Monumento a Goldoni in Venezia.

Il falso femminismo di Mirandolina nella «Locandiera» di Goldoni

Introduzione

Nella mia modesta e del tutto gratuita attività di studioso della letteratura, ho sempre dedicato una particolare attenzione ai personaggi femminili – ho scritto una tesi di laurea sulle donne kleistiane, qui pubblicata sotto forma di singoli articoli [1], e dedicato una serie di contributi alle donne dell’Uomo senza qualità di Musil, tanto per fare un paio di esempi [2] -. Perché credo che attraverso il contributo dei grandi scrittori, dei grandi poeti un uomo possa approfondire la conoscenza di questa creatura straordinaria, di questo «mistero senza fine bello», come lo definisce Guido Gozzano [3]. E poi perché credo che sia un modo – modesto, d’accordo, ma pur sempre un modo – per esprimere tutta la mia stima e tutta la mia devozione nei confronti dell’eterno femminino, non possedendo il genio creativo di un Boccaccio, che alle donne dedica nientemeno che il suo capolavoro, il Decameron [4], di un Goethe, che nell’ultima scena del Faust, il suo opus magnum, leva un supremo inno alla femminilità, il «Femineo eterno» [5], o di un Dostoevskij, che in Delitto e castigo crea un ideale femminile di purezza e di santità difficilmente eguagliabile, la splendida Sonja, capace di resuscitare persino un duplice omicida come Raskol’nikov [6].

Ora, nell’ambito della letteratura italiana reputo la Mirandolina protagonista della celebre commedia La locandiera di Carlo Goldoni, scritta tra l’ottobre e il novembre 1752 e rappresentata nel gennaio 1753, uno dei personaggi femminili più affascinanti. Fascino che, almeno per quanto mi riguarda, deriva soprattutto dalla sua complessità, dalla sua problematicità. Perché ciò che interessa Mirandolina, la sua natura più profonda, la sua essenza, non è affatto scontato come potrebbe sembrare ad una prima e superficiale lettura della commedia.

Il falso femminismo di Mirandolina

Veniamo subito al dunque, senza perderci in ulteriori inutili chiacchiere. Perché la bella e cinica Mirandolina vuol fare innamorare il misogino e burbero Cavaliere di Ripafratta? Appunto perché misogino. Ferita nel suo orgoglio di donna, Mirandolina vuole vendicarsi, nel nome dell’intero genere femminile offeso dalla scontrosa indifferenza del Cavaliere. È quanto dichiara la protagonista, a se stessa, al pubblico e al lettore.

MIRANDOLINA (sola): Uh, che mai ha detto! L’eccellentissimo signor Marchese Arsura mi sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo vorrei. Mi piace l’arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli che hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano a questa locanda, tutti di me s’innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e tanti e tanti mi esibiscono di sposarmi a dirittura. E questo signor Cavaliere, rustico come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo forestiere capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me. Non dico che tutti in un salto s’abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così? è una cosa che mi muove la bile terribilmente. È nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo! Non avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma la troverà. La troverà. E chi sa che non l’abbia trovata? Con questi per l’appunto mi ci metto di picca. Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non m’innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura [7].

Stando al testo, alla nuda lettera, Mirandolina si imporrebbe come un’eroina femminista, che pone al centro della propria azione – la quale costituisce il motore dell’intera commedia – la solidarietà, definiamola così, nei confronti del proprio genere, a cui vuole donare una grande rivalsa abbattendo, vincendo il misogino Cavaliere di Ripafratta, umiliandolo pubblicamente.

MIRANDOLINA: L’impresa è fatta. Il di lui cuore è in fuoco, in fiamme, in cenere. Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio trionfo, a scorno degli uomini presuntuosi, e ad onore del nostro sesso [8].

E ancora:

MIRANDOLINA: Uh, è cotto, stracotto e biscottato! Ma siccome quel che ho fatto con lui, non l’ho fatto per interesse, voglio ch’ei confessi la forza delle donne, senza poter dire che sono interessate e venali [9].

Dunque è tutto chiaro. Non proprio. Come hanno rilevato diversi critici – Davico Bonino, Baratto, Alonge – la questione non è così limpida come appare ad una prima e superficiale lettura. Alla motivazione sessista, piuttosto debole, si affianca innanzitutto la motivazione sociale. Abituata, grazie alla sua avvenenza, a trattare da pari a pari con i nobili, l’umile borghese non può accettare che un membro dell’elevata classe le rifiuti questo privilegio. Il suo orgoglio – un orgoglio semplicemente umano, né maschile né femminile – glielo impedisce. Quindi Mirandolina reagisce, dichiara guerra al nobile altero e sprezzante.

Non solo. Mirandolina stessa, come abbiamo visto, dichiara che tutto il suo piacere consiste nel vedersi «servita, vagheggiata, adorata». Questo narcisismo radicale, elevato a regola di vita, offeso dal contegno del misogino Cavaliere di Ripafratta, smaschera la falsità del femminismo della protagonista, che dichiara con fervore di agire nel nome del proprio sesso, ma in realtà agisce solo ed esclusivamente per se stessa, per affermare la propria individualità, caratterizzata da un egoismo esasperato, da un egocentrismo che non può accettare in alcun modo di essere messo da parte, di essere ignorato, o peggio, calpestato.

Inoltre Mirandolina è animata da una profonda e irriducibile brama di dominio, di decisionismo, di autoritarismo che è prerogativa caratteristica del genere maschile. Anche sul “ribelle” Cavaliere di Ripafratta la protagonista vuole esercitare il proprio potere. Mirandolina dunque non tende ad emanciparsi dall’uomo, ma lo emula; vuole sconfiggerlo per sostituirsi ad esso, per assumere lei il controllo, esercitandolo nel medesimo modo. Attraverso il personaggio di Mirandolina, Goldoni mostra tutti i limiti del femminismo: innanzitutto è necessario comprendere quando si tratti di un autentico slancio solidale dal respiro collettivo, o di una semplice manifestazione narcisistica ed egoistica attraverso la quale affermare la propria individualità; inoltre, ed è questo l’aspetto più importante e delicato, bisogna evitare che l’impegno femminista si traduca in un processo di maschilizzazione devastante per la donna e per il mondo intero. Insomma, Mirandolina costituisce un vero e proprio monito per tutte le donne.

La sconfitta di Mirandolina

La locandiera si conclude con la sconfitta della protagonista. Mirandolina questa volta ha rischiato troppo: il Cavaliere di Ripafratta perde il controllo, si sta per scagliare fisicamente contro di lei. E la protagonista è costretta a rivolgersi a Fabrizio, a ricorrere in extremis a quella soluzione sin qui continuamente deprecata ed esclusa – «A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà» -: il matrimonio. Mirandolina si è spinta oltre, troppo oltre e, vedendo in pericolo la sua reputazione e soprattutto la sua vita, mette in discussione tutto, rifiuta il suo sistema e si rivolge alla «convenienza» e all’«onestà», proponendo persino se stessa, nella battuta che conclude la commedia, quale esempio negativo, quale monito per gli amanti a guardarsi bene dalle lusinghe delle seduttrici.

MIRANDOLINA: Queste espressioni mi saran care, nei limiti della convenienza e dell’onestà. Cambiando stato, voglio cambiar costume; e lor signori ancora profittino di quanto hanno veduto, in vantaggio e sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero in occasioni di dubitare, di dover cedere, di dover cadere, pensino alle malizie imparate, e si ricordino della Locandiera [10].

È possibile che il pericolo abbia cambiato davvero Mirandolina, ma il modo autoritario in cui la protagonista si rivolge a Fabrizio sancendo la loro unione matrimoniale, lascia più di qualche sospetto nello spettatore e nel lettore.

FABRIZIO: Ma piano, signora…
MIRANDOLINA: Che piano! Che cosa c’è? Che difficoltà ci sono? Andiamo. Datemi quella mano.
FABRIZIO: Vorrei che facessimo prima i nostri patti.
MIRANDOLINA: Che patti? Il patto è questo: o dammi la mano, o vattene al tuo paese [11].

Che l’autoritaria e dissimulatrice Mirandolina non sia cambiata affatto, ma si accontenti, messa alle strette, di esercitare il proprio potere nella sfera familiare, ben più sicura e protetta?

Conclusione

Se ogni donna fosse consapevole della propria grandezza, il mondo sarebbe di certo un posto migliore. È questa la frase che ho posto in epigrafe alla mia tesi di laurea dedicata ai personaggi femminili di Kleist e che poi ho donato al mio Cristo nell’operetta tumorale Passione [12]. Parole che credo e spero dimostrino tutta la mia stima e tutta la mia devozione nei confronti del genere femminile. Personalmente considero la donna la coscienza del mondo; per questo motivo mi addolora nel profondo vedere come la maggior parte delle iniziative femministe si riduca ad una mera manifestazione narcisistica e si traduca in una mera emulazione maschilistica dannosa, forse più di ogni altra cosa, per la nostra società.

NOTE

[1] La famiglia Schroffenstein. Alla scoperta della prima opera kleistiana, L’Anfitrione secondo Kleist. Là dove è concesso solo sospirare, La bestiale Pentesilea di Heinrich von Kleist, Sonnambulismo e devozione nella Käthchen di Kleist, Heinrich von Kleist – La marchesa di O…

[2] Le donne dell’Uomo senza qualità: la «grande e marmorea» Diotima, Le donne dell’Uomo senza qualità: la «verginale ed eroica» Clarisse, Le donne dell’Uomo senza qualità: l’indolente Agathe, Le donne dell’Uomo senza qualità: la ninfomane Bonadea, Le donne dell’Uomo senza qualità: la nervosa Gerda.

[3] Guido Gozzano, La signorina Felicita ovvero la Felicità, V, v. 49. Per la lettura e l’analisi del componimento rimando all’articolo Guido Gozzano – La signorina Felicita ovvero la Felicità.

[4] Per un approfondimento sul capolavoro boccaccesco e sul rapporto tra lo scrittore e il genere femminile rimando all’articolo Giovanni Boccaccio, uno scrittore al servizio delle donne. Decameron.

[5] «Tutto il fuggente
non è che simbolo:
qui l’indigente
vita si fa,
l’inesprimibile
qui realtà;
Femineo eterno
ci trae al superno!»
(Johann Wolfgang Goethe, Faust, traduzione e note di Guido Manacorda, RCS, Milano 2005, p. 909). Per un approfondimento sull’opera rimando all’articolo Alcune superflue considerazioni sul monumentale Faust di Goethe.

[6] Per un approfondimento sul primo dei quattro maggiori romanzi di Dostoevskij rimando all’articolo Delitto e castigo, dalla dialettica alla vita.

[7] Carlo Goldoni, La locandiera, Newton Compton editori, Roma 1994, atto I, scena IX.

[8] Ivi, atto II, scena XIX.

[9] Ivi, atto III, scena III.

[10] Ivi, atto III, scena ultima.

[11] Ibidem.

[12] Operette tumorali – Passione.

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