Mi ricordo […] in piedi nella piazza d’armi Semënovskij, in mezzo ai compagni condannati a morte come me, e che, vedendo i preparativi, mi resi conto che mi rimanevano soltanto cinque minuti di vita. Ma questi minuti mi apparivano come anni, decenni di vita, cosicché mi rimaneva ancora molto tempo da vivere! Ci avevano fatto indossare la camicia dei condannati a morte e ci avevano messo in fila per tre. Io ero l’ottavo della terza fila. I primi tre erano già stati legati ai pali. In due o tre minuti le due prime file sarebbero state fucilate e poi sarebbe toccato a me. Mio Dio, come desideravo vivere in quel momento! Come mi era cara la vita, quanto di buono e di bello avrei potuto ancora fare! Mi tornò alla mente tutto il mio passato, come ne avevo fatto un uso non del tutto buono, provai un tale desiderio di sperimentare ancora tutto di nuovo e di vivere a lungo, a lungo… Ma a un tratto arrivò la revoca della sentenza e io ripresi coraggio. I miei compagni furono slegati dai pali e riportati al loro posto. Venne letta la nuova sentenza: io ero stato condannato a quattro anni di lavori forzati. Non ricordo un giorno più felice di quello! Andavo avanti e indietro per tutta la casamatta nel rivellino Alekseevskij cantando a squarciagola, tant’ero felice per la vita che mi era stata donata!
Dostoevskij alla giovane stenografa Anna Grigor’evna, sua futura moglie, durante il loro secondo incontro.
Sì, anche Dostoevskij un giorno cantò a squarciagola. Perché la vita è vita ovunque, purché sia vita.