Vasilij Grigor'evič Perov, Ritratto di Dostoevskij, 1872.

Personaggi e temi dell’«Adolescente» di Dostoevskij. Capitolo terzo – Versilov, l’«uomo libresco»

III. Versilov, l’«uomo libresco»

Anche Arkadij [1], come Alëša Karamazov [2], l’altro più celebre adolescente dostoevskiano, oscilla tra due poli, uno positivo, l’altro negativo. Il polo positivo è rappresentato da Sof’ja, la madre, e dal pellegrino Makar, il padre legale, incarnazioni della più pura e bella essenza russa. Al contrario, il polo negativo è rappresentato da Versilov, il padre naturale. Ma neanche quest’ultimo, a ben vedere, è un personaggio completamente nero. Non mancano in lui slanci nobili, virtuosi, di generosità e altruismo, ma tutto è avvelenato da un’irriducibile e malsana fedeltà a ridicole convenzioni aristocratiche del tutto fuori luogo nella sua situazione complicata – anche economicamente -, e, soprattutto, da una predisposizione all’astrattismo che rischia di condurlo più volte alla rovina. In questo senso, sono davvero illuminanti le parole di Katerina Nikolaevna, la sua vittima, quando definisce Versilov un «uomo libresco», appartenente alla categoria degli «uomini di carta stampata», quella stessa categoria negativa alla quale appartengono il sognatore delle Notti bianche [3], l’uomo-topo protagonista delle Memorie dal sottosuolo [4], Raskol’nikov, prima di risorgere come Lazzaro grazie all’amore di e per Sonja [5], Kirillov [6] e Ivan Karamazov, tanto per citare gli esponenti più illustri e significativi. Il cosiddetto «uomo libresco», come indica la definizione stessa, particolarmente efficace (e il fatto che Dostoevskij l’abbia donata a Katerina Nikolaevna mostra l’intelligenza e la perspicacia di questa enigmatica figura femminile), si caratterizza per un approccio fondamentalmente astratto alla vita, dal quale scaturiscono spesso pensieri radicali, estremi, e gesti altrettanto radicali, estremi, come il duplice delitto di Raskol’nikov o il suicidio di Kirillov. In Versilov non avviene però niente di tutto questo (sebbene ci vada vicino); il suo astrattismo sfocia in una sorta di ridicola immaturità senile, e infine nella follia, con il suo sdoppiamento.

Approfondendo la figura di Versilov, vorrei partire da un aspetto che egli condivide, sorprendentemente, con un uomo tutt’altro che astratto, ma diabolicamente pratico, Stavrogin, il funesto demiurgo dei Demòni [7]. Entrambi i personaggi concepiscono lo stesso sogno, il sogno dell’età dell’oro, ispirato al e dal quadro Aci e Galatea di Claude Lorrain, una delle opere d’arte più presenti nell’universo letterario dostoevskiano, insieme alla Madonna Sistina di Raffaello, di cui Versilov ha una riproduzione in casa, e al Cristo morto di Hans Holbein il Giovane [8].

«Feci un sogno per me assolutamente inaspettato, perché non ne avevo mai fatti di simili. Nella Galleria di Dresda c’è un quadro di Claude Lorrain, che il catalogo definisce come Aci e Galatea, mentre io, senza neppure sapere perché, solevo chiamarlo Età dell’oro. Lo avevo visto in precedenza, ma quella volta, due o tre giorni prima, lo avevo notato ancora una volta di sfuggita. Fu appunto quel quadro che mi apparve in sogno, non però come un quadro, bensì come se fosse stato una realtà leggendaria. Del resto, di preciso non so nemmeno che cosa avessi sognato: proprio com’è nel quadro, un angolo dell’arcipelago greco, ma anche il tempo pareva si fosse arretrato di tremila anni, onde celesti, soavi isole e rocce, un litorale fiorito, un magico panorama in lontananza, il richiamo del sole occiduo: qualcosa di inesprimibile a parole. Lì ricordava la propria culla l’umanità europea, e questo pensiero pareva aver pervaso anche la mia anima di amore fraterno. Lì era stato il paradiso terrestre dell’umanità: gli dèi scendevano dai cieli e si imparentavano con gli uomini… Oh, lì abitavano uomini meravigliosi! Si alzavano e si addormentavano felici e innocenti, i prati e i boschetti risuonavano delle loro canzoni e delle loro grida allegre; un grande eccesso di energie vergini andava speso nell’amore e nell’ingenua letizia. Il sole li inondava di tepore e di luce, esultando dei suoi magnifici figli… Un sogno prodigioso, un’alta aberrazione dell’umanità! L’età dell’oro è la più inverosimile di tutte le fantasticherie che siano mai esistite, e tuttavia per essa gli uomini davano tutta la loro vita e tutte le loro forze, per essa morivano e venivano uccisi i profeti, senza di essa i popoli non vogliono vivere e non possono nemmeno morire! Ed era come se io avessi vissuto in quel sogno tutta questa sensazione: le rocce e il mare, e i raggi obliqui del sole al tramonto. Quando mi destai e apersi gli occhi letteralmente bagnati di lacrime ancora mi pareva di vedere tutto questo. Ricordo che ero contento. La sensazione di una felicità, che mi era ancora ignota, mi riattraversò il cuore, sino a farmi male: era l’amore per tutti gli uomini. Era già sera fatta. Nella finestra della mia piccola stanza, attraverso il verde dei fiori che stavano sul davanzale, irrompeva un fascio di raggi e mi inondava la luce. Ed ecco, amico mio, ed ecco che quel sole occiduo del primo giorno dell’umanità europea, che io avevo visto nel mio sogno, si convertì per me subito, non appena mi fui svegliato, nel sole occiduo dell’ultimo giorno dell’umanità europea! Allora particolarmente sembrava di udire sull’Europa il suono di una campana funebre. Non parlo solo della guerra, né delle Tuileries. Anche senza di questo sapevo che tutto sarebbe scomparso, tutto il volto del vecchio mondo europeo, presto o tardi; ma io, come europeo russo, non potevo ammetterlo. Sì, allora avevano appena bruciato le Tuileries… Oh, non temere, io so che questo era “logico”, e capisco troppo bene l’ineluttabilità di un’idea corrente; ma, come portatore della più alta idea della cultura russa, non potevo ammetterlo, poiché la suprema idea russa è la conciliazione generale delle idee. E chi mai allora avrebbe potuto comprendere un’idea simile in tutto il mondo? Io vagavo solo. Non parlo solamente di me, parlo dell’idea russa. Laggiù c’erano le dispute e la logica; laggiù il francese non era che un francese, e il tedesco non era che un tedesco, e questo con la massima tensione che mai vi fosse stata in tutta la loro storia. Di conseguenza, mai un francese aveva tanto danneggiato la Francia e un tedesco la sua Germania, come proprio in quell’epoca! Allora in tutta Europa non c’era un solo europeo! Io solo, fra tutti gli incendiari, potevo dire in faccia a tutti che le loro Tuileries erano state un errore; e io solo, fra tutti i conservatori vindici, potevo dire a quei vindici che le Tuileries, anche se erano un delitto, rientravano tuttavia nella logica. E questo, ragazzo mio, perché io solo, come russo, ero allora in Europa l’unico europeo» [9].

Rispetto al sogno di Stavrogin, il sogno di Versilov si carica, anzi, sovraccarica di implicazioni politiche, ideologiche. Versilov si mostra parente di Stepan Trofimovič Verchovenskij, il nobile liberale ed occidentalista padre ideale dei demòni, generatore di Pëtr Stepanovič-Nečaev; emerge il suo essere un «comunista parigino», come lo definisce sprezzantemente Nikolaj Semënovič, sradicatosi dalla Russia e dalla sua missione cristiana. Versilov individua nella «concezione generale delle idee» la «suprema idea russa», e non sarebbe neppure un messaggio negativo, distante dalla missione conciliatrice, appunto, veicolata dal vangelo e che Dostoevskij dona al popolo russo, ultimo portatore e baluardo degli insegnamenti di Cristo [10], ma è avvelenato alla radice dagli influssi socialisti che in esso riversa il personaggio, e da quel malsano astrattismo di cui è vittima e nel quale, in quanto «uomo libresco», finisce sempre per cadere, facendo male a se stesso e a chi gli è rimasto intorno. Almeno l’idea di Arkadij è pratica, implica un impegno fisico da cenobita, e si fonda su basi che, seppure egoistiche, almeno lo tengono lontano dall’Anticristo, il socialismo. Come se non bastasse Versilov, e non è un aspetto secondario, pecca anche di superbia, di arroganza, quando si inserisce da sé, in modo del tutto autoreferenziale (l’autoreferenzialità è un’altra caratteristica negativa dell’«uomo libresco»), nel novero degli eletti chiamati a salvare la Russia:

«Con i secoli da noi si è creato un tipo superiore di uomo colto, mai visto altrove e che non esiste in tutto il resto del mondo: il tipo che prova sofferenza universale per tutti. È un tipo russo, ma siccome è preso nello strato culturale superiore del popolo russo, di conseguenza io ho l’onore di appartenergli. Esso serba in sé l’avvenire della Russia. Forse siamo solo un migliaio – forse più, forse meno – ma tutta la Russia sinora è vissuta solo per produrre questo migliaio. Diranno che è poco, s’indigneranno che per mille persone siano stati spesi tanti secoli e tanti milioni di gente. Secondo me, non è poco» (632).

Considerando la prospettiva filosofica dostoevskiana, Versilov commette un madornale e grossolano errore, perché solo il popolo russo può salvare la Russia e l’intero occidente, una convinzione che Dostoevskij, dopo aver subito il fascino del socialismo, matura nella terribile, e al tempo stesso illuminante, esperienza-di-vita della katorga rievocata nelle Memorie di una casa morta [11]. Qualche pagina più avanti, Versilov illustra ad Arkadij la propria utopica visione del mondo senza Dio:

«Mi raffiguro, mio caro […] che la battaglia sia già finita e che la lotta sia placata. Alle maledizioni, alle manciate di fango e ai fischi è seguita la tregua, e gli uomini sono rimasti soli, come desideravano: la grande idea di prima li ha abbandonati. La grande fonte di energie che li aveva alimentati e scaldati sino allora, si allontanava, come quel maestoso invitante sole del quadro di Claude Lorrain, ma era già come se fosse l’ultimo giorno dell’umanità. E gli uomini a un tratto compresero di essere rimasti completamente soli e improvvisamente si sentirono desolatamente orfani. Caro mio ragazzo, non ho mai saputo immaginarmi gli uomini ingrati e istupiditi. Gli uomini, diventati orfani, avrebbero subito cominciato a stringersi fra loro più strettamente e più amorosamente; si sarebbero afferrati per le mani, comprendendo che ormai loro soli costituivano tutto l’uno per l’altro! Sarebbe scomparsa la grande idea dell’immortalità e si sarebbe dovuta sostituirla, e tutto il grande eccesso dell’amore di un tempo verso Colui che era stato appunto l’Immortalità, in tutti si sarebbe rivolto alla natura, al mondo, agli uomini, ad ogni filo d’erba. Essi avrebbero cominciato ad amare la terra e la vita irresistibilmente e nella misura stessa in cui gradualmente prendevano coscienza della propria precarietà e finitezza, amando ormai di un amore particolare, non più quello di prima. Avrebbero cominciato ad osservare e nella natura avrebbero scoperto fenomeni e misteri, che prima non avevano nemmeno supposto, poiché avrebbero guardato la natura con occhi nuovi, con lo sguardo di un amante all’amata. Essi si sarebbero svegliati e si sarebbero affrettati a baciarsi l’un l’altro, affrettandosi ad amare, avendo coscienza che i giorni sono brevi, che era tutto quello che rimaneva loro. Avrebbero lavorato l’uno per l’altro, e ciascuno avrebbe dato a tutti la propria sostanza e con questo solo sarebbe stato felice. Ogni bambino avrebbe saputo e sentito che ognuno sulla terra era per lui come il padre e la madre. “Sia pure domani il mio ultimo giorno – avrebbe pensato ognuno, guardando il sole al tramonto – non fa nulla, io morirò, ma resteranno tutti loro, e dopo di loro i loro figli”, e il pensiero che gli altri sarebbero rimasti, amandosi sempre allo stesso modo e trepidando l’uno per l’altro, avrebbe sostituito il pensiero di potersi incontrare nell’al di là. Oh, si sarebbero affrettati ad amare per spegnere la grande tristezza che era nei loro cuori. Sarebbero divenuti timidi l’uno per l’altro. Ognuno avrebbe trepidato per la vita e per la felicità dell’altro. Sarebbero divenuti teneri l’uno verso l’altro e non se ne sarebbero vergognati – come adesso – e si sarebbero accarezzati l’un l’altro come bambini. Incontrandosi, si sarebbero guardati l’un l’altro con uno sguardo profondo e meditato, e nei loro sguardi ci sarebbero stati amore e tristezza…» (635-636).

Il XIX è il secolo della morte di Dio e del crollo delle sovrastrutture religiose e morali ad esso legate, con le filosofie radicali di Stirner [12], di Mainländer [13], che aprono la via alla celeberrima formulazione nietzschiana contenuta nell’aforisma numero 125 de La gaia scienza:

«125. L’uomo folle. Non avete sentito parlare di quell’uomo folle che, nel chiarore del mattino, accendeva una lampada, andava al mercato e gridava incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. Poiché molti di coloro che si trovavano là non credevano in Dio, suscitò una gran risata. “Si è forse perduto?”, disse uno. “Ha smarrito la strada, come un bimbo?”, disse un altro. “O forse si è nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?”. E così gridavano e ridevano insieme. Il folle balzò in mezzo a loro e li trafisse con lo sguardo. “Dov’è andato Dio?”, gridò. “Ve lo dico io. L’abbiamo ucciso noi, – voi e io! Noi tutti siamo i suoi assassini. Ma come abbiamo fatto? Come siamo riusciti a bere tutto il mare, fino all’ultima goccia? Chi ci ha dato la spugna per cancellare tutto l’orizzonte? Che cosa abbiamo fatto, quando abbiamo svincolato questa terra dal suo sole? Ma in che direzione si muove, adesso? In che direzione ci muoviamo noi? Lontano da ogni sole? Non precipitiamo sempre più? E all’indietro, di lato, in avanti, da ogni parte? Esistono ancora un sotto e un sopra? Non vaghiamo attraverso un nulla infinito? Non avvertiamo l’alito dello spazio vuoto? Non fa più freddo? Non scende di continuo la notte, sempre più notte? Non occorre accendere la lampada anche al mattino? Non sentiamo il frastuono dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo ancora l’odore della putrefazione divina – anche gli dèi si putrefanno? Non è troppo grande per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo diventare dèi noi stessi, per essere degni di lei? Non c’è mai stata azione più grande – e chi nasce dopo di noi appartiene, in virtù di questa azione, a una storia più elevata di quanto non sia stata la storia fino ad oggi!”. A questo punto il folle tacque e riprese a osservare i suoi ascoltatori: anch’essi tacevano, guardandolo estraniati. Infine egli gettò per terra la sua lampada, che andò in mille pezzi e si spense. “Sono venuto troppo presto”, disse poi, “non è ancora l’ora. Questo evento enorme è ancora per strada, in cammino, – non è ancora giunto alle orecchie degli uomini. Lampo e tuono hanno bisogno di tempo, la luce degli astri ha bisogno di tempo, le azioni hanno bisogno di tempo, anche dopo essere state compiute, per essere viste e udite. Questa azione è ancora più lontana degli astri più lontani, – eppure sono stati loro a compierla!”. Si dice anche che il folle, quello stesso giorno, sia penetrato in diverse chiese e vi abbia intonato il suo Requiem aeternam deo. A chi lo conduceva fuori e cercava di farlo parlare, rispondeva sempre: “Che cosa sono ormai queste chiese, se non le tombe e i monumenti funebri di Dio?”» [14].

Dio muore, ma non accade nulla di quanto immaginato da Versilov, anzi. Inizia la crisi irreversibile dell’uomo, testimoniata, in letteratura, dai monumenti di Mann [15], Kafka [16], Musil [17], Joyce [18], Svevo [19], Proust [20], e che sfocerà in ben due, sanguinosissimi, conflitti mondiali. Ma Versilov stesso lo sa – ribadisco, egli non è un personaggio completamente negativo, nero, come un Ivan Karamazov -, e, definendosi un «teista filosofico», confessa di non saper rinunciare a Cristo:

«[…] la mia fede è grande, io sono teista, un teista filosofico, come tutto il nostro migliaio di uomini, così suppongo, ma… ma è curioso che terminassi sempre il mio quadretto con la visione, come Heine, di Cristo sul Mar Baltico. Non potevo fare a meno di Lui, non potevo insomma non immaginarlo tra gli uomini divenuti orfani. Egli veniva a loro, stendeva verso di loro le mani e diceva: “Come avete potuto dimenticarlo?”. E qui era come se una benda fosse caduta da tutti gli occhi e risuonava il grande inno solenne della nuova ed ultima resurrezione…» (637).

Un personaggio, più di ogni altro, nell’Adolescente giudica con esattezza Versilov, ed è Katerina Nikolaevna, la sua ossessione e la sua vittima, colei che conia, come abbiamo visto, le definizioni «uomo libresco» e «uomini di carta stampata». Ma la donna sottolinea altri due aspetti peculiari di Versilov, tra gli altri, e dell’idealista in generale: la ridicolaggine, nella quale rischia di scivolare ad ogni suo singolo passo, e l’inclinazione al giudizio morale negativo sugli altri: «un idealista, dopo aver battuto la fronte contro la realtà, sempre, prima di ogni altro, è incline a supporre qualunque turpitudine» (644). Si tratta di una sacrosanta verità, che riguarda anche, in prima persona, Arkadij, il giovane idealista in balia del disordine, e si pensi soprattutto ai suoi frequenti giudizi negativi sulle donne, o alla sua inclinazione verso una misantropia cupa.

Alla fine del romanzo Versilov si sdoppia, sfiora il delitto e sprofonda nella follia. Le seguenti parole di Nikolaj Semënovič, l’ex precettore di Arkadij, lo fotografano e lo marchiano a fuoco:

«È un vero poeta e ama la Russia, ma in compenso anche la nega totalmente. È privo di ogni religione, ma è quasi pronto a morire per qualcosa d’indefinito, a cui non sa nemmeno dare un nome, ma in cui crede appassionatamente, sull’esempio di una quantità di civilizzatori europei russi del periodo pietroburghese della storia russa» (757).

Emerge ancora da queste righe quella compresenza di bene e male che caratterizza Versilov. Egli non sarà completamente nero come l’uomo-topo protagonista delle Memorie dal sottosuolo, come Svidrigajlov, Kirillov, Stavrogin e Ivan Karamazov, d’accordo, ma Arkadij, dalla lontananza dal padre naturale, non può trarne che benefici.

NOTE

[1] Per un approfondimento sul giovane protagonista del romanzo rimando al secondo capitolo di questo studio: Personaggi e temi dell’«Adolescente» di Dostoevskij. Capitolo secondo – L’idea di Arkadij.

[2] Per un approfondimento sull’ultimo e più grande romanzo di Dostoevskij rimando agli articoli I fratelli Karamazov, il «libro sacro». Prima parteI fratelli Karamazov, il «libro sacro». Seconda parteFëdor Dostoevskij, Il Grande Inquisitore.

[3] Per un approfondimento sul celebre racconto di Dostoevskij rimando all’articolo Le notti bianche, il dramma del sognatore.

[4] Per un approfondimento sul romanzo rimando agli articoli Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo. Prima parteDostoevskij, Memorie dal sottosuolo. Seconda parte.

[5] Per un approfondimento sul primo dei quattro maggiori romanzi di Dostoevskij rimando all’articolo Delitto e castigo, dalla dialettica alla vita.

[6] Per un approfondimento sull’ingegnere dei Demòni rimando all’articolo Aleksèj Niljč Kirillov, l’Uomo-Dio.

[7] Per un approfondimento sul protagonista dei Demòni rimando agli articoli Nikolàj Vsèvolodovič Stavrògin, il funesto demiurgo. Prima parteNikolàj Vsèvolodovič Stavrògin, il funesto demiurgo. Seconda parte.

[8] Per un approfondimento sulla presenza dell’impressionante capolavoro del pittore tedesco nell’Idiota rimando all’articolo Dostoevskij ed il “Cristo morto” di Holbein.

[9] Fëdor Dostoevskij, L’adolescente, introduzione di Eridano Bazzarelli, Rizzoli, Milano 2011, pp. 629-631. D’ora in poi il numero di pagina tra parentesi nel corpo del testo.

[10] Per un approfondimento sul pensiero dello scrittore russo rimando all’articolo Fëdor Dostoevskij, il pensiero: l’uomo tra Cristo e il sottosuolo.

[11] Per un approfondimento sul romanzo rimando agli articoli Dostoevskij e l’esperienza di vita della katorga: lettura delle «Memorie di una casa morta». IntroduzioneDostoevskij e l’esperienza di vita della katorga: lettura delle «Memorie di una casa morta». Prima parteDostoevskij e l’esperienza di vita della katorga: lettura delle «Memorie di una casa morta». Seconda parte.

[12] Per un approfondimento sul filosofo tedesco rimando all’articolo
Max Stirner, L’unico e la sua proprietà.

[13] Per un approfondimento sul filosofo tedesco rimando all’articolo Philipp Mainländer, il suicidio come redenzione dall’esistenza.

[14] Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, traduzione di Francesca Ricci, in Id., Opere. 1882/1895, Newton Compton editori, Roma 2008, pp. 121-122.

[15] Per un approfondimento sullo scrittore tedesco rimando agli articoli L’evoluzione di Hans Castorp ne La montagna incantata di Thomas Mann, L’«arco vertiginoso» di Adrian Leverkhühn nel Doctor Faustus di Thomas Mann.

[16] Per un approfondimento sullo scrittore ceco rimando agli articoli La metamorfosi. L’incredibile risveglio di Gregor Samsa, Franz Kafka, Il processo: colpevole senza colpa e per legge di natura.

[17] Per un approfondimento sullo scrittore austriaco rimando agli articoli I turbamenti del giovane Törless – Fascino ed angoscia, Ulrich, l’uomo senza qualità. Prima parte, Ulrich, l’uomo senza qualità. Seconda parte, Le donne dell’Uomo senza qualità: la «grande e marmorea» Diotima, Le donne dell’Uomo senza qualità: la «verginale ed eroica» Clarisse, Le donne dell’Uomo senza qualità: l’indolente Agathe, Le donne dell’Uomo senza qualità: la ninfomane Bonadea, Le donne dell’Uomo senza qualità: la nervosa Gerda.

[18] Per un approfondimento sullo scrittore irlandese rimando agli articoli Lo sviluppo artistico-intellettuale di Stephen Dedalus nel Ritratto dell’artista da giovane, L’Ulisse di Joyce: amor matris.

[19] Per un approfondimento sullo scrittore triestino rimando all’articolo La coscienza di Zeno: originalità e malattia della vita.

[20] Per un approfondimento sullo scrittore francese rimando agli articoli Marcel Proust, «Alla ricerca del tempo perduto»: l’importanza inestimabile di un piccolo dolce, Marcel Proust, «Alla ricerca del tempo perduto»: l’ultimo respiro di Bergotte.

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