Pochi giorni fa è trascorso per la cinquecentesima volta l’anniversario di morte del genio toscano Leonardo da Vinci, commemorazione che ha dato il via ad una serie di eventi e dibattiti dedicati all’uomo che sognava di volare.
Sproporzionata per qualsiasi essere vivente la sua vasta produzione ed i campi di indagine che ha attraversato da protagonista: dalla paleontologia alla scienza, dalla pittura all’architettura, dall’anatomia alla letteratura, passando per l’ingegneria e la musica. Una mente oceanica che confrontata alle sciocchezze che son state dette e scritte in questi giorni, dovrebbe catapultarci in un religioso silenzio.
Ma non lasciamoci frenare dalla nostra formichevole piccolezza, e continuiamo a scendere nel baratro dell’ignoranza che ci circonda affrontando un tema un po’ dal sapore nerd-rinascimentale: che rapporti correvano tra Leonardo e Michelangelo?
“Ma cosa ce ne frega a noi di questi gossip”, dirà stizzito qualcuno di voi. E non senza ragione. Ma qui la curiosità lascia spazio all’antropologia spicciola, quella che mi spinge ad immaginare un incontro che è realmente avvenuto tra due dei geni più fulgidi dell’intera storia dell’umanità.
Non so se avete mai riflettuto sulla portata dell’incontro: quando si è potuta ripetere nella storia dell’umanità che due menti così eccelse potessero parlare tra di loro? Come se Picasso avesse incontrato Caravaggio, come se Brunelleschi avesse avuto occasione di disegnare sullo stesso foglio di Ippodamo da Mileto, o come se Dostoevskij avesse trovato in Dante un amico con il quale scambiarsi vedute letterarie.
Fantasiose utopie, lo sappiamo, che magari sarebbero terminate una fatale incomprensione.
Nel caso dei nostrani geni toscani, nati a pochi chilometri l’uno dall’altro con uno scarto temporale di 23 anni – Michelangelo più giovane di Leonardo – non possiamo dire con certezza quale fu il primo vero incontro, ma possiamo affermare con estrema sicurezza che tra i due vi era una reciproca antipatia. Anche se tra geni bisognerebbe capirsi, così vorrebbe la logica.
Eppure, nonostante le differenze anagrafiche e stilistiche, su molti argomenti la pensavano in maniera molto similare. Un tema che li metteva d’accordo per esempio era quello religioso: entrambi giudicavano troppo “terrena” l’istituzione chiesa per occuparsi delle questioni che riguardano “l’anima” e, Leonardo in particolar modo, consideravano come “monete invisibili” le promesse di vita eterna che dispensavano i prelati.
Religione a parte, il loro rapporto conobbe fasi di estrema tensione, vuoi per differenti vedute artistiche, per la grande differenza di età, vuoi anche per le divergenze inconciliabili dei rispettivi caratteri.
Le cronache dell’epoca raccontano alcuni aneddoti divertenti tra i due, al limite della leggenda: l’Anonimo Gaddiano narra di un incontro avvenuto nei pressi di Santa Trinita, dove Michelangelo schernì Leonardo, appena tornato da Milano, utilizzando un verso della Divina Commedia. Leonardo, poco iracondo e ancor meno incline ad accettare le critiche del giovane artista, si limitò ad ignorarlo, mandando su tutte le furie l’impulsivo Michelangelo che lo incalzò attaccandolo sul fallimento del progetto per una statua equestre commissionata dal duca milanese Francesco Sforza. Stizzito gli disse: “et che t’era che creduto da que’ caponi de’ Milanesi?”.
Nonostante ciò non fu per vendetta che Leonardo decise di criticare l’arte michelangiolesca, pur senza mai nominarlo, quando nel suo trattato sulla pittura criticò le connotazioni anatomiche della pittura moderna etichettandola come viziata da “eccessi anatomici” e intrisa di “retorica muscolare”.
L’apice dello scontro ebbe come teatro Palazzo Vecchio: nel 1504 si dibatteva sulla collocazione del David di Michelangelo e tra le varie personalità che vennero interrogate a riguardo ci fu anche Leonardo. Secondo quest’ultimo, la statua doveva essere collocata sul lato corto della Loggia della Signoria, “di modo che non guasti le cerimonie delli ufficiali”. Come lui la pensava anche Giuliano da Sangallo, sebbene fortunatamente a spuntarla alla fine fu la frangia capitanata da Michelangelo e Filippino Lippi, i quali stabilirono come locazione definitiva per il David la piazza antistante l’accesso a Palazzo della Signoria.
Ma Michelangelo non fu l’unico con cui Leonardo ebbe da ridire, esprimendo il suo alto giudizio estetico. Un’altra illustre vittima fu il suo amico Sandro Botticelli, che conobbe e con il quale lavorò nell’orbita della bottega del Verrocchio.
In particolare si espresse negativamente a proposito del tema dei paesaggi nelle opere pittoriche realizzate dal pittore fiorentino, mettendolo per iscritto nel suo “Trattato della pittura”, arrivando ad affermare che Botticelli fece “tristissimi paesaggi”.
“Quello non sarà universale che non ama egualmente tutte le cose che si contengono nella pittura; come se uno non gli piace i paesi, esso stima quelli esser cosa di breve e semplice investigazione, come disse il nostro Botticella, che tale studio era vano, perchè col solo gettare di una spugna piena di diversi colori in un muro, essa lascia in esso muro una macchia, dove si vede un bel paese. Egli è ben vero che in tale macchia si vedono varie invenzioni di ciò che l’uomo vuole cercare in quella, cioè teste d’uomini, diversi animali, battaglie, scogli, mari, nuvoli e boschi ed altre simili cose; e fa come il suono delle campane, nelle quali si può intendere quelle dire quel che a te pare. Ma ancora ch’esse macchie ti dieno invenzione, esse non t’insegnano finire nessun particolare. E questo tal pittore fece tristissimi paesi.”
Nonostante il sasso scagliato contro l’amico, tra di loro i rapporti non furono algidi come quelli con Michelangelo: una recente leggenda, alimentata da alcuni testi conservati all’Hermitage di San Pietroburgo, vedrebbe nei due compari di bottega i fondatori di una locanda a due passi da Ponte Vecchio, “Le tre rane”. Da qui anche una serie di impiattamenti pensati da Leonardo stesso, oltre a dei marchingegni per tritare verdure e carne. La locanda non ebbe grande successo a quanto pare, e la leggenda vuole che i due si dedicarono ad altro con maggiore fortuna.