre negli altri dei moti di redenzione, pur rimanendone spesso deluso». Vive «a una certa distanza dal proprio corpo» Mr Duffy, «osservando ogni suo atto con dubbiose occhiate di sbieco», e ha una «strana abitudine autobiografica» che a volte lo porta «a formulare nella mente un breve pensiero su se stesso, costituito da un soggetto in terza persona e da un verbo al passato» [3]. Si osserva Mr Duffy, e non deve essere molto indulgente con se stesso, come non lo è con gli altri: non fa mai la carità ai mendicanti.
Da molti anni lavora come cassiere in una banca di Baggot Street Mr Duffy. Ogni mattina si reca a lavoro in tram, a mezzogiorno pranza da Dan Burke con biscotti d’avena e una bottiglia di birra chiara, alle quattro è libero. Cena in una trattoria di George Street, «al riparo dalla gioventù dorata di Dublino», che immaginiamo lo irriti profondamente, e passa le serate davanti al piano della padrona di casa oppure girovagando per la periferia della città. Amante di Mozart, altro elemento in comune con Joyce, talvolta assiste a un’opera o a un concerto: «gli unici sperperi della sua vita».
È solo Mr Duffy, e ateo. Non ha compagni né amici, né chiesa né fede. Vive la propria vita spirituale, decisamente più ricca e movimentata della vita esteriore, «senza cercare la comunione con gli altri, visitando i parenti a Natale e accompagnandoli al cimitero quando muoiono». Adempie «questi due obblighi sociali solo per una questione di buona morale» Mr Duffy, senza concedere altro alle «convenzioni che regolano la vita civile». Dalle convenzioni è libero Mr Duffy, la sua emarginazione è volontaria e consapevole. Scorre lineare, senza scossoni la sua vita, «come un racconto privo di avventure» [4].
II
È una donna, Mrs Sinico, a rendere Mr Duffy protagonista di un racconto degno di essere narrato. Ha quasi quarant’anni Mrs Sinico e il suo volto, bello un tempo, conserva un’«aria intelligente». La forma è ovale, i lineamenti molto marcati. Gli occhi sono «blu e fermi», lo sguardo mostra a tratti, quasi senza volerlo, un «temperamento di grande sensibilità». È sposata Mrs Sinico, con il capitano di una nave mercantile che fa la spola tra Dublino e l’Olanda, e ha una figlia. È proprio in compagnia della figlia che Mr Duffy incontra Mrs Sinico, una sera alla Rotunda. Nella stanza semivuota e silenziosa i due, avvicinati dal caso, scambiano qualche battuta. Finisce lì. Si rivedono qualche settimana dopo, a un concerto a Earlsfort Terrace, e fanno amicizia. Al terzo incontro, ancora una volta decretato dal caso, Mr Duffy trova il coraggio di fissare un appuntamento. È il primo di una lunga serie d’incontri. Incontri che dapprima avvengono in luoghi tranquilli, al riparo da occhi indiscreti, poi a casa di Mrs Sinico, perché detesta ricorrere ai sotterfugi Mr Duffy. Per il capitano Sinico non ci sono problemi: crede che sia un pretendente della figlia Mr Duffy. Ha «escluso con tanta naturalezza la moglie dalla sfera dei piaceri» il capitano Sinico, da non sospettare neppure che un uomo possa provare interesse per lei. Anche quello dei coniugi Sinico è dunque un matrimonio insoddisfacente e fallimentare, come tutti i matrimoni dei Dubliners, completamente privi di valore, «se non quello di servire a puntellare una società che altrimenti cadrebbe a pezzi» [5]. È soprattutto nell’istituzione matrimoniale che emerge la meschinità dei rapporti umani rappresentati da Joyce in Gente di Dublino, naturale conseguenza di un processo di degradazione della vita spirituale al quale non sembra esserci soluzione. Nella Dublino di Joyce un uomo dalla vita spirituale ricca e intensa come Mr Duffy è portato necessariamente alla solitudine e all’emarginazione.
Ma ora ha incontrato Mrs Sinico Mr Duffy, e tra i due nasce un legame profondo e intimo. I pensieri di Mr Duffy si aggrovigliano con quelli di Mrs Sinico, alla quale presta libri, stimolandola e rendendola partecipe della propria vita intellettuale. Pende dalle labbra di Mr Duffy Mrs Sinico. Condividono le proprie esperienze esistenziali i due, e Mr Duffy racconta a Mrs Sinico di quando partecipava alle riunioni del Partito socialista irlandese. Si sentiva un pesce fuor d’acqua in quelle riunioni Mr Duffy. Troppo seri gli operai, troppo timorosi, troppo concentrati sul problema dei salari dunque troppo materialisti:
Aveva l’impressione che fossero dei realisti ostinati e che mal sopportassero ogni argomentazione rigorosa, in quanto frutto evidente di un agio al di là della loro portata [6].
È un idealista ostinato Mr Duffy, e così come vive a una certa distanza dal proprio corpo, vive a una certa distanza dalla realtà. È completamente immerso nella dimensione spirituale e dinanzi alla materia si ritrae sdegnato. Ma la vita è anzitutto materia, e anche questo spiega la solitudine e l’emarginazione di Mr Duffy. È un uomo astratto Mr Duffy. C’è qualcosa dell’uomo superfluo russo in lui [7]. Anche se lui il suo posticino nel mondo se l’è ritagliato. In ciò è stato pragmatico e previdente Mr Duffy, ha compreso quali sono le reali necessità di un uomo moderno: uno stipendio sicuro anzitutto.
Domanda a Mr Duffy perché non metta per iscritto i propri pensieri Mrs Sinico. Risponde con un certo sdegno Mr Duffy:
Perché mai avrebbe dovuto mettersi in competizione con tutti quei pennivendoli che non erano nemmeno capaci di reggere un pensiero per più di sessanta secondi consecutivi? Sottomettersi alle critiche di un ottuso ceto medio che affidava la propria moralità ai poliziotti o la propria arte agli impresari? [8].
Meglio tenerseli per sé i propri pensieri. Renderli pubblici significherebbe svilirli e sottoporli al massacro di un pubblico meschino, limitato, bigotto. Non è all’altezza di Mr Duffy l’Irlanda. Ma Mrs Sinico sì. Va a trovarla spesso nel suo cottage fuori Dublino Mr Duffy, per il quale la compagnia della donna è ormai necessaria «come la terra calda per una pianta esotica». Il buio, l’isolamento, la musica uniscono Mr Duffy e Mrs Sinico, ogni giorno di più. Il loro legame smussa gli angoli spigolosi del carattere di Mr Duffy e riempie di commozione la sua vita interiore. Pensa di poter «assurgere a una statura angelica» agli occhi di Mrs Sinico Mr Duffy, e mentre lega sempre più strettamente a sé la «fervida natura della compagna», percepisce dentro di sé una «voce strana e impersonale», la sua voce, che gli parla insistentemente della «insanabile solitudine dell’anima»:
Non è possibile donarsi, diceva la voce: si appartiene solo a se stessi [9].
Sembra volerlo convincere del contrario Mrs Sinico, afferrando con «passione» la sua mano e premendosela sulla guancia. In questo gesto semplice e bellissimo, tenero, discreto e al tempo stesso appassionato, è tutta Mrs Sinico, vittima e prigioniera di una vita vuota e insoddisfacente, di un matrimonio fallimentare che agli occhi del marito l’ha resa qualcosa di molto simile a uno scarto umano. Ha bisogno di un’anima affine che le faccia compagnia e la faccia stare bene Mrs Sinico, un’anima che si doni a lei e alla quale lei possa donarsi, stringendo un legame autentico e profondo. Ha bisogno che qualcuno le salvi la vita Mrs Sinico, che la tragga in salvo da quella paralisi sociale, culturale e spirituale di cui è vittima, anche lei, come tutti gli altri Dubliners. Ha bisogno di un appiglio Mrs Sinico, al quale potersi aggrappare per non sprofondare nel nulla, nel vuoto, nell’insoddisfazione, nella tristezza della propria vita, meschina e insulsa. Avrebbe meritato di più Mrs Sinico, avrebbe meritato di avere accanto un uomo che comprendesse la sua bellezza e la sua sensibilità. Questo uomo non poteva essere il capitano Sinico, e non è neppure Mr Duffy.
Il gesto semplice e bellissimo, tenero, discreto e al tempo stesso appassionato di Mrs Sinico colpisce negativamente Mr Duffy. Ha interpretato in modo troppo semplicistico, troppo convenzionale, romanticamente dozzinale le parole di Mr Duffy Mrs Sinico e questo delude l’uomo nel profondo. Si dicono addio Mr Duffy e Mrs Sinico, in una fredda giornata d’autunno:
Convennero che fosse opportuno interrompere la relazione; ogni legame, disse lui, è una condanna al dolore. All’uscita dal parco, camminarono in silenzio verso la fermata del tram, ma quando vi giunsero, lei prese a tremare con una tale agitazione che lui le disse addio sbrigativamente e la lasciò, temendo che lei perdesse di nuovo il controllo di sé. Pochi giorni dopo ricevette un pacco coi suoi libri e i suoi spartiti musicali [10].
La reazione di Mr Duffy al gesto semplice e bellissimo di Mrs Sinico, alla richiesta d’aiuto fiduciosa e tenera di Mrs Sinico, dimostra tutta la sua inadeguatezza, tutta la sua astrattezza e autoreferenzialità. Non conosce l’animo umano Mr Duffy, prigioniero dell’ideale, non comprende il dolore, la solitudine e la disperazione di Mrs Sinico. Nella sua straordinaria sensibilità femminile, Mrs Sinico comprende ciò che, come scrive l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij, una donna comprende sempre prima di ogni altra cosa, se ama sinceramente, e cioè: che Mr Duffy è infelice. Dell’infelicità di Mr Duffy intende farsi carico Mrs Sinico, e alleviarla con il suo amore, ma lui si ritrae sbalordito e deluso. Troppa materia, troppo corpo in quel contatto e in quella carezza. Ciò che vale per Mrs Sinico non vale per Mr Duffy: lui non comprende quanto lei sia infelice. Mr Duffy comprende solo se stesso, e neanche per intero. La conoscenza dell’animo umano se l’è preclusa da tempo.
È fatta di sangue e carne Mrs Sinico, come ogni donna, o meglio, come ogni essere umano autenticamente tale; il proprio dramma esistenziale lo vive con il corpo oltreché con lo spirito, ma non lo comprende Mr Duffy. È troppo astratto, troppo premeditato, troppo autoreferenziale, come l’uomo del sottosuolo, per comprenderlo. Ma non la passerà liscia Mr Duffy. Non il legame, ma la separazione, per una creatura viva e reale come Mrs Sinico è una condanna al dolore.
III
Passano quattro anni. È tornato alla sua «tranquilla routine quotidiana» Mr Duffy. Come sempre c’è ordine nella sua mente e nella sua stanza. Avventure come quella con Mrs Sinico non si sono ripetute. Due opere di Nietzsche sono comparse sugli scaffali della sua libreria, Così parlò Zarathustra e La gaia scienza (chissà cosa ha pensato Mr Duffy leggendo il celebre aforisma numero 125 della Gaia scienza, in cui Nietzsche annuncia la morte di Dio, qualcosa del tipo: “Lo sapevo io, l’ho sempre saputo”). Non si reca più ai concerti Mr Duffy, per timore d’incontrare Mrs Sinico. Segno che qualcosa nella sua coscienza si è incrinato. Suo padre è morto, un socio della banca si è ritirato, eppure continua a recarsi ogni mattina in città col tram Mr Duffy, e a tornare a piedi ogni sera dopo aver cenato frugalmente in George Street e aver letto il giornale «come dessert».
È proprio durante una delle sue parche cene che una notizia letta sul giornale pietrifica Mr Duffy. Lo stomaco gli si chiude di colpo ed egli lascia la trattoria. Torna a casa, dove legge e rilegge l’articolo. Morte di una signora a Sydney Parade: è questo il titolo del pezzo. E questo il sottotitolo: Un increscioso incidente. La signora protagonista del deplorevole – il giudizio ipocrita e meschino della società dublinese non risparmia neppure i morti – fatto di cronaca nera è Mrs Sinico, travolta e uccisa da un treno. Probabilmente si è tolta la vita. Prima che sotto un convoglio, si era gettata a capofitto nell’alcol Mrs Sinico, come testimonia la figlia. Usciva ogni sera per comprare alcolici. In quei quattro anni si è distrutta Mrs Sinico.
Leggendo della fine scandalosa della donna prova disgusto Mr Duffy. Lo disgusta la descrizione di quella morte, così volgare, così dozzinale, e soprattutto il «pensiero di aver potuto parlare a una donna simile di cose che in cuor suo riteneva sacre». Non c’è pietà in Mr Duffy, non c’è tristezza, ma un profondo disprezzo, perché con quella fine incresciosa Mrs Sinico non ha trascinato nel fango soltanto se stessa, ma anche lui:
La immaginò mentre si abbandonava squallidamente a quel vizio così miserabile e maleodorante [il vizio per eccellenza dei Dubliners]. La compagna della sua anima! Gli vennero in mente quei disgraziati che aveva visto entrare barcollando nelle mescite per farsi riempire fiaschi e bottiglie. Santo Dio, che fine! Evidentemente era una persona incapace di vivere, senza forza di volontà, facile preda delle abitudini, uno dei tanti relitti su cui poggia la civiltà. Ma cadere così in basso! Possibile si fosse ingannato a tal punto su di lei? Ricordò il gesto improvviso di quella sera e lo interpretò in modo molto più severo di quanto non avesse fatto allora. Non gli era difficile adesso capire quanto fosse stata giusta la decisione presa [11].
Scosso nei nervi oltreché nella testa Mr Duffy, dopo aver abbattuto la scure della propria intransigente rettitudine su Mrs Sinico, indossa il soprabito, il cappello ed esce. Infreddolito, entra nella mescita di Chapelizod Bridge e ordina un punch. Ricorda la sua vita con Mrs Sinico Mr Duffy, rievoca le due immagini che ha di lei, quella ideale e quella miserabile, e finalmente si rende conto che Mrs Sinico è morta, che ha cessato di vivere ed è diventata un ricordo. Leggendo e rileggendo la notizia e la descrizione della sua morte, non aveva questa consapevolezza Mr Duffy, perché nella sua mente ordinata, astratta e statica tra la vita e la morte non c’è alcuna differenza. Il corpo è abolito dalla mente di Mr Duffy, dalla sua concezione del mondo e della vita, popolata di parole, di pensieri, d’idee, d’immagini inconsistenti. L’improvvisa consapevolezza della morte di Mrs Sinico, della sua dissoluzione fisica cambia la percezione delle cose, riportandole finalmente su un piano reale. La morte costringe Mr Duffy a considerare Mrs Sinico per ciò che era e che lui non ha saputo vedere né comprendere: una donna di sangue e carne, dotata di un corpo e animata dalla necessità di tradurre in pratica il proprio amore. Le cose cambiano. Non sente più disgusto Mr Duffy, ma disagio. Finalmente comprende Mrs Sinico e il suo dramma, di cui, nella sua passata incoscienza, ha scritto senza rendersene conto il quinto atto:
Ora che se n’era andata, capì quanto doveva esser stata solitaria la sua vita, seduta là, in quella stanza, tutta sola, sera dopo sera. Anche la sua sarebbe stata una vita solitaria finché lui pure non fosse morto, finché non avesse cessato di vivere, divenendo solo un ricordo, sempre che ci fosse stato qualcuno a ricordarlo [12].
Scopre la tristezza della vita di Mrs Sinico Mr Duffy, e della propria, di vita. Sono le nove passate quando lascia il locale e s’inoltra nel parco, sotto gli alberi nudi, nella notte fredda e cupa. Sente Mrs Sinico accanto a sé Mr Duffy: in quegli stessi viali, quattro anni prima, le ha detto addio. Sente la sua voce Mr Duffy, e persino la sua mano. Comprende la portata e il significato terribile della morte di Mrs Sinico nella propria vita Mr Duffy, che si pone quesiti che dimostrano come dentro di lui si agitino sentimenti quali il rimorso e il senso di colpa:
Perché le aveva sottratto la vita? Perché l’aveva condannata a morire? Sentiva la sua natura mortale crollare a pezzi [13].
La morte di Mrs Sinico è un colpo durissimo per Mr Duffy. Qualcosa dentro di lui si spezza per sempre; il suo edificio interiore, così perfetto e ordinato, collassa. È un collasso esistenziale il suo. La vista, nel parco, di alcune figure sdraiate, di amori «venali e furtivi» lo precipita nella disperazione. Maledice se stesso, la propria natura e rimpiange Mrs Sinico Mr Duffy:
Inveì contro la rettitudine della propria esistenza; sentiva di essere un escluso dal banchetto della vita. Una sola creatura pareva averlo amato e lui le aveva negato vita e felicità, condannandola all’ignominia e a una morte vergognosa [14].
Nessuno vuole Mr Duffy: è stato escluso per sempre dal banchetto della vita. Avrebbero potuto salvarsi lui e Mrs Sinico, salvarsi l’un l’altro, ma Mrs Sinico non è più. Come per una sorta di meccanismo di autodifesa, attivatosi dopo la consapevolezza, mette in dubbio ciò che la memoria gli racconta Mr Duffy. Si ferma sotto un albero e ascolta. Non sente più niente:
Non la sentiva più accanto a sé nell’oscurità e nemmeno sentiva più la sua voce lambirgli l’orecchio. Rimase in ascolto ancora per qualche minuto. Non sentiva più nulla: la notte era assolutamente silenziosa. Ascoltò di nuovo: silenzio perfetto. Sentì che era solo [15].
Separandosi da lei, dicendole addio per sempre, Mr Duffy ha condannato Mrs Sinico al dolore, alla solitudine, alla disperazione, alla morte, e ora si avvede di aver condannato anche se stesso con lei. È finita per Mr Duffy. Fino alla fine dei suoi giorni, mai come prima d’ora così imminente, il ricordo della povera Mrs Sinico lo tormenterà come uno spettro. L’oblio all’insegna del quale si conclude il racconto appare soltanto un palliativo.
L’articolo di cronaca che riporta la notizia e la descrizione della morte di Mrs Sinico, che informa i Dubliners dell’increscioso incidente lusingando la loro ipocrita e meschina necessità di giudicare e inorridire, si conclude con le seguenti parole: «Nessuno è ritenuto responsabile». In realtà un responsabile morale c’è, oltre alla società naturalmente, anche se nessuno lo saprà mai, ed è Mr Duffy. È lui stesso a giudicarsi tale. Niente sarà più come prima per Mr Duffy, e il sentimento della propria responsabilità nella morte dell’unica donna capace di comprenderlo e amarlo, forse finirà per schiacciarlo.
È un grande dramma della solitudine e dell’incomprensione Un increscioso incidente di Joyce. A Mr Duffy accade ciò che accade a molti, troppi di noi, se non a tutti: comprendiamo le cose quando ormai è troppo tardi, quando i giochi sono fatti e tornare indietro non è più possibile. Dovremmo morire e poi risorgere per rimediare a tutto il dolore delle nostre esistenze. Ma il tempo delle resurrezioni è passato da un pezzo. Dio è morto, ancor prima che lo annunciasse Nietzsche, e l’uomo con lui [16]. Come scrive l’uomo del sottosuolo, un altro che condanna l’unica donna disposta ad amarlo al dolore, alla solitudine e alla disperazione, in conclusione delle sue Memorie, «Siamo dei nati morti, noialtri, ed è già da tanto tempo che nasciamo da padri che non sono più vivi» [17].
NOTE
[1] James Joyce, Gente di Dublino, traduzione di Daniele Benati, Feltrinelli, Milano 2021, p. 98.
[2] «Il Joyce conosceva la nostra lingua e letteratura prima d’arrivare a Trieste. Io conosco un articolo di Joyce diciottenne in cui è citato il Nolano. V’è nello stesso articolo qualche cosa ch’è una evidente imitazione dell’Alighieri. Dice: Due sono i grandi drammaturghi viventi, Ibsen e Hauptmann, e il terzo quando sarà la sua ora interverrà anche lui» (Italo Svevo, Conferenza su Joyce, in James Joyce, Gente di Dublino, cit., pp. VIII-IX. Per un approfondimento sul testo rimando al contributo L’artista in rivolta. Svevo racconta Joyce – Prima parte, Seconda parte).
[3] James Joyce, Gente di Dublino, cit., p. 99.
[4] Ivi, p. 100.
[5] Daniele Benati, Una storia curiosa, in James Joyce, Gente di Dublino, cit., p. XLVI.
[6] James Joyce, Gente di Dublino, cit., p.101.
[7] Per un approfondimento su questa figura tipica della letteratura russa dell’Ottocento rimando al contributo Ivan Turgenev, «Diario di un uomo superfluo»: la triste storia di Čulkaturin.
[8] James Joyce, Gente di Dublino, cit., p.102.
[9] Ibidem.
[10] Ivi, pp. 102-103.
[11] Ivi, p. 106.
[12] Ivi, p. 107.
[13] Ibidem.
[14] Ivi, pp. 107-108.
[15] Ivi, p. 108.
[16] Come scrive Svevo nella sua Conferenza, il Dedalus-Joyce dell’Ulisse, ben più maturo di quello del Ritratto, soffre «di dover ritenere che priva di fede l’umanità non possa essere considerata altro che un allevamento di animali sudici», e lotta «con sé stesso tentando di riempire il vuoto doloroso lasciato dalla fede» (Italo Svevo, Conferenza su Joyce, cit., p. XVIII).
[17] Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, a cura di Igor Sibaldi, Mondadori, Milano 2014, p. 174.