Illustrazione di Yepifanov

Aleksandr Puškin, «La donna di picche»: l’ossessione di Germann

Il tre, il sette e l’asso non uscivano dalla sua testa e sorgevano sulle sue labbra.

Introduzione. Scritto nel 1833 e pubblicato l’anno successivo nella «Biblioteca per la lettura», La donna di picche rappresenta uno dei migliori risultati narrativi di Puškin. Il racconto, dallo stile chiaro ed essenziale, impreziosito dalla sottile ironia puškiniana, si caratterizza per il perfetto, ideale equilibrio tra l’elemento fantastico, di derivazione romantica, e l’elemento realistico, producendo «un’impressione quasi musicale», come scrive Slonimskij, che inoltre associa La donna di picche, per la maestosa fusione tra queste due linee narrative, a una cattedrale gotica: «Per la sua severa nettezza di composizione, La donna di picche si avvicina alle opere architettonico-musicali» [1].

Come nota giustamente Nori, leggendo i racconti di Puškin la cosa che stupisce e affascina di più «è che furono scritti quando la letteratura russa dell’Ottocento non esisteva» [2]. In questo senso, possiamo considerare La donna di picche, insieme alle altre grandi – per certi versi miracolose, considerando il contesto sociale e artistico – opere di Puškin come l’Evgenij Onegin [3], I racconti di Belkin e La figlia del capitano, uno dei testi fondanti della letteratura russa del XIX secolo, «una delle fasi creative più intense che il genere umano ricordi» [4].

I. Germann è un giovane ufficiale del Genio, figlio di un tedesco «russificato» che gli ha lasciato un piccolo capitale. Riservato e ambizioso, ha grandi passioni e un’immaginazione «ardente», domate dalla sua fermezza: deciso a consolidare e incrementare la propria indipendenza, Germann vive del solo stipendio e, a differenza dei suoi coetanei, non si concede il minimo capriccio. Così, pur essendo un «giocatore nell’anima», non ha mai preso in mano una carta e si limita a osservare, per ore e ore, i compagni seduti al tavolo da gioco. A chi gli domanda il perché di questa singolare condotta risponde: «non sono in condizione di sacrificare il necessario nella speranza di acquisire il superfluo» [5]. La parte teutonica del protagonista, razionale, calcolatrice, fredda è in pieno controllo. È un aneddoto, raccontato da Tomskij durante una delle tante notti invernali passate inavvertitamente, tra il gioco e lo champagne, a risvegliare la parte russa, romantica, passionale, tenebrosa, dall’immaginazione fervida, galoppante, travolgente di Germann: secondo Tomskij sua nonna, vecchia contessa bisbetica, sarebbe a conoscenza di un segreto, rivelatole a Parigi dal fantomatico conte Saint-Germain, singolare personaggio che dichiarava di avere duemila anni e di aver conosciuto Cristo, che garantirebbe una vittoria certa alle carte. Il racconto, che introduce l’elemento fantastico all’interno della novella puškiniana, colpisce Germann nel profondo, lo cattura, come una sorta di diabolico sortilegio, e diviene il suo pensiero dominante: la razionalità, il calcolo e la freddezza cedono il passo al sogno di una ricchezza semplice e immediata. Nel sonno tormentato gli appaiono le carte, i tavoli da gioco, pile di banconote e mucchi di monete d’oro; vede se stesso giocare, puntare, raddoppiare e vincere cifre enormi. È con questa fantasia meravigliosa che il protagonista vaga per le strade di Pietroburgo e si avvicina alla casa della contessa, come se una «forza misteriosa» lo attiri verso di lei. Come avvicinare la vecchia signora? Come carpirle il segreto delle tre carte vincenti? L’occasione è rappresentata da una graziosa testolina dai capelli neri, che Germann nota a una finestra: gli sguardi dell’ufficiale e della giovane s’incontrano, ed è questo momento che decide la sorte del protagonista.

II. Germann è fortunato: la graziosa testolina accuratamente pettinata, il visino fresco e gli occhi neri sono di Lizaveta, povera protetta della contessa e, soprattutto, «giovane sognatrice» influenzata dai romanzi. Il protagonista si presenta sotto la sua finestra ogni giorno e tra i due inizia presto una corrispondenza. Predisposta all’amore, grazie alle letture e alla sua condizione miserevole, Lizaveta fissa presto un appuntamento notturno a Germann, nella sua camera, approfittando della partecipazione della contessa a una festa. Guidato dalla giovane, il protagonista s’intrufola in casa, ma, invece di recarsi nella stanza di Lizaveta, si nasconde in quella della contessa, aspettando il suo ritorno. Dopo ore d’attesa Germann si materializza dinanzi alla vecchia signora, naturalmente terrorizzata, e la prega di rivelargli il segreto, appellandosi al suo buon cuore di sposa, di amante, di madre, e dichiarandosi pronto a farsi carico del suo peccato, qualora ce ne fosse bisogno (ecco l’«ardente» immaginazione del protagonista, che in un certo senso contiene in sé, nella sua natura russo-tedesca, divisa, lacerata i due piani narrativi esemplarmente fusi da Puškin nella Donna di picche, quello fantastico-romantico e quello realistico):

Mi sveli il suo segreto! A che le serve? Può darsi che sia legato a un orribile peccato, alla perdita eterna della beatitudine, a un contratto col diavolo… Pensi: lei è vecchia, non ha molto da vivere, sono pronto a prendere il suo peccato sulla mia anima. Mi sveli solo il suo segreto. Pensi che la felicità di un uomo si trova nelle sue mani [6].

Le preghiere non sortiscono l’effetto sperato e Germann ricorre alle maniere forti, minacciando la contessa, la quale giura che la storia delle tre carte è solamente uno scherzo, con una pistola: la vecchia signora muore dallo spavento, letteralmente. Il protagonista si reca da Lizaveta e, seduto sul davanzale della finestra, le braccia incrociate e lo sguardo minacciosamente cupo, in tutto e per tutto simile a Napoleone, ma con l’anima da Mefistofele, come lo ha descritto Tomskij quella stessa sera alla giovane, le racconta tutto:

Lizaveta Ivanovna l’ascoltò con orrore. Così, queste lettere appassionate, queste richieste ardenti, questa insolente tenace persecuzione, tutto ciò non era amore! Soldi, ecco cosa bramava il suo animo! Non era lei che poteva soddisfare i suoi desideri e farlo felice! La povera protetta altro non era che la cieca aiutante di un delinquente, dell’assassino della sua vecchia benefattrice! Ella pianse amaramente nel suo tardo straziante pentimento. Germann la guardava in silenzio: anche il suo cuore era tormentato, ma né le lacrime della povera ragazza né il sorprendente incanto del suo dolore toccarono la sua dura anima. Non sentiva rimorsi di coscienza al pensiero della vecchia morta. Una cosa lo faceva inorridire, l’irrevocabile perdita di un segreto dal quale attendeva l’arricchimento» [7].

La romantica, letteraria, ideale Lizaveta vive un profondo e doloroso dramma sentimentale: tradita, umiliata, usata vede il proprio sogno d’amore andare in frantumi, provando una delusione e una sofferenza che forse la segneranno per sempre. Germann invece, che nella sua posa napoleonica osserva la giovane disperata senza proferire parola, impassibile e gelido, rimpiange l’enorme ricchezza perduta. Due mondi inconciliabili rinchiusi in pochi metri quadrati.

III. Privo di fede, Germann si reca ai funerali della contessa per superstizione (come scrive l’uomo del sottosuolo, «Sono abbastanza istruito da non essere superstizioso, ma sono superstizioso» [8]), temendo che la defunta possa avere un influsso negativo sulla sua vita. Il protagonista rende pubblicamente omaggio alla contessa, pungolato dalla voce della propria coscienza, che lo definisce assassino, s’inginocchia fino a terra, si avvicina alla salma, sale i gradini del catafalco, si china… ed ecco che il volto gelido della defunta sembra animarsi, riprendere vita, lanciare uno sguardo beffardo e strizzare l’occhio al protagonista, che si ritrae in fretta, perde l’equilibrio e stramazza a terra, mentre la povera Lizaveta perde i sensi.

Turbato, il protagonista cerca conforto nel vino, ma non serve a niente, anzi, l’alcol eccita ancor di più la sua «ardente» immaginazione. Tornato a casa, si getta sul letto senza neppure svestirsi e si addormenta subito, profondamente. Si sveglia a notte fonda e riceve la visita del fantasma della contessa, che gli rivela finalmente il segreto, legato a delle precise condizioni: «Il tre, il sette e l’asso ti faranno vincere subito, ma a patto che tu non giochi più di una carta al giorno e che in tutta la vita poi non giochi più. Ti perdono la mia morte a patto che sposi la mia protetta Lizaveta Ivanovna…» [9].

Come può un uomo come Germann, fermo, parsimonioso, razionale, calcolatore, tedesco in una sola parola, credere a una simile apparizione? Ma Germann non è più quello presentato all’inizio del racconto, il suo folle sogno di ricchezza immediata e semplice lo ha completamente assorbito, affatturato. Le tre carte divengono immediatamente la sua ossessione ed egli si rapporta alla realtà, creandone di fatto una nuova, in base ad esse: le ragazze gli appaiono slanciate come il tre; a chi gli domanda l’ora risponde il sette meno cinque; gli uomini panciuti gli ricordano l’asso. Le carte lo perseguitano nella veglia e nel sonno, dove assumono tutte le possibili forme: il tre sboccia davanti a lui nell’aspetto di una «rigogliosa grandiflora», il sette è rappresentato da un «portone gotico, l’asso da un enorme ragno». Germann entra nella dimensione totalizzante dell’ossessione, che investe l’intera realtà e ne crea una nuova, parallela, secondo un processo di alterazione psichica che prelude alla follia.

Germann non ha che un pensiero, un unico pensiero fisso, rodente: utilizzare il segreto che gli è costato la serenità, la fermezza, l’integrità morale e la sanità mentale. Ed egli finalmente gioca. Punta quarantasettemila rubli (l’intero capitale ereditato dal padre, immaginiamo) sulla prima carta e vince con il tre. Incassa e torna a casa. Ricompare al tavolo da gioco il giorno successivo, puntando gli stessi quarantasettemila più la vincita del giorno precedente. Vince ancora, con il sette, secondo le indicazioni della contessa, incassa e se ne va. Torna a giocare la sera seguente e tutti lo circondano, curiosi di assistere all’incredibile spettacolo, generali e consiglieri segreti, giovani ufficiali e camerieri. Germann punta tutto ciò che ha, coprendo la carta con un pacco di biglietti di banca. È a un passo, un solo passo dal suo sogno di ricchezza, dalla realizzazione e liberazione della sua ossessione. A destra cade una donna di picche, a sinistra un asso, l’asso vince, ma… Germann sceglie la carta sbagliata! La donna di picche, straordinariamente somigliante alla vecchia contessa, lo guarda beffarda e gli strizza l’occhio. Il sogno di Germann va in frantumi e con esso la sua salute mentale. Rinchiuso in manicomio non fa che ripetere: «Tre, sette, asso! Tre, sette, donna!»: la formula della sua follia, la formula della vendetta della contessa.

NOTE

[1] A.L. Slonimskij, Sulla composizione della “Donna di picche”, citato in Paolo Nori, Le notti passavano inavvertitamente, in Aleksandr Puškin, Umili prose, Feltrinelli, Milano 2019, p. 11.

[2] Paolo Nori, Le notti passavano inavvertitamente, cit., p. 12.

[3] Per un approfondimento sul romanzo in versi rimando al contributo Aleksandr Puškin, «Evgenij Onegin»: il coraggio di rinunciare. Prima parte, Seconda parte.

[4] Eraldo Affinati, Il peso dell’altro ne I fratelli Karamazov, in Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Newton Compton editori, Roma 2011, p. 7.

[5] Aleksandr Puškin, La donna di picche, traduzione di Paolo Nori, in Id., Umili prose, cit., p. 85.

[6] Ivi, p. 101.

[7] Ivi, p. 105.

[8] Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, a cura di Igor Sibaldi, Mondadori, Milano 2014, p. 5.

[9] Aleksandr Puškin, La donna di picche, cit., p. 109.

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