“A volte, felice, restavo sotto gli improvvisi acquazzoni. Perché, credetemi, l’atmosfera io la conosco bene; e l’ho dipinta tante volte. Conosco tutti i colori, tutti i segreti dell’aria e del cielo nella loro intima natura. Oh, il cielo!
La natura, io le sono così vicino! L’amo! Quante gioie mi ha dato! Mi ha insegnato tutto: amore e generosità. Mi ha svelato la verità che si cela nel mito… Anteo che riprendeva vigore ogni volta che toccava la Terra, la grande Terra!
E con loro il cielo che io mi raffiguro i paesi ove sono vissuto: Napoli, Parigi, Londra.
Li ho amati tutti. Amo la vita, amo la natura.
Amo tutto ciò che ho dipinto.”
Nel 1867, un giovane ragazzo nato a Barletta giunse per la prima volta a Parigi, grande capitale artistica. La sua vita stava per cambiare radicalmente.

Giuseppe De Nittis nacque a Barletta, in Puglia, nel 1846. La sua infanzia fu costellata di lutti familiari, la madre morì quando aveva appena 3 anni; il padre, Raffaele De Nittis, venne incarcerato per le sue idee sovversive e politicamente disallineate, per poi togliersi la vita non appena uscito di prigione, nel 1856. Il giovane Giuseppe crebbe con i nonni. Fin da giovane si mostrò interessato alla pittura, passione che lo portò a frequentare lo studio dell’artista barlettano Giovanni Battista Calò.

Il 1861 fu un anno cruciale per la sua carriera, il primo passo importante verso la pittura come professione: si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Fu una scelta meno facile di quello che si possa pensare: la famiglia non condivise affatto la strada percorsa, ma la determinazione del giovane artista fu carburante per la sua passione. E poi Napoli, città che ha contribuito nell’alimentarlo, dandogli tutto quello che poteva, formandolo come pittore e come uomo.
Se non fosse per il suo carattere, intraprendente e poco incline agli schemi, magari l’Accademia l’avrebbe anche finita, peccato che qualche intemperanza di troppo gli costò l’espulsione nel 1863. Nel frattempo l’artista aveva stretto rapporti con alcuni artisti che lo avrebbero indirizzato versa la sua strada. Uno di questi fu sicuramente Adriano Cecioni, pittore molto vicino al filone dei Macchiaioli, che nel suo soggiorno a Napoli era deciso a lasciare la sua impronta al sud. Grazie a lui conobbe il realismo.

Nel 1866 si avvicinò ai macchiaioli frequentando Firenze. Questo incontro gli permise di conoscere Giovanni Fattori. In questi anni De Nittis compie numerose peregrinazioni in giro per l’Italia, da Palermo, Roma, Napoli, Barletta, Firenze, Venezia e Torino. I suoi viaggi lo accrescono e i suoi soggetti preferiti variano con una discreta predilezione verso paesaggi naturalistici.
Nel 1867 la grande svolta, il viaggio a Parigi, la capitale che lo renderà grande. Il rapporto con i francesi partì bene fin da subito, infatti due anni dopo il suo arrivo si trovò ad esporre al Salon al fianco dei grandi artisti dell’epoca. Adriano Cecioni, che assistette alla mostra, mosse grandi critiche nei suoi confronti, accusandolo di aver assorbito lo stile degli artisti francesi che lo circondavano, dimenticando le sue caratteristiche migliori, il suo bagaglio culturale. La strigliata non passo inosservata a De Nittis, tant’è che già nella successiva esposizione riscosse un enorme successo, in particolar modo con il dipinto “Una strada da Brindisi a Barletta”. Nel 1874 dipinse uno dei suoi quadri più celebri, “Che freddo!”, grazie al quale si guadagnò il soprannome di “pittore delle parigine”.
Sempre in quell’anno partecipò alla prima mostra dell’ Impressionismo, avvenimento storico avvenuto nello studio del fotografo Nadar. In quell’occasione espose undici tele. Nello stesso anno si recò a Londra per la prima volta, dove raccolse numerosi consensi contrariamente a quanto aspettava. Qui dipinse alcune scene di vita inglese.
Successivamente venne insignito della Legion d’onore, massima onorificenza che può essere assegnata dal governo francese ad uno straniero. Questa definitiva consacrazione fece si che la Francia rimase la vera patria dell’artista italiano. Intorno a questo avvenimento vi è proprio una storia singolare. In quegli anni infatti l’artista venne ricevuto dal re Umberto I, il quale gli disse: “Quando un’artista della vostra fama ha avuto la fortuna di nascere in Italia, è a Roma che deve stabilirsi, ed è a Roma che deve ritrarre gli aspetti sulla tela”. A questa affermazione De Nittis rispose francamente: “Maestà, se fossi rimasto in Italia non sarei nemmeno il poco che sono adesso. E’ a Parigi che devo la mia fama, ed anche la soddisfazione di vedermi rivendicato dai miei compatrioti”. Un’acuta osservazione che trova spunti di riflessione anche nella nostra spietata contemporaneità.
Durante la sua permanenza a Parigi, si circondò delle migliori menti del tempo, il suo salotto fu grandemente frequentato da illustri pittori come Degas e Monet e da personaggi illuminati dell’epoca. Il suo stile tuttavia è forse più vicino a quello macchiaiolo anziché impressionista, essendo presente in lui un forte legame con la natura che lo circonda, un’attenzione particolare per i colori, ed un “gesto” molto italiano.
Giuseppe De Nittis trovò infine una morte sfortunatamente precoce, nel 1884, colpito da un ictus celebrale. Oggi è sepolto a Parigi, città che l’ha reso grande e presentato al mondo. Sulla sua lapide vi è scritto un epitaffio ad opera di Dumas figlio, grande amico di De Nittis, che recita così: “Qui giace il pittore Giuseppe De Nittis, morto in piena giovinezza. In pieno amore, in piena gloria. Come gli eroi e i semidei.”