Vasilij Grigor'evič Perov, Ritratto di Dostoevskij, 1872.

Personaggi e temi dell’«Adolescente» di Dostoevskij. Introduzione

«i giovani come voi non sono pochi, e le loro facoltà minacciano realmente sempre di svilupparsi in peggio: o in una soggezione muta, o in un occulto desiderio di disordine. Ma questo desiderio di disordine […] deriva forse da un occulto desiderio di ordine e di “bellezza morale” […] La giovinezza è pura già per il solo fatto che è la giovinezza. Forse in questi così precoci impeti di follia si racchiude precisamente una sete di ordine e una ricerca della verità».

Introduzione

Tra tutti i romanzi di Dostoevskij L’adolescente è, per quanto riguarda l’intreccio, uno dei più complessi e articolati, se non il più complesso e articolato in assoluto. L’insieme dei fatti, degli eventi dà vita ad una trama arabescata, in un accumulo di tensione cronachistico-emotiva lungo centinaia e centinaia di pagine, che rappresenta la prima, più immediata ed evidente manifestazione di quel disordine, interiore ed esteriore, che si impone come il tema principale dell’opera. A tal proposito ricordo, ed è un dato tutt’altro che superfluo ed ignorabile, come Il disordine sia proprio uno dei titoli alternativi pensati dallo scrittore [1]; un dato rivelatore, tanto quanto il titolo pensato inizialmente da Turgenev per il suo opus magnum, Padri e figli [2]: Nichilismo, e che mi permetto di portare all’attenzione del lettore perché estremamente affine, non foss’altro che per il principale tema del conflitto ancestrale genitori-figli, al romanzo di Dostoevskij (del resto, lo stesso Dostoevskij, in relazione alla propria opera, in un articolo contenuto nel Diario di uno scrittore, che leggeremo nel primo capitolo di questo studio, cita Padri e figli, seppur ironicamente, a causa della sua profonda ostilità nei confronti di Turgenev, reo di aver rinnegato la Russia e i suoi valori in favore della Germania).

Il disordine, dunque, al centro dell’Adolescente, sua forza motrice. Attorno ad esso ruotano poi tutta una serie di temi che vanno a comporre il tessuto ideologico dell’opera, e che analizzerò singolarmente nel presente contributo; di certo non per mettere ordine, perché se il romanzo si presenta narrativamente come una matassa intricata, tutto al suo interno è perfettamente calcolato, calibrato, in una struttura architettonica filosofico-narrativa ben salda e solida, affatto confusa, caotica, disordinata. Dostoevskij riproduce il disordine del mondo, della vita e degli uomini, ma senza esserne risucchiato, travolto, schiacciato; nella sua vocazione di artista-demiurgo egli fa luce là dove regnano le tenebre, ri-crea il mondo, la vita e la sua umanità, mostrandone pregi e difetti, benignità e malignità, guidato da una solidità morale che mostra senza fronzoli, senza orpelli retorici e filosofici la via da battere, il cammino da intraprendere, in direzione di quel punto luminosissimo che è Cristo, supremo Credo [3] al quale egli si dona completamente, dopo aver vissuto l’esperienza-limite della katorga, rievocata letterariamente, artisticamente nelle Memorie di una casa morta, frutto del giovanile errore socialista [4].

Protagonista assoluto, incontrastato dell’Adolescente è il giovane Arkadij, l’autore di queste memorie dall’importante valore storico, come sottolinea Nikolaj Semënovič, il suo ex precettore, in conclusione del romanzo [5]. Appena diciannovenne – all’inizio della narrazione -, Arkadij è una coscienza in divenire, proprio come Alëša Karamazov, con il quale condivide numerosi aspetti in comune, rappresentandone però, nel contempo, una sorta di contraltare, a parità d’età [6]. In ogni caso, entrambi si trovano in una fase della loro giovane vita, che potremmo definire oscillante. La loro è una condizione ancora sospesa, in cui non c’è nulla di definitivo, ma tutto è fluido, in incessante, talvolta drammatico, come è inevitabile che sia, divenire. Due giovani esistenze oscillanti tra altrettante esistenze e ciò che esse rappresentano: Alëša oscilla tra lo starec Zosima, incarnazione dell’autentico e puro messaggio cristiano, e il fratello Ivan Karamazov, illustre esponente del sottosuolo del sottosuolo [7], vittima del nichilismo; Arkadij oscilla invece tra Makar, suo padre legale e portatore anch’egli del verbo di Cristo, del dostoevskiano Credo, e Versilov, suo padre naturale, malato di un astrattismo nocivo per se stesso e per gli altri (anticipo sin da ora che a Makar è necessario affiancare Sof’ja, la madre del protagonista, inesauribile fonte di luce e di calore, come la sua omonima parente protagonista di Delitto e castigo, artefice della resurrezione di Raskol’nikov [8]). Ma, nel suo totale e spesso commovente stato di abbandono, di solitudine, di esclusione, Arkadij ha avuto già il tempo di maturare un’idea propria, messa a dura, durissima prova dagli eventi, dal disordine che agita il mondo, strapazzata, bistrattata, abbattuta dalle contingenze, dalle continue e brucianti offese, umiliazioni che l’adolescente non sa, non può sapere, come fronteggiare (al contrario di sua madre, umiliata e offesa, ma mai spezzata), grazie alle quali tuttavia cresce e si forma, completa il proprio processo di maturazione, nella speranza che possa prendere la strada giusta (non sarebbe dovuto accadere, o almeno non subito, ad Alëša Karamazov, che, nelle intenzioni di Dostoevskij, se gli fosse stato concesso altro tempo, sarebbe precipitato nel sottosuolo del sottosuolo, facendosi terrorista e attentando persino alla vita dello zar). Arkadij, nella sua umana fragilità acuita dalla giovane età, è davvero una «canna» agitata, scossa, piegata, umiliata dalla vita e dalla maggior parte dell’umanità che compone la sua opera. Ma tanto dolore non va sprecato, anzi, è necessario a quel pensare bene che, restando nell’ambito pascaliano dal quale ho tratto la metafora della «canna» [9], costituisce il principio della morale. Ed è innanzitutto questo che interessa a Dostoevskij, lo sviluppo morale dell’adolescente, reso complicato, tortuoso dal disordine, di cui «la città più astratta e più premeditata di tutto il globo terrestre» [10], come la definisce l’uomo-topo protagonista delle Memorie dal sottosuolo [11], Pietroburgo, si configura come teatro e rappresentazione allegorica ideali (in tal senso, è innegabile l’influsso negativo, anzi, addirittura mortale della città sulla povera suicida Olja, travolta e schiacciata dal malefico vortice pietroburghese). Complesso, tortuoso, ma non impossibile, perché, al contrario di quanto crede l’intrigante Lambert, non tutti gli uomini sono farabutti; perché bene e male, salvo rarissime eccezioni – e penso subito ai Demòni [12], in cui non c’è davvero alcuna speranza, non c’è un solo riflesso di luce che interrompa almeno per un istante le tenebre diffuse da Stavrogin -, nell’universo dostoevskiano finiscono sempre per bilanciarsi, per equivalersi, e lo scontro tra tesi e antitesi è possibile proprio grazie alla presenza di entrambe. Nella fattispecie, la presenza di Sof’ja e di Makar permetterebbe ad Arkadij di comprendere il vero bene e di incamminarsi verso di esso. Non ne avremo mai la certezza, d’accordo, ma il semplice fatto che Dostoevskij abbia rivisto la sua decisione di far suicidare Arkadij [13], permette di immaginare uno sviluppo positivo, luminoso della sua vita.

NOTE

[1] Eridano Bazzarelli, Introduzione a Fëdor Dostoevskij, L’adolescente, Rizzoli, Milano 2011, p. 7.

[2] Per un approfondimento sul romanzo rimando all’articolo Ivan Turgenev, Padri e figli: il dramma del nichilista.

[3] «Questo Credo è molto semplice, e suona così: credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, più simpatico, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c’è, ma addirittura, con geloso amore, mi dico che non ci può essere. Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità» (Fëdor Dostoevskij, Lettere sulla creatività, traduzione e cura di Gianlorenzo Pacini, Feltrinelli, Milano 2011, p. 51).

[4] Per un approfondimento sul romanzo rimando agli articoli Dostoevskij e l’esperienza di vita della katorga: lettura delle «Memorie di una casa morta». Introduzione, Dostoevskij e l’esperienza di vita della katorga: lettura delle «Memorie di una casa morta». Prima parte, Dostoevskij e l’esperienza di vita della katorga: lettura delle «Memorie di una casa morta». Seconda parte.

[5] «Ma “memorie” come le vostre potrebbero, mi sembra, servire di materiale per una futura opera d’arte, per un futuro quadro, disordinato, ma di un’epoca già passata. Oh, quando sarà passato il presente e sarà venuto il futuro, allora il futuro artista troverà forme bellissime anche per la rappresentazione del trascorso disordine e del caos. Ecco che allora occorreranno “memorie” come le vostre ed esse daranno il materiale, purché siano sincere, nonostante tutta la loro caoticità e casualità… Si salveranno, se non altro, magari alcuni tratti fedeli, per indovinare sulla loro scorta quello che poteva nascondersi nell’anima di un adolescente di quell’epoca torbida: un accertamento non del tutto trascurabile, poiché con gli adolescenti si creano le generazioni…» (Fëdor Dostoevskij, L’adolescente, cit., p. 758).

[6] Per un approfondimento sull’ultimo romanzo di Dostoevskij rimando agli articoli I fratelli Karamazov, il «libro sacro». Prima parteI fratelli Karamazov, il «libro sacro». Seconda parteFëdor Dostoevskij, Il Grande Inquisitore.

[7] Sottosuolo del sottosuolo ovvero il polo negativo del pensiero dostoevskiano. Per un approfondimento rimando all’articolo Fëdor Dostoevskij, il pensiero: l’uomo tra Cristo e il sottosuolo.

[8] Per un approfondimento sul primo dei quattro maggiori romanzi di Dostoevskij rimando all’articolo Delitto e castigo, dalla dialettica alla vita.

[9] «L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l’universo si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua bastano a ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire ed è conscio della superiorità che l’universo ha su di lui; l’universo non ne sa nulla.
Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. È in esso che dobbiamo cercare la ragione per elevarci e non nello spazio e nella durata, che non sapremmo riempire. Lavoriamo quindi a ben pensare: ecco il principio della morale» (Blaise Pascal, Pensieri, traduzione di Franco De Poli, edizione speciale per Corriere della Sera, Milano 2010, pp. 101-102). Per un approfondimento sul pensatore francese rimando agli articoli Blaise Pascal – Il senso della vita come problema fondamentale, Blaise Pascal – Il divertissement come fuga dai problemi esistenziali, Blaise Pascal – Esprit de géométrie ed esprit de finesse.

[10] Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, a cura di Igor Sibaldi, Mondadori, Milano 2014, p. 10.

[11] Per un approfondimento sul romanzo rimando agli articoli Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo. Prima parte, Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo. Seconda parte.

[12] Per un approfondimento sul romanzo rimando agli articoli Nikolàj Vsèvolodovič Stavrògin, il funesto demiurgo. Prima parteNikolàj Vsèvolodovič Stavrògin, il funesto demiurgo. Seconda parteAleksèj Niljč Kirillov, l’Uomo-Dio.

[13] Fëdor Dostoevskij, L’adolescente, cit., p. 122.

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