IV. Gončarov concede a Oblomov l’opportunità di risorgere, naturalmente attraverso una donna, la giovane e vitalissima Ol’ga. In Ol’ga Il’ja Il’ič trova finalmente il suo scopo, e si scuote, animato da un ardore amoroso sconosciuto fino a quel momento. Oblomov ricomincia a leggere, a prendere possesso del proprio tempo, finalmente sostituisce lo starosta di Oblomovka, non cena più e non dorme durante il giorno: tutto ciò che fa, lo fa per Ol’ga.
Ol’ga scuote Oblomov, lo risveglia, sì, ma non del tutto: Il’ja Il’ič resta legato alla sua dimensione sognante, astratta, letteraria, nella quale conduce la donna amata, e resta inattivo, non segue i consigli di Štol’c riguardo la riorganizzazione di Oblomovka. Oblomov si accontenta dell’amore di Ol’ga e deve essere lei a stimolarlo, a pungolarlo quotidianamente, assegnandogli ogni giorno un compito diverso: in cuor suo, Il’ja Il’ič resta legato al suo modesto, oblomoviano sogno di felicità, semplicemente individuando in Ol’ga l’ignota donna ideale protagonista delle sue bucoliche fantasie. Oblomov ama Ol’ga, la ama davvero, ma l’amore non lo rivoluziona, non lo guarisce dalla malattia dell’oblomovismo, come vorrebbe la giovane. Del resto, si tratta di due nature completamente diverse: Ol’ga è attiva, impetuosa, istintiva, energica, forte e salda nel suo amore, in qualche caso paga dazio alla sua giovinezza, alla sua inesperienza, certo, ma resta sempre verginale ed eroica, mentre Il’ja Il’ič è incerto, timoroso, spesso ridicolo, naufraga nell’incertezza e nella paura, finisce sempre per cedere alla tentazione dell’ozio, delega, rimanda, attende, sopraffatto in continuazione da una malsana riflessione di cui non riesce proprio a liberarsi, come l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij; a causa della sua indole astratta, libresca, schiava dell’idealità in più di un’occasione rischia di compiere disastri irreparabili, di perdere Ol’ga per sempre, fino alla proposta di matrimonio, accettata dalla giovane. Ma l’amore di Oblomov, come un tempo il suo sogno giovanile, non supera la prova della realtà: senza una casa, senza denaro, come è possibile sposarsi? La decennale negligenza di Il’ja Il’ič presenta il conto, un conto salatissimo, che gli costa Ol’ga. Consumata, esasperata dall’incertezza e dall’immobilismo del promesso sposo, la donna interrompe la relazione: «Non sognavo la gioventù e la bellezza, io: io pensavo che ti avrei vivificato, che tu avresti potuto rivivere per me, ma tu sei morto, da tempo» [1]. Ol’ga si è innamorata di un Oblomov che non esiste, quell’«Oblomov futuro» che avrebbe dovuto nascere dal suo amore, ma che non vedrà mai la luce. Dopo la rottura con la donna, Il’ja Il’ič può tornare a indossare la sua vecchia vestaglia, vero e proprio simbolo dell’oblomovismo.
V. La condizione di Oblomov peggiora rapidamente (mentre Ol’ga inizia una nuova vita, al fianco di Štol’c), diviene ancora più grasso e flaccido, la noia si stabilisce nel suo sguardo e osserva «come una malattia», la sua vestaglia, simbolo dell’oblomovismo, è logora, strappata ovunque. A livello finanziario è prosciugato dai parassiti, che banchettano liberamente su Oblomovka, succhiandone tutti i guadagni. Insomma, Il’ja Il’ič è vittima dell’oblomovismo nella sua forma definitiva e più terribile. Riesce comunque a realizzare il suo modesto sogno di felicità sposando Agaf’ja Matveevna, la laboriosa padrona di casa di Vyborg, luminoso esempio di bontà e di devozione. D’accordo, Agaf’ja non è Ol’ga, non ha la freschezza, la vitalità, la bellezza, la cultura di Ol’ga, è un’umile donna del popolo, ma si dedica a Oblomov anima e corpo, mettendolo al centro della propria esistenza, vivendo solo ed esclusivamente per lui. Nella sua semplicità, nella sua bontà, nella sua devozione cieca e disinteressata, Agaf’ja ricorda alcuni dei più celebri e luminosi personaggi femminili di Dostoevskij, come le Sof’ja di Delitto e castigo e dell’Adolescente [2], e se Štol’c, dopo aver saputo del matrimonio del suo migliore amico con Agaf’ja, vede spalancarsi un abisso tra sé e Il’ja Il’ič, è anche per un pregiudizio nei confronti del popolo: per Štol’c l’unione del protagonista con una semplice popolana segna la sua resa incondizionata all’oblomovismo, la sua morte definitiva, ma questa resa e questa morte sono avvenute molto tempo prima.
Nonostante le cure premurose di Agaf’ja, lo stile di vita innaturale, orizzontale conduce inevitabilmente Oblomov a una morte prematura, al termine di un’agonia lunghissima, durata, di fatto, tutta la vita. Nonostante l’apatia, l’inattività, l’immobilismo Il’ja Il’ič è riuscito comunque a lasciare una piccola traccia di sé nel mondo, il figlio Andrej, chiamato così in onore del caro amico Štol’c, e proprio da Štol’c e Ol’ga accolto nella loro famiglia dopo la morte del padre: si interrompe così quella trasmissione ereditaria dell’oblomovismo che durava da generazioni. Per Oblomovka si apre una nuova era, all’insegna del progresso, dell’istruzione e finalmente Andrej, guidato da Štol’c, potrà realizzare il sogno giovanile del padre:
«Tu sei morto, Il’ja: non serve a niente dirti che la tua Oblomovka non è più nel deserto, che è venuto il suo momento, che su di lei cadono i raggi del sole. Non ti dirò che tra quattro anni ci passerà la ferrovia, che i tuoi contadini lavoreranno alla sua costruzione, che il tuo grano sarà portato coi vagoni all’imbarco… E che là… ci sono le scuole, l’istruzione, e poi… No, ti spaventeresti dei raggi di una nuova felicità, ti farebbero male gli occhi, non sono abituati. Ma porterò il tuo Andrej dove tu non sei potuto andare… e con lui potremo realizzare i nostri sogni di gioventù. Addio, vecchia Oblomovka […] Ha finito di vivere!» [3].
VI. Educato all’oblomovismo, limitato da cure familiari eccessive, soffocanti, opprimenti che gli impediscono di svilupparsi, di formarsi, Il’ja Il’ič, giunto il momento di misurarsi con la vita, riceve il colpo mortale dall’incolmabile divario esistente tra il sogno e la realtà [4]. A questo punto, deluso e ferito, si rintana nel suo appartamento polveroso, naufragando nell’apatia, nell’indifferenza, nel nulla, perfettamente inutile per se stesso e per gli altri: una condizione di distacco dalla vita permanente, irreversibile, come mostra l’esito della relazione con Ol’ga. L’eccesso di riflessione di cui è vittima il protagonista, e che si manifesta soprattutto nel suo modo problematico di vivere la storia d’amore con Ol’ga, acuisce l’oblomovismo, lo aggrava, e la vita, o meglio, l’esistenza di Oblomov si configura, complessivamente, come una lenta, ma inesorabile agonia, come un lungo e sottile processo di autodistruzione, secondo le seguenti fasi, sin qui ricapitolate: 1) Oblomovka, educazione all’oblomovismo; 2) trasferimento a Pietroburgo, lavoro, impatto con la realtà; 3) delusione, oblomovismo; 4) relazione con Ol’ga e possibilità di rinascita (o forse sarebbe meglio dire nascita, perché, in queste condizioni, è come se Oblomov non fosse mai davvero nato); 5) fine della storia con Ol’ga, oblomovismo nella sua forma definitiva e più terribile.
Sono queste la tappe dell’involuzione di Il’ja Il’ič, antieroe per eccellenza nel suo irriducibile immobilismo. Incapace di trovare uno scopo (e lo scopo, per un uomo, è innanzitutto mostrarsi all’altezza del suo essere uomo, ma per scoprirlo è necessaria una consapevolezza che Il’ja Il’ič non ha e non può avere), Oblomov si astiene dalla vita, lascia che gli passi accanto e infine svanisca senza muovere un dito: uno spreco di energie, considerando le buone inclinazioni del protagonista. Se solo avesse avuto un briciolo di volontà (perché la capacità, come dichiara Štol’c, non c’entra: «Non c’è uomo che non sappia fare qualcosa, per Dio, non c’è!»), Oblomov avrebbe potuto fare del bene, agli altri e, di conseguenza, anche a se stesso, ma lui niente, ha preferito starsene con le mani in mano, sdraiato sul divano, inutile come un soprammobile.
NOTE
[1] Ivan Gončarov, Oblomov, a cura di Paolo Nori, Feltrinelli, Milano 2015, p. 431.
[2] Per un approfondimento su queste due figure femminili di Dostoevskij rimando ai contributi Delitto e castigo, dalla dialettica alla vita; Personaggi e temi dell’«Adolescente». Capitolo quarto – Sof’ja e Makar ovvero la Russia.
[3] Ivan Gončarov, Oblomov, cit., p. 563.
[4] Ci siamo occupati di questi due aspetti nella prima parte del presente contributo.