Allan Ramsay, Ritratto di Rousseau, 1766

Jean-Jacques Rousseau, «Giulia o la nuova Eloisa»: la triste condizione dell’anima sensibile

«O Giulia, che fatale dono del cielo è un’anima sensibile! Colui che l’ha ricevuto non deve aspettarsi che pene e dolori sulla terra».

Pubblicato nel 1761, il romanzo epistolare Giulia o la nuova Eloisa di Jean-Jacques Rousseau conobbe un successo enorme. Come indica il titolo, l’opera trae spunto dalla celebre relazione sentimentale tra il filosofo medievale Abelardo e la sua allieva Eloisa, relazione osteggiata dal padre della giovane. Al centro del romanzo Rousseau pone dunque il contrasto tra le spontanee e autentiche ragioni del cuore e le interessate e artificiose convenzioni sociali. Nello specifico Giulia, figlia del barone d’Etange, s’innamora, ricambiata, del precettore Saint-Preux. Ma le differenze sociali – Saint-Preux è infatti un semplice borghese, e come tale tutt’altro che ricco -impediscono ai due amanti di vivere liberamente il loro amore, cui si oppone con decisione il retrogrado barone d’Etange, per il quale è inammissibile che la sua unica figlia si unisca in matrimonio a un uomo socialmente non alla sua altezza. Gli amanti, socialmente delegittimati, sono così costretti a separarsi: Giulia sposa il vecchio signore di Wolmar, mentre Saint-Preux si dà all’erranza. Il signore di Wolmar, a conoscenza della passione amorosa esistente tra i due giovani, ma certo che il tempo abbia ormai fatto il suo corso, affievolendo, o meglio, sublimando il sentimento, decide di assumere Saint-Preux come precettore dei propri figli. La conclusione del romanzo è naturalmente drammatica – come in tutti gli altri grandi romanzi epistolari dell’epoca, dalla Clarissa di Richardson all’Ortis di Foscolo [1], passando per il Werther di Goethe [2] -: Giulia perde la vita salvando uno dei figli caduti nel lago di Ginevra, che costituisce il teatro naturale nel quale è ambientata la vicenda, ma prima di morire scrive un’ultima lettera a Saint-Preux, dove confessa di non avere mai smesso di amarlo e gli affida l’educazione dei figli.

Oltre al conflitto socio-sentimentale, nel romanzo compaiono numerosi altri temi centrali nella riflessione filosofica di Rousseau. Tra questi trovo particolarmente interessante, soprattutto per i fortunatissimi sviluppi futuri, il tema dell’alterità dell’anima sensibile, che emerge ad esempio nella seguente epistola scritta da Saint-Preux a Giulia, dopo la prima separazione dei due giovani, in seguito alla scoperta del loro amore impossibile.

«Come è cambiato il mio stato in pochi giorni! Quante amarezze si mescolano alla dolcezza di avvicinarmi a voi! Quante tristi riflessioni mi assediano! Quante traversie mi fanno temere i miei timori! O Giulia, che fatale dono del cielo è un’anima sensibile! Colui che l’ha ricevuto non deve aspettarsi che pene e dolori sulla terra. Vile trastullo dell’aria e delle stagioni, il sole o le nebbie, il cielo coperto o sereno regoleranno la sua sorte, e sarà lieto o triste secondo i venti. Vittima dei pregiudizi, troverà in massime assurde un invincibile ostacolo ai giusti voti del suo cuore. Gli uomini lo castigheranno perché ha rette opinioni su ogni cosa, e perché ne giudica secondo verità e non secondo convenzioni. Basterebbe da solo a fare la propria infelicità, abbandonandosi senza discrezione alle divine attrattive dell’onesto e del bello, mentre le pesanti catene della necessità lo legano all’ignobiltà. Cercherà la suprema felicità senza ricordarsi che è un uomo: il cuore e la ragione saranno eternamente in guerra in lui, desideri sterminati gli prepareranno eterne privazioni.
Questa è la crudele situazione in cui mi tengono il destino che m’opprime, i sentimenti che mi innalzano, e tuo padre che mi disprezza, e tu che sei l’incanto e il tormento della mia vita. Senza di te, fatale bellezza! non avrei mai provato l’intollerabile contrasto di grandezza in fondo all’anima e di bassezza nella fortuna; sarei vissuto tranquillo e morto contento, senza degnarmi di notare il rango da me occupato sulla terra. Ma averti vista e non poterti possedere, adorarti e non essere che un uomo! essere amato e non poter essere felice! abitare i medesimi luoghi e non poter vivere insieme! O Giulia cui non posso rinunciare! O destino che non posso vincere! che orrende battaglie scatenate in me, senza mai poter superare i miei desideri e la mia impotenza!
Strano e inconcepibile effetto! Da quando mi sono riavvicinato a voi, non volgo in me che pensieri funesti. Forse il soggiorno che abito contribuisce a tanta malinconia; è triste e orribile, ma così è tanto più conforme allo stato dell’anima mia, non potrei abitarne uno più piacevole con altrettanta pazienza. Una fila di sterili rocce cinge il pendio e la mia abitazione, resa ancor più tremenda dall’inverno. Ah! Giulia, sento che se dovessi rinunciare a voi non ci sarebbe per me né altro soggiorno né altra stagione.
Nei violenti trasporti che mi agitano non riesco a star fermo; corro, m’inerpico con ardore, mi slancio sugli scogli; percorro a grandi passi tutti i dintorni, e dappertutto trovo nelle cose l’orrore che regna dentro di me. Non c’è più traccia di verde, l’erba è gialla e inaridita, gli alberi spogli, i venti boreali accumulano neve e ghiacci, tutta la natura è morta ai miei occhi, come la speranza in fondo al mio cuore.
Tra le rocce di questo pendio ho scoperto in un rifugio solitario una breve spianata da dove si scorge tutta la felice città che abitate. Figuratevi con che avidità portai gli occhi su quell’amato soggiorno. Il primo giorno feci mille sforzi per discernere la vostra casa; ma la grande distanza li rese vani, m’accorsi che l’immaginazione mia illudeva gli occhi affaticati. Corsi dal curato a farmi prestare un telescopio col quale vidi o mi parve di vedere la vostra casa, e da allora passo intere giornate in questo asilo contemplando i muri fortunati che racchiudono la sorgente della mia vita. Nonostante la stagione ci vengo già la mattina e non me ne vado che a notte. Con un fuocherello di foglie e di qualche ramo secco e con il moto riesco a proteggermi dal freddo eccessivo. Mi sono così innamorato di questo luogo selvaggio che ci porto persino penna e carta, ora sto scrivendo questa lettera su un macigno che il gelo ha staccato dalla rupe vicina.
Qui, o Giulia, il tuo infelice amante gode gli estremi piaceri che forse potrà gustare al mondo. Di qui, attraverso l’aria e i muri, ardisce penetrare segretamente fino nella tua camera» [3].

Incapace di omologarsi alla mentalità comune, convenzionale, all’anima sensibile la vita non riserva che «pene e dolori». La sensibilità isola, conduce l’individuo che la possiede all’emarginazione, alla solitudine forzata e causa indicibili sofferenze. Si tratta di un tema di straordinaria importanza, che avrà una fortuna enorme. Nell’immediato si pensi di nuovo al Werther e all’Ortis, mentre spingendo lo sguardo più avanti viene in mente Leopardi e l’Operetta Dialogo della Natura e di un’Anima, dove il poeta scrive che «l’eccellenza delle anime importa maggiore intensione della loro vita; la qual cosa importa maggior sentimento dell’infelicità propria; che è come se io dicessi maggiore infelicità». Eccezionalmente emblematica poi la conclusione dell’Operetta, con la richiesta di minorità e di morte imminente della «grande e infelice» Anima:

ANIMA Dunque alluogami, se tu m’ami, nel più imperfetto: o se questo non puoi, spogliata delle funeste doti che mi nobilitano, fammi conforme al più stupido e insensato spirito umano che tu producessi in alcun tempo.
NATURA Di cotesta ultima cosa io ti posso compiacere; e sono per farlo; poiché tu rifiuti l’immortalità, verso la quale io t’aveva indirizzata.
ANIMA E in cambio dell’immortalità, pregoti di accelerarmi la morte il più che si possa.
NATURA Di cotesto conferirò col destino [4].

Da Leopardi a Baudelaire, dove l’anima sensibile finisce per identificarsi completamente con il poeta, come emerge dal componimento che apre la prima sezione dei Fiori del Male, intitolato antifrasticamente Benedizione:

«L’osservano con timore quelli che vuole amare,
oppure, arditi per la sua tranquillità,
si divertono a strappargli un lamento,
e provano la loro ferocia su di lui» [5].

Il medesimo tema compare nella poesia immediatamente successiva, L’albatro, assumendo, diciamo così, la sua veste più celebre all’interno del corpus lirico baudelairiano:

«Il poeta è come quel principe delle nuvole,
che sfida la tempesta e ride dell’arciere;
ma, in esilio sulla terra, tra gli scherni,
con le sue ali di gigante non riesce a camminare» [6].

Nel Novecento il tema conoscerà infine ulteriori e originali sviluppi, di cui mi limito a ricordare il persuaso di Michelstaedter [7], l’indisposto di Sartre [8] e lo straniero di Camus [9].

NOTE

[1] Per un approfondimento sul romanzo di Foscolo rimando agli articoli L’impotenza, la malattia mortale di Jacopo Ortis. Prima parte, L’impotenza, la malattia mortale di Jacopo Ortis. Seconda parte.

[2] Per un approfondimento sul romanzo di Goethe rimando all’articolo Ovunque fuori posto: la triste storia del giovane Werther.

[3] Jean-Jacques Rousseau, Giulia o la nuova Eloisa, traduzione di P. Bianconi, Rizzoli, Milano 1964.

[4] Giacomo Leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose, Newton Compton editori, Roma 2016, p. 515. Per un approfondimento sull’opera qui citata rimando all’articolo Sulle Operette morali.

[5] Charles Baudelaire, I Fiori del Male e tutte le poesie, traduzione di C. Rendina, Newton Compton editori, Roma 2014, p. 61. Per un approfondimento sul poeta francese rimando all’articolo Charles Baudelaire, il primo poeta moderno.

[6] Ivi, p. 65.

[7] Per un approfondimento sul filosofo, scrittore e poeta goriziano rimando allo studio Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter.

[8] Per un approfondimento su La nausea rimando all’articolo Jean-Paul Sartre, La nausea: l’Assurdità chiave dell’Esistenza.

[9] Per un approfondimento su Lo straniero rimando all’articolo Albert Camus, Lo straniero: dall’insensibilità alla vita.

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