VIII. A causa di un paio di giorni di festa il collegio si svuota e Törless resta solo con Basini. L’eccitazione sessuale diviene incontenibile e il protagonista sveglia il compagno, nella notte, agendo inconsciamente e non sapendo affatto cosa fare, come comportarsi. Basini, abituato a simili risvegli improvvisi nel cuore della notte (il giovane è ormai diventato l’oggetto sessuale di Reiting e Beineberg), conduce Törless nello stanzino e si spoglia, senza che il protagonista glielo ordini. Dinanzi al corpo nudo di Basini, corpo niveo e ben fatto, femminile nell’assenza di forme virili e nella magrezza «esile e casta», Törless scopre la bellezza e l’arte:
«E Törless sentì che l’immagine di quel corpo nudo prendeva fuoco nei suoi nervi levando fiamme bianche e ardenti. Non riusciva a sottrarsi alla potenza di quella bellezza. Prima non aveva mai saputo che cosa fosse la bellezza. Che cosa infatti poteva dirgli mai, alla sua età, l’arte, ammesso che ne conoscesse un poco? Alla fine dei conti, fino a una certa età essa risulta sempre incomprensibile e noiosa a un giovane che sia cresciuto all’aria aperta!
Ma in questo caso l’arte era venuta a lui di nascosto, sui cammini della sensualità, e lo aveva aggredito. Un alito caldo e inebriante emanava dalla pelle nuda, una lusinga morbida, lasciva. Eppure vi era anche qualcosa che induceva a giungere solennemente le mani» [1].
Törless prova vergogna della sua eccitazione sessuale e spirituale, perché, insomma, Basini è un uomo, ma prova al tempo stesso «una sensazione come se una fanciulla non potesse essere diversa» (130). Nel racconto di Musil il sesso, e la sessualità in generale, si configura innanzitutto come esperienza individuale, che il protagonista compie con se stesso, non con l’oggetto dei suoi desideri carnali. In questo senso, Basini non è che un mezzo.
Basini rivela tutto a Törless, come Reiting e Beineberg abusino sistematicamente di lui. Törles sommerge Basini di domande, vorrebbe capire cosa avviene in lui quando viene seviziato e umiliato, ma, così facendo, tormenta il povero cadetto ancor più di quanto facciano Beineberg e Reiting. Basini non sa rispondere alle domande di Törless, per lui tutto ciò che accade è necessario e niente di più. Tornati in dormitorio, Basini s’insinua nel letto del protagonista e gli dichiara il suo amore, sussurrandogli all’orecchio che gioia sarebbe servirlo, lui così dolce, così diverso da Beineberg e Reiting, spietati e violenti. Törless prova a resistere, consapevole dell’inganno di Basini, che vuole soltanto abbassarlo al suo livello per cancellare il disprezzo del compagno, ma cede sotto la pressione dell’eccitazione sessuale accumulata nelle ultime settimane, che si scioglie di colpo e lo inonda a contatto con il delicato corpo di Basini: invece di allontanare Basini le sue mani lo attirano più vicino e il desiderio lo trascina via, lontano da se stesso, dalla sua coscienza. La sensualità giace nuda accanto a Törless, coprendogli il capo con il suo soffice manto nero, sussurrandogli all’orecchio dolci e seducenti parole di rassegnazione, e allontanando con le dita ardenti ogni domanda e ogni dovere: «nella solitudine ogni cosa è permessa».
IX. Törless si incontra spesso con Basini, segretamente, e prova gelosia per le manovre di Beineberg e Reiting, una gelosia profonda e intensa, che gli toglie il sonno. Ma per quanto il protagonista provi tenerezza nei confronti dell’amante, per quanto tenti di proteggerlo dai suoi aguzzini, il suo non è un autentico e reale desiderio. Certo, Basini ha svegliato in Törless la passione, ma non si tratta di amore, «definizione casuale e approssimativa», sempre. Basini è piuttosto «un oggetto provvisorio e sostitutivo» del trasporto di Törless, la cui brama non trova mai appagamento nel giovane amante, ma cresce al di là di lui. La sensualità del protagonista non risulta appagata dai rapporti con Basini, quella sensualità adolescenziale «che è come la terra a primavera, umida, nera e gravida di semi, come un oscuro sotterraneo cui basti una spinta casuale per rompere gli argini» (142).
A causa di un malinteso, di un’impressione male interpretata, nata dalla vista del corpo di Basini, Törless concentra tutti i suoi oscuri impulsi sul compagno, impulsi fino a quel momento vaghi, indefiniti, che a un tratto si incontrano «con qualcosa che emanava calore, respirava, aveva un odore, era carne, qualcosa al cui contatto quei sogni vaghi ed erratici avevano preso forma, avevano assunto parte della sua bellezza al posto della corrosiva bruttezza con cui, nella solitudine, Božena li aveva percossi. D’un colpo si spalancava dinanzi a essi la porta della vita, e nella luce incerta che ne proveniva ogni cosa si affastellava, desideri e realtà, fantasie sfrenate e impressioni che ancora recavano la calda traccia della vita, sensazioni provenienti dall’esterno e fiamme che, dall’interno, ardevano loro incontro e le avvolgevano fino a renderle irriconoscibili» (142-143). Basini è il tramite attraverso cui le fascinose e incomprensibili pulsioni di Törless assumono una consistenza reale, fisica, materiale, corporea.
Törless stesso crede di amare Basini, ma ben presto si avvede dell’errore e ogni singolo gesto dell’amante lo riempie di disgusto; resta il ricordo di un desiderio che adesso gli appare «indicibilmente dissennato e orribile». Inoltre si allarga il divario tra Törless e gli altri, che disprezza profondamente sospettandoli delle azioni più abbiette e non trovando in essi quei rimorsi di coscienza, quella vergogna che ora, finalmente consapevole, lo tormentano. Törless si sente come se si fosse risvegliato da una profonda agonia, come «uno che non può più dimenticare la silenziosa saggezza di una lunga malattia» (144), la malattia della dissolutezza.
X. Ciò che accade a Törless è piuttosto comune nei collegi. È la condizione di isolamento dal mondo, dalla realtà, dalla vita in cui gli studenti sono costretti a passare anni e anni della loro infanzia, della loro adolescenza, a favorire la degradazione e la concupiscenza: «Là dove vengono tenute al di qua di grigie mura, le energie giovani ed emergenti riempiono fino all’orlo la loro fantasia di ogni sorta di immagini voluttuose che possono far perdere la testa a più d’uno» (147). Tra gli studenti la dissolutezza s’impone come indice «di virilità, di audacia, un’ardita riappropriazione di piaceri negati» e il concetto di morale non ha alcun peso positivo, perché legato a insegnanti dalle «spalle strette, ventri prominenti su sottili gambette e occhi che, dietro le lenti, sembravano pascolare mansueti come pecorelle, quasi che la vita non fosse altro che un campo fiorito di edificante serietà» (ibidem). L’energia vitale dei giovani cadetti, imprigionata all’interno di «grigie mura», non trova altro sfogo che nella dissolutezza, anche perché quando una giovane mente manifesta istinti critici che la spingono ad approfondire gli argomenti di studio, come accade a Törless con i numeri immaginari [2], viene ricacciata indietro, nei limiti di una conoscenza fissa, standardizzata, che non prevede svolte precoci.
Così Törless cade in errore «con assoluta ingenuità», moralmente ancora debole, prendendo per realtà «le ombre che qualcosa di ancora ignoto in lui proiettava nella sua coscienza» (ibidem). Törless ha seguito qualcosa di ancora oscuro, indefinito, privo di una forma e di una sostanza certe, e lo ha seguito su una via che conduce al fondo del suo essere, ma il cammino lo ha sfiancato. Sperando di raggiungere «rivelazioni occulte e straordinarie», si è «ritrovato nei locali angusti e soffocanti della sensualità», non per depravazione, «ma a seguito di una situazione spirituale in quel momento priva di sbocchi» (ibidem). Törless percepisce dentro di sé, vagamente, qualcosa di importante, ed è proprio l’infedeltà a questo qualcosa di importante che genera in lui il senso di colpa: disgustato da ciò che è stato e perseguitato da un’«incertezza angosciosa», il protagonista si sforza di non pensare più a niente, di vivere alla giornata, senza opporre più alcuna resistenza alle risoluzioni di Beineberg e Reiting sul destino di Basini.
XI. Beineberg decide di ipnotizzare Basini, che finge e viene frustato brutalmente dal suo aguzzino. Törless, assistendo alla scena, non prova che disgusto, un disgusto senza pensieri, muto e morto. Si alza e se ne va, senza dire una parola, meccanicamente, mentre Beineberg continua ad accanirsi sul povero Basini, che ulula di dolore come un cane. Per il protagonista è la fine della vicenda: qualcosa è passato per sempre. Nei giorni seguenti si dedica tranquillamente allo studio, senza interessarsi a nulla; Basini gli chiede aiuto, oramai distrutto dalle angherie di Beineberg e Reiting, ricordando l’affetto che li ha legati, ma Törless resta impassibile, gelido, lo respinge e rinnega il passato: «Non una parola. Non ero io… Un sogno… Un capriccio… Mi fa perfino piacere che la tua onta ti abbia strappato da me… Per me va bene così…» (159). Basini, disperato, s’inginocchia, implora, gridando, il suo aiuto, e Törless cede, dandogli appuntamento nella notte, ma pentendosene subito dopo. Il protagonista dichiara a Basini che non lo aiuterà e che in sua compagnia non prova più nulla, apostrofandolo come un corrotto e un vigliacco. Basini, che fatica a muoversi a causa delle percosse dei suoi spietati, feroci aguzzini, tenta il tutto per tutto, si spoglia e si stringe a Törless, ma il suo corpo tumefatto è disgustoso e i suoi movimenti «squallidi come quelli di una puttana inesperta». Törless si ritrae nauseato, ma in quel momento irrompe nel solaio Reiting, al quale finalmente il protagonista si ribella: «tu non proibisci un bel niente! È passato il tempo. Una volta avevo rispetto per te e per Beineberg, ma ora mi accorgo di che cosa siete in confronto a me. Dei pazzi ottusi, disgustosi, bestiali!» (162). Beineberg e Reiting, dopo aver minacciato Törless, che però non si lascia condizionare dalla paura e resiste ai ricatti di questi due piccoli demòni, danno Basini in pasto alla classe: lo denudano e leggono ad alta voce le lettere della madre, quindi lo massacrano:
«Risa sguaiate, scherzi irriguardosi si levano dalla massa. Reiting cerca di continuare a leggere. Improvvisamente qualcuno dà una spinta a Basini. Un altro, contro il quale è andato a sbattere, lo spinge a sua volta, tra lo scherzoso e il risentito. Poi un terzo. E all’improvviso Basini, nudo, vola come una palla per l’aula, la bocca spalancata dal terrore, tra le risate, le grida, le botte di tutti. Vola da una parte all’altra, si ferisce sugli spigoli appuntiti dei banchi, cade sulle ginocchia e se le graffia a sangue, e alla fine crolla a terra, sanguinante, sporco, con gli occhi vitrei di un animale, mentre all’istante cala il silenzio e tutti spingono per vederlo steso a terra» (168).
Non finisce qui. Il massacro non sazia la brama di violenza degli studenti, che decidono di legare Basini a letto, la notte seguente, e frustarlo con le lame dei fioretti. Ma Basini segue il consiglio di Törless, che gli aveva rivelato la volontà dei suoi aguzzini di consegnarlo alla classe, e si auto-denuncia al direttore dell’istituto.
XII. Törless è ora perfettamente tranquillo, sente «in sé ogni cosa meravigliosamente chiara e ariosa». Estraneo all’agitazione dei compagni di classe, che si interrogano febbrilmente sulle possibili conseguenze del caso Basini, resta solo con se stesso, calmo, sereno, imperturbabile e, dinanzi al quaderno di appunti, accarezzandone le pagine lisce e profumate, prova quella dolce e benefica «tenerezza mista a malinconia che proviamo dinanzi a un passato ormai concluso, quando, nell’ombra pallida e lieve che recando in mano fiori funerei si leva da esso, scopriamo dimenticate somiglianze con noi stessi» (169). Dinanzi a Törless si spalanca la vita, come «un’ampia, piena e calda corrente». Uno stadio del suo sviluppo, forse lo stadio più delicato, si è ormai concluso, «come un giovane albero l’anima aveva aggiunto un nuovo anello» (170), e questo sentimento potente, ma ancora inesprimibile, scusa tutto ciò che è accaduto, lo giustifica e spiega come una tappa necessaria nello sviluppo del protagonista. Ma lo spaventa doversi misurare con gli insegnanti, dover sostenere il loro interrogatorio, dover spiegare loro ciò che neanche per lui è del tutto chiaro e cristallizzabile nel linguaggio. Così Törless fugge dall’istituto, mentre Beineberg e Reiting, credendo che la sua fuga sia dovuta alla loro minaccia di accusarlo come complice di Basini, si sentono in dovere di allontanare dal protagonista ogni sospetto, difendendolo energicamente e addossando tutta la colpa su Basini. Trovato in città, stanco morto e affamato, Törless versa in uno stato di terribile agitazione, prostrato dalla paura di non riuscire a farsi capire, dell’incomprensione. Ma dinanzi alla commissione d’inchiesta, dopo i primi tentativi falliti di spiegarsi, il protagonista prova «un senso di arrogante superiorità nei confronti di queste persone di mezza età che sembravano conoscere così poco i processi intimi della natura umana» (174). Si alza in piedi, quasi sia lui il giudice, e il suo sguardo passa sui docenti senza fermarsi: «non voleva guardare quei personaggi ridicoli». Törless sente dentro di sé una forza straordinaria, sente che è giunto finalmente il momento di parlare con chiarezza e si erge intero, sicuro, forte nel vuoto comprensivo che lo circonda. Törless confessa alla commissione di vedere le cose, tutte le cose, pensieri compresi, sotto un duplice aspetto, percependone una seconda vita, «segreta e inosservata»:
«[…] in me c’era una seconda natura che contemplava tutto questo senza ricorrere agli occhi della ragione. Così come sento che un pensiero riceve vita in me, sento anche che qualcosa in me vive alla vista delle cose quando i pensieri tacciono. Vi è in me qualcosa di oscuro, sotto a tutti i pensieri, qualcosa che non posso misurare con i pensieri, una vita che non si esprime in parole e che pure è la mia vita…» (176).
Törless confessa inoltre di essere stato oppresso da questa seconda vita, di aver provato una paura terribile, ma dichiara di non temere più nulla ora:
«Ora so: le cose sono le cose e lo saranno sempre; ed io continuerò a vederle ora in un modo, ora in un altro. Ora con gli occhi della ragione, ora con gli altri… E non cercherò più di mettere in relazione i due modi…» (177).
Non si tratta di una dichiarazione di resa, ma di una dimostrazione di crescita e di consapevolezza: Törless comprende che quella seconda vita delle cose da lui percepita, non è una qualità delle cose, ma una qualità dell’individuo, una sua qualità, in quel momento particolarmente sensibile al fondo ambiguo e irrazionale che si cela in ogni uomo, e che non si può esprimere o controllare. Detto ciò, Törless tace e lascia la stanza, senza che nessuno lo trattenga. Gli insegnanti naturalmente non comprendono le sue parole; il professore di classe lo definisce con disprezzo un «piccolo profeta», mentre il direttore del collegio decide che una sua permanenza nell’istituto non è più opportuna per lui.
Lo stesso Törless, di sua spontanea volontà, chiede ai genitori di lasciare il convitto. Su di lui cala «una sensazione di silenziosa incertezza», priva di disperazione. In lui resta il ricordo di un’intima, «spaventosa tempesta» molto più necessaria e profonda di ciò che si può giudicare con la semplice ragione. Acquisita la capacità di distinguere tra giorno e notte, consapevole ora «che tutto può essere altrimenti, che vi sono attorno a un uomo confini vaghi e facilmente cancellabili, che sogni febbricitanti possono circuire l’anima», Törless ancora non riesce a spiegare tutto ciò, a comunicarlo con le parole, ma «questa assenza di parole gli dava una sensazione deliziosa, come la certezza del corpo fecondato, che già avverte nel sangue il segno lieve del futuro. E fiducia e stanchezza si mescolavano in lui…» (179). Concluso uno stadio fondamentale, necessario del suo sviluppo, giunto al fondo di se stesso e poi tornato su, in superficie, Törless lascia il collegio e torna a casa: «al termine della storia – mentre Basini viene espulso e tutto il resto della classe, finita la gran festa tribale, risprofonda nella banalità sbadigliante della vita di convitto – Törless è maturato a un punto tale che ormai può rientrare nel mondo al fianco di sua madre e prendere posto, da pari a pari, in mezzo alle altre persone adulte. […] Törless può dirsi un iniziato, un individuo ormai maturo e consapevole, indipendente e autosufficiente» [3].
XIII. Musil, nel corso del racconto, mostra il Törless futuro, presentandolo come «un giovane di animo molto fine e sensibile, una di quelle nature d’indole estetico-intellettuale» il cui interesse precipuo è «la crescita dell’anima, dello spirito o come altrimenti si voglia chiamare ciò che in noi viene accresciuto da un pensiero trovato tra le pagine di un libro o sulle labbra serrate di un ritratto» (145). Per questo motivo Törless non proverà mai pentimento per ciò che ha fatto: «I suoi bisogni erano così univocamente orientati sulla sfera intellettuale che, se qualcuno gli avesse raccontato una storia in tutto simile sugli eccessi di un dissoluto, sicuramente non gli sarebbe nemmeno venuto in mente di provare dello sdegno» (ibidem). Ciò che Törless giudica severamente non sono gli eccessi, ma la «disposizione d’animo» che li ispira, e il suo disprezzo vale per gli eccessi sessuali come per l’abuso d’alcol. Come tutte le persone «concentrate esclusivamente sulla crescita della propria spiritualità», ovvero come tutti gli uomini senza qualità, Törless attribuisce «scarsa importanza alla semplice presenza di impulsi smodati e torbidi»: è inevitabile, perfettamente naturale che un uomo dalla vita interiore complessa, ricca e movimentata, abbia momenti particolari, inusuali, fuori del comune e ricordi da tenere nascosti: «l’unica cosa che pretendeva da un uomo siffatto era che sapesse servirsene, in seguito, con leggerezza di tocco» (146), proprio come fa Musil stesso scrivendo questo racconto, visto l’evidente carattere biografico dell’opera. A chi gli domanda se la storia della sua adolescenza sia per lui fonte di vergogna, Törless risponde sorridendo:
«Non nego assolutamente che si trattò di un episodio degradante. E perché no? Ormai è passato. Ma qualcosa mi è rimasto per sempre: quella piccola quantità di veleno che è necessaria per togliere all’anima una salute troppo sicura e pacificata e dargliene in cambio una più acuta, più comprensiva, più sottile» (ibidem).
La degradazione macchia ogni passione umana; l’amore è segnato da numerose «ore di volontaria umiliazione» e Törless non ha fatto altro che attraversare quell’inferno noto a tutte le giovani coppie, ma solo con se stesso. Ecco, più che l’esperienza della degradazione in sé, è il fatto di averla vissuta da solo a rendere inusuale il caso di Törless, giunto infine a una precoce consapevolezza di se stesso e dell’uomo, consapevolezza che troverà nella sottile e pungente ironia di Ulrich l’esito più naturale [4].
NOTE
[1] Robert Musil, Il giovane Törless, traduzione di Andrea Landolfi, Newton Compton editori, Roma 1995, p. 129. D’ora in poi il numero di pagina tra parentesi nel corpo del testo.
[2] Dell’episodio ci siamo occupati nella prima parte del presente contributo.
[3] Italo Alighiero Chiusano, Introduzione a Robert Musil, Il giovane Törless, cit., p. 13.
[4] Per un approfondimento sul protagonista della monumentale e incompiuta opera di Musil rimando al contributo Ulrich, l’uomo senza qualità. Prima parte, Seconda parte.