Il'ja Repin, Ritratto di Garšin, 1884

Anton Čechov, «Una crisi nervosa»: in memoria di Garšin

Si convinse di dovere risolvere il problema subito, costi quel che costi, e che il problema non riguardasse gli altri, ma lui, personalmente.

Ispirato a Garšin, modellato sulla sua complessa personalità, Vasil’ev, il giovane intellettuale protagonista del racconto di Čechov Una crisi nervosa, pubblicato nel 1889 in un volume in memoria dello scrittore morto suicida l’anno precedente [1], è un uomo fuori del comune, che si contraddistingue per una sensibilità, un’empatia e una percezione del dolore, per un senso della giustizia e della responsabilità individuale straordinariamente sviluppati, tanto da risultare spesso morbosi:

[…] il suo talento […] consisteva nella sua umanità. Possedeva un fiuto finissimo, meraviglioso, per il dolore. Così come un attore coglie e fa suoi i gesti e la voce degli altri, così Vasil’ev sapeva cogliere e far proprio il dolore altrui. Di fronte alle lacrime, piangeva, di fronte a un malato, lui stesso cominciava a stare male e a gemere, se vedeva un atto di violenza, sentiva di esserne vittima, aveva paura, come un bambino, e, con la paura addosso, correva a chiedere aiuto. Il dolore degli altri lo innervosiva, lo turbava, poteva anche condurlo a uno stato di estasi [2].

Ogni volta che si ritrova a fare i conti con il male, l’ingiustizia, la sofferenza Vasil’ev sente suo improrogabile dovere intervenire personalmente (per lo stesso motivo Garšin si arruola volontario nella guerra Russo-Turca, oppure irrompe, nel cuore della notte, in casa del ministero degli interni russo implorando la grazia per un rivoluzionario condannato a morte), ma l’impossibilità di cambiare le cose, la sua inevitabile, umana impotenza finisce sempre per prostrarlo, scaturendo violente crisi nervose che solamente i farmaci riescono temporaneamente a placare.

La violenta crisi nervosa descritta da Čechov nel racconto scaturisce dalla visita di Vasil’ev in vari postriboli di Mosca, in una notte innevata dalle atmosfere vagamente infernali. Certo, nella sua letteraria astrattezza, di imbattersi in donne perdute consapevoli del proprio dramma, il protagonista vede sfilare davanti a sé, un bordello dopo l’altro, in un dozzinale squallore elevato a stile, donne finite completamente prive del senso della propria miseria (nessuno come Tolstoj in Resurrezione ha descritto la profonda, quasi patologica corruzione morale di cui è vittima la prostituta russa dell’epoca). Nelle donne incoscienti, pesantemente imbellettate e sciattamente agghindate, alcolizzate e ridotte a mera carne da piacere, Vasil’ev vede delle morte; nei clienti altrettanto incoscienti, e per di più ipocriti, come i suoi amici, imbevuti di scienza e cultura eppure complici di quello scempio sociale, degli assassini. Urge una soluzione immediata. Affrontando razionalmente il problema, il protagonista ripercorre i tentativi fatti sinora per salvare le povere disgraziate (il riscatto, il mantenimento, l’educazione, il matrimonio), tutti allo stesso modo inefficaci, e giunge alla formulazione di una nuova soluzione: più che le donne, bisogna salvare gli uomini, evitare la loro caduta, risvegliandoli dal torpore morale. Senza clienti la prostituzione è destinata a scomparire. Entusiasmato dalla sua idea, che pensa di mettere subito in pratica, appostandosi agli angoli dei vicoli infami e persuadendo gli uomini corrotti a lasciare quella cattiva strada, Vasil’ev prova quella particolare sensazione di gioia estatica destinata tuttavia, come l’ispirazione, ad esaurirsi presto. Dopo qualche ora, sfinito, steso immobile sul divano, lo sguardo fisso nel vuoto, il protagonista non pensa più alle prostitute, la cui interminabile massa, poco prima, aveva sentito incombere su di sé «come le montagne sulla terra», ai grugni di porco da redimere attraverso la predicazione, ma solamente al proprio dolore interiore, che lo tormenta e lo rode nel profondo, frutto amaro, distruttivo della consapevolezza della propria impotenza:

Era un dolore sordo, irrazionale, indefinito, un insieme di angoscia, terrore e disperazione. Sapeva localizzarlo: al petto, sotto al cuore, ma non aveva termini di confronto per definirlo. […] Era un dolore che rendeva la vita odiosa. Il solo pensiero della tesi di laurea, di un ottimo articolo che aveva già terminato, delle persone a lui più care, la salvezza delle donne perdute, il pensiero di tutto ciò che aveva amato o gli era stato indifferente sino al giorno prima ora lo irritava, così come il rumore delle carrozze, l’andirivieni dei camerieri in corridoio, la luce del giorno… Se in quello stesso istante qualcuno avesse compiuto sotto i suoi occhi un gesto di grande misericordia o di riplorevole violenza, entrambi i gesti avrebbero provocato in lui la stessa impressione di disgusto. Di tutti i pensieri che gli attraversavano la mente, solo due non lo irritavano: il potersi uccidere in qualunque momento, e il fatto che quel dolore non sarebbe durato più di tre giorni. Questo lo sapeva per esperienza [3].

All’imbrunire Vasil’ev esce di casa, disperato, vaga senza una meta, si spoglia e resta a petto nudo sotto la neve, sperando di trovare conforto in una nuova sensazione, la sensazione del freddo pungente, pensa di gettarsi nel fiume, non per uccidersi, «ma per farsi male fisicamente, e sostituire un dolore con un altro». È tutto inutile. C’è solo un modo per superare la crisi, per ritrovare un minimo di serenità e tornare a respirare, il solito di sempre: bromuro di potassio e morfina. Vasil’ev si trascina avanti così, sotto il peso insostenibile della responsabilità e dell’impotenza, tra una crisi e l’altra, fin quando giungerà l’ultima, che nessun farmaco saprà lenire e che lo condurrà alla morte, come il suo modello, Vsevolod Garšin, suicida a trentatré anni.

NOTE

[1] Per un approfondimento sullo scrittore rimando al contributo Vsevolod Garšin, il peso insostenibile della responsabilità. Prima parte – La guerra: «Dai ricordi del soldato Ivanov», Seconda Parte – La follia: «Il fiore rosso».

[2] Anton Čechov, Una crisi nervosa, traduzione di Caterina Balistreri in collaborazione con Gaetano Balistreri, in V.M. Garšin, A.P. Čechov, Lo sguardo sulle cose, Corrimano Edizioni, Palermo 2020, p. 93.

[3] Ivi, pp. 93-94.

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