
Nel 1967 il comune di Parabita decide per la costruzione del nuovo cimitero comunale, la progettazione è affidata ad Alessandro Anselmi e Paola Chiatante del gruppo GRAU. Nel febbraio dell’anno successivo viene consegnato il progetto, un opera che verrà ultimata solo nel 1982 per colpo dei soliti ritardi dell’edilizia pubblica italiana. Un progettazione che diventerà un riferimento nella carriera dell’architetto, e un cardine del postmoderno italiano.
La festa del muro, la grande celebrazione congiunta della frontiera verticale e del controllo grafico. Nel cimitero di Parabita il muro non si limita ad essere barriera e filtro, oppure segno grafico nel paesaggio planimetrico, ma esce fuori dal fondale scenico per aggettarsi plasticamente in avanti, creando un ambivalenza semantica. Proprio nell’ambiguità della caratteristiche proprie dell’elemento “muro” si gioca la sintassi di Anselmi, un elemento definibile come superficie bidimensionale, come diaframma, si piega e inviluppa fino ad acquistare la qualità di frammento tridimensionale, contraddistinto da una virile “materialità” espressiva. In particolare il setto che separa il cimitero dalla valle ( e dal fronte urbano di Parabita ) diviene valore architettonico come selettore di visuale in entrambi i sensi, ovvero sia dal punto più alto del complesso oscurando l’abitato posto in basso, e nel controcampo diviene la base mistilinea del strutture dell’ossario.
Nella sommità del complesso si sviluppano di nuovo muri a spirale che segnano in planimetria le volute di un capitello, che nella volontà del progettista dovevano legare idealmente al cimitero la spazialità del tempio classico, come archetipo per eccellenza. Una motivazione a mio avviso pretestuosa, utile sicuramente a motivare la squisite libertà grafiche utilizzate per descrivere il progetto, un particolare che non valorizza le scelte linguistiche anzi, soprattutto per l’impossibilità di leggere la metafora se non da un elicottero, oppure saltando veramente in alto.
L’elemento che tiene uniti i vari episodi spaziali, alcune volte piuttosto incoerenti, sono proprio le mura di pietra portanti, realizzate in cemento armato e carparo ( tufo di Gallipoli ). I setti convergono idealmente nell’ossario che funge da fulcro sia in proiezione verticale che in planimetria.

