Come ho già scritto altrove, quello di Faust è uno dei miti più rappresentativi, emblematici, caratterizzanti del genere umano. Inesauribile fonte d’ispirazione artistica, nell’ambito letterario i capolavori assoluti dedicati a questo mito sono senza dubbio il Faust di Goethe [1] – su tutti -, il Doctor Faustus di Mann [2] e Il Maestro e Margherita di Bulgakov [3]. C’è poi tutta una serie di opere minori, più o meno preziose, che da Marlowe arriva a Sanguineti, passando, tra gli altri, per Turgenev, Pessoa e Adelbert von Chamisso, autore del racconto Storia straordinaria di Peter Schlemihl, al quale è legata la sua discreta fama letteraria (oltreché scrittore, Chamisso, fuggito dalla Francia e rifugiatosi in Germania con la famiglia allo scoppio della rivoluzione, fu anche naturalista, partecipando, dal 1815 al 1818, a bordo della nave russa Rjurik, ad una spedizione nel Pacifico descritta nel volume Viaggio attorno al mondo, del 1836).

Il racconto di Chamisso, che si caratterizza per l’impostazione favolistica (la sua forza e, al tempo stesso, la sua debolezza), si apre subito con il funesto accordo tra il protagonista, il povero Peter Schlemihl, narratore in prima persona della sua straordinaria storia, indirizzata proprio all’amico Chamisso, e il diavolo, «un diavolo mirabilmente disegnato» [4], come scrive Mann, diabolico nella figura, grigia, affilata, aguzza, così simile alla punta d’un filo di refe, ma non nel contegno, cortese e ossequioso, persino timido e imbarazzato, almeno all’inizio. Questo l’accordo: Peter Schlemihl cede la sua ombra in cambio della mitica borsa di Fortunatus, inesauribile fonte di denaro. Senza pensarci troppo, anzi, senza pensarci affatto, di fatto.
«Lui assentì, si mise in ginocchio davanti a me e potei vederlo staccare con meravigliosa perizia la mia ombra dal terreno, dalla testa fino ai piedi, sollevarla, arrotolarla, piegarla e, alla fine, riporsela in tasca. Poi si alzò, si inchinò ancora una volta, sparì dietro ai cespugli delle rose» [5].

Schlemihl inizia immediatamente ad attirare l’attenzione di tutti per la sua singolare e inquietante mutilazione. Degli studenti all’uscita da scuola lo dileggiano e gli scaraventano addosso manciate di fango. Il protagonista si avvede subito del madornale errore commesso, ma tornare indietro non è possibile ed è così che ha inizio il suo destino di esclusione, di emarginazione, di solitudine (tre parole chiave del racconto di Chamisso). Egli è ormai marchiato, come Caino. Grazie al devoto e fedele servitore Bendel, l’unico a non giudicarlo per la mancanza dell’ombra, e che si prodiga per celare agli altri la mutilazione del padrone, Schlemihl torna nel mondo e tra gli uomini, ma finisce per tradirsi, a causa di una donna, la bella Fanny, che sviene dopo l’orribile scoperta. Il protagonista è dunque costretto a fuggire, il più lontano possibile. Si rifugia in una città termale, di cui diviene il “re”, dispensando denaro a piene mani, e dove si innamora dell’angelica Mina. Ricambiato, avanza la sua proposta di matrimonio al padre della giovane, ma il suo segreto salta fuori. Ed è proprio a questo punto, esattamente un anno e un giorno dopo il loro primo incontro, che ricompare il Grigio, il diavolo, rivelando ora tutta la sua natura infida e diabolica, raffinatamente malvagia: il diavolo propone a Schlemihl un nuovo accordo: oltre all’infinita ricchezza può riavere la sua ombra, che gli permetterebbe di sposare Mina, insidiata dall’ex assistente del protagonista, il maligno Rascal, ma in cambio, questa volta, dell’anima. Schlemihl è tentato, ma rifiuta. E fugge, di nuovo, licenziando Bendel e consegnando Mina a Rascal. Il suo rifiuto non è certo la manifestazione di una volontà ferrea, perché la volontà nel racconto di Chamisso è abolita, e non resta che la Provvidenza:
«siamo ruote che mettono in moto altre ruote, e queste sono, a loro volta, messe in moto da altre, ancora. Quanto deve avvenire, avverrà: mai potrà prescindere da quella Provvidenza, il cui valore appresi, dunque, a valutare come merita sia riguardo al mio destino, sia riguardo al destino altrui che il mio ebbe a toccare».

Ramingo come Caino, Schlemihl vaga senza una meta per paesaggi friedrichiani, con il diavolo che ormai gli si è appiccicato addosso e non lo molla, avanzando di continuo la sua proposta: l’anima in cambio dell’ombra. Ma anche il Grigio commette un errore, quando rivela al protagonista il destino di dannazione del ricco John, anch’egli in accordo con il diavolo.
«Ombre di persone già conosciute mi passarono davanti all’anima. Improvvisamente, gli domandai:
– Lei possiede anche una firma del signor John?
Si mise a ridere:
– Da un così buon amico, proprio non ne ho mai avuto bisogno.
– E allora dov’è, Dio mio? Lo devo sapere, assolutamente!
Infilò, esitante, la mano nella tasca e da lì, tirata per i capelli, apparve la figura deformata, sbiancata di Thomas John: le sue labbra blu e cadaveriche si muovevano, e nient’altro riuscivano a pronunciare se non questa terribile sentenza: “Justo judicio Dei judicatus sum; justo judicio Dei comdemnatus sum” [“Dal giusto giudizio di Dio io venni giudicato, dal giusto giudizio di Dio io venni condannato”, Giovanni, 7, 24]. Inorridii. Gettai con un gesto rapido, imprevisto la borsa tintinnante giù, nel fondo dell’abisso, poi gli rivolsi le parole estreme:
– Creatura maligna! Io ti scongiuro, nel nome di Dio: allontanati da qui, e possa io non vederti mai, mai più!
Torvo, quello si alzò, scomparendo dietro i massi rocciosi che facevano da confine a quel luogo selvaggio e incolto».
Peter Schlemihl vince il diavolo, che se ne va, sconfitto, e non tornerà più. Il protagonista si dà al vagabondaggio, pensando di massacrarsi di lavoro in miniera («a prescindere dal fatto che il mio attuale stato mi obbligava a provvedere di persona al mio mantenimento, in me era ormai del tutto chiaro che solo un lavoro massacrante avrebbe potuto preservarmi dalla devastazione dei miei pensieri», e vengono in mente le parole di Martin nel Candide di Voltaire, con le due opere che hanno numerosi aspetti in comune, secondo il mio modesto parere [6]), ma la Provvidenza lo premia per la sua capacità di resistenza e di resilienza, donandogli nientemeno che gli stivali delle sette leghe. Schlemihl si dona così all’esplorazione e alla scienza, facendosi naturalista, come il suo amico-creatore Chamisso. Non solo, egli diviene eremita, eleggendo una caverna nel deserto sua dimora e cibandosi di ciò che offre spontaneamente la terra. Il fedele cagnolino Figaro colma il suo sterminato vuoto affettivo. Ma c’è ancora spazio per un colpo di scena: ammalatosi a causa di una disavventura in Scandinavia, il protagonista si ritrova ricoverato nello Schlemihlium, l’ospizio fondato da Bendel in memoria del suo padrone e frequentato da Mina, oramai vedova. Ma Schlemihl non si rivela e, una volta guarito, torna alle sue incombenze scientifiche, rinunciando a ricongiungersi con il vecchio amico e con il vecchio amore. Termina così il racconto di Chamisso.
Ora, viene naturale domandarsi cosa sia, cosa rappresenti l’ombra, la cui perdita è la causa delle avventure e delle disavventure di Peter Schlemihl. Nella poesia che inaugura il racconto Chamisso la definisce «essenza»; nel corso degli anni è stata via via interpretata come la patria (in riferimento al destino di esule dello stesso Chamisso), la coscienza, l’inconscio. Di certo l’assenza, la mancanza dell’ombra esclude il protagonista dalla società, consegnandolo all’esclusione, all’emarginazione, alla solitudine. L’ombra potrebbe dunque rappresentare una sorta di allegoria di quel corredo di convenzioni che, di fatto, danno diritto di cittadinanza all’interno dell’umano consorzio. L’ombra è convenzione, una sorta di attestato di conformismo, di omologazione. Chi ne è sprovvisto è diverso e straniero, come tale reietto e ramingo. Si veda in tal senso la conclusione del racconto, con i consigli di Schlemihl a Chamisso:
«amico mio, se vuoi davvero vivere con gli uomini, impara a essere rispettoso in primo luogo della tua ombra, e poi del tuo denaro. Ma se, al contrario, vuoi vivere solo con te stesso, e magari con la parte migliore di te stesso, allora non ti serve proprio nessun consiglio».
È proprio a causa delle convenzioni sociali che Schlemihl ha dato via la sua ombra in cambio di denaro, ma, escluso dall’umano consorzio, egli trova se stesso, la parte migliore di se stesso e torna all’essenziale, lontano dalle sovrastrutture sociali che non fanno altro che ammantare l’umana esistenza di superfluo, e non solo a livello materiale, ma anche a livello affettivo e sentimentale. Al termine del racconto Peter Schlemihl appare davvero come un uomo compiuto (in tal senso l’opera di Chamisso si configura come un Bildungsroman in miniatura). E la principale sconfitta è la vanitas, di cui il Grigio, il diavolo è una sorta di rappresentazione allegorica.
NOTE
[1] Per un approfondimento sull’opera di Goethe rimando all’articolo Alcune superflue considerazioni sul monumentale Faust di Goethe.
[2] Per un approfondimento sul romanzo di Mann rimando all’articolo L’«arco vertiginoso» di Adrian Leverkuühn nel Doctor Faustus di Thomas Mann.
[3] Per un approfondimento sul romanzo di Bulgakov rimando agli articoli Il Maestro e Margherita: la ri-scrittura del mito. Prima parte, Il Maestro e Margherita: la ri-scrittura del mito. Seconda parte.
[4] Citato in Valerio Magrelli, Introduzione a Adelbert von Chamisso, Storia straordinaria di Peter Schlemihl, traduzione di Mario Santagostini, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma 2011, p. 7.
[5] Le citazioni sono tratte da Adelbert von Chamisso, Storia straordinario di Peter Schlemihl, cit.
[6] «”Lavoriamo senza ragionare” disse Martin; “è l’unico modo di render la vita tollerabile”». Per un approfondimento sul romanzo di Voltaire rimando all’articolo L’ariostesca odissea di Candide nel migliore dei mondi possibili.