Pubblicato nel 1873, Il viaggiatore incantato di Leskov rientra nel canone delle grandi opere della letteratura russa del XIX secolo, «una delle fasi creative più intense che il genere umano ricordi» [1], all’interno del quale occupa, in solitaria, una categoria destinata a restare desolatamente vuota, quella della narrazione pura, nel senso originario, primordiale, omerico del termine, legato a una dimensione orale, epica, fiabesca, leggendaria, popolare dalla tradizione millenaria, interrotta dall’avvento della modernità (con la modernità scompare la noia e con essa la facoltà di ascoltare, senza la quale la narrazione è impossibile).
Come scrive Benjamin nel saggio dedicato a Leskov, metà dell’arte di narrare consiste nel «lasciare libera una storia, nell’atto di riprodurla, da ogni sorta di spiegazione» [2]. Lo straordinario, il meraviglioso sono riferiti con «estrema precisione», ovvero con naturalezza, ma senza un «nesso psicologico», lasciando al lettore-ascoltatore la libertà di interpretare la storia come meglio crede. In questo, dichiara Benjamin, Leskov è un maestro (uno degli ultimi, se non l’ultimo in assoluto), e se la sua luminosa arte della narrazione risplende in tutti i racconti, lo fa soprattutto, con un’intensità difficilmente eguagliabile, nel Viaggiatore incantato, in cui tra l’altro l’autore fornisce una prova grandiosa della sua profonda affinità allo «spirito della favola» [3].
In perfetta armonia con la fede popolare russa, libera dai ceppi della burocrazia ecclesiastica e accolta nella sua sognante straordinarietà, Leskov intende la resurrezione non come trasfigurazione, ma come «liberazione da un incantesimo, in senso affine a quello della favola» [4], e questa interpretazione, tratta dal teologo greco Origene, secondo il quale tutte le creature, diavoli e dannati compresi, alla fine dei tempi approderanno alla salvezza universale, è alla base del Viaggiatore incantato, dove si ha «un misto di favola e leggenda».
Protagonista-narratore del racconto è Ivan Sever’janič Fljagin, cinquantenne ex connessèr, ovvero intenditore di cavalli (la sua intramandabile vocazione), ora monaco novizio. La sua figura imponente emana bontà, semplicità ed egli ricorda gli antichi paladini russi. Basta uno sguardo non troppo profondo per comprendere che si tratta di un uomo «vissuto», che ha «molto veduto». Ed ecco che, questo monaco-paladino in pellegrinaggio dai santi Zosima e Sabazio, «ardito e sicuro di sé, sebbene senza spiacevole improntitudine», prende la parola e ai compagni di viaggio, «con gradevole e manierata voce di basso» [5], racconta la sua tragicomica vita.
Sulla grande testa di Ivan (Testone è il suo soprannome), promesso a Dio dalla madre deceduta subito dopo averlo messo al mondo, pende un destino: «tu dovrai molte volte perire e mai perirai, finché verrà la tua vera sciagura, e tu allora ricorderai la promessa fatta per te da tua madre e ti farai frate» [6]. Ivan procede così «di tribolazione in tribolazione», fino all’adempimento della promessa materna, continuamente sfuggendo suo malgrado alla morte e soffrendo molto male. Il lungo racconto si caratterizza per lo stile colloquiale e la deformazione linguistica popolare (tecniche rese alla perfezione da Tommaso Landolfi nella sua splendida traduzione), scorrendo via veloce e puro come acqua dalla fonte, senza che il lettore-ascoltatore se ne accorga, egli stesso incantato. Il linguaggio rude, talvolta spigoloso del viaggiatore ci cattura e trasporta, assumendo una consistenza reale, quasi fisica e tangibile, totalizzante: «noi non leggiamo ma ascoltiamo la voce, come se tutta la realtà fosse voce» [7].
Nell’ammaliante racconto di Leskov si susseguono nomadi, vagabondi, ladri e assassini, prostitute, mercanti, principi, soldati, monaci, diavoli, diavoletti e angeli, con alcune figure che spiccano su tutte le altre, come la zingara Gruša, «serpe lucente» che incanta gli uomini, disposti a tutto per lei, e che infine si consuma per amore, implorando il protagonista di ucciderla, per non uccidere e non uccidersi.
Natura elementare, Ivan rientra nella categoria del giusto, la cima più alta della «gerarchia del mondo creaturale» di Leskov, «un uomo semplice e attivo, che diventa santo, a quanto pare, nel modo più naturale del mondo» [8]. È con estrema naturalezza che il protagonista, alla fine del racconto, entrato finalmente in monastero, ma solo per convenienza, per la tranquillità e la comodità della vita monastica, acquisisce il dono della profezia, ed è sempre la stessa parola che egli sente spirare dentro di sé, come un vento: «prendi le armi». Desideroso di morire per il popolo russo, il proprio popolo (non a caso il momento più doloroso della sua esistenza è rappresentato dalla prigionia nella misera e infedele steppa tartara), come un autentico paladino, Ivan dichiara di prepararsi alla guerra, ed è nel segno di questa sinistra profezia che si conclude Il viaggiatore incantato, sebbene essa resti «pel momento nelle mani di Chi nasconde i propri decreti agli uomini di senno e di ragione e soltanto li svela talora agli infanti» [9].
A Ivan Fljagin, intenditore di cavalli, monaco e paladino, corrispondono alla perfezione le parole di Benjamin dedicate al narratore in conclusione del saggio su Leskov: «Il suo talento è la sua vita; la sua dignità quella di saperla narrare fino in fondo. Il narratore è l’uomo che potrebbe lasciar consumare fino in fondo il lucignolo della propria vita alla fiamma misurata del suo racconto. Di qui deriva l’incomparabile atmosfera che […] circonda il narratore. Il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso» [10].
NOTE
[1] Eraldo Affinati, Il peso dell’altro ne I fratelli Karamazov, in Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Newton Compton editori, Roma 2011, p. 7.
[2] Walter Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov, in Id., Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino 2014, p. 253.
[3] Ivi, p. 267.
[4] Ivi, p. 268.
[5] Nikolaj Leskov, Il viaggiatore incantato, traduzione di Tommaso Landolfi, Adelphi, Milano 1994, p. 11.
[6] Ivi, p. 27.
[7] Pietro Citati, L’universo di Nikolaj Leskov galoppa, «Corriere della Sera», 16 agosto 2016.
[8] Walter Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov, cit., p. 250.
[9] Nikolaj Leskov, Il viaggiatore incantato, cit., p. 182.
[10] Walter Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov, cit., pp. 273-274.