A volte la vita può prendere vie inaspettate quando meno lo si aspetta. Quella del gentile Henri Rousseau è una esistenza apparentemente come tante fino all’età di 49 anni, quando le sue mani che fino ad allora avevano riscosso gabelle, passano ad impugnare uno strumento ben più nobile del denaro, il pennello.
Vivere a Montparnasse nel 1893, anno in cui va in pensione dall’attività di doganiere (a questo è dovuto il soprannome che lo accompagnerà lungo tutta la sua carriera artistica), non è come abitare Montmartre, ma questo al buon Henri non interessa, non cerca consensi dai suoi contemporanei e non vuole nient’altro che dipingere in santa pace. La sua aria paciosa e l’andamento spensierato portano i critici a dubitare della sua intelligenza, credendo che in fondo non si tratti nient’altro che di un povero ignorante. Ma la semplicità troppo spesso viene confusa con l’ignoranza.

La sua vita incredibilmente tranquilla e priva di alti e bassi, non sembra avere punti in comune con il terremoto di emozioni a cui erano sottoposti gli artisti parigini in quel periodo, il brivido di riscuotere le gabelle nulla può di fronte alle fumerie d’oppio, ai fiumi di assenzio e alle prostitute, tutti elementi di cui abusavano i suoi contemporanei. Eppure quella sua aria scanzonata, e la perenne meraviglia verso il mondo lo porteranno a far conoscere il pittore più importante che transitava per quelle vie, Pablo Picasso. A portarlo da lui sarà molto probabilmente Apollinaire, affezionato amico del pittore spagnolo e parte integrante del gruppo del Bateau-Lavoir. Il poeta nutrirà per lui sempre un genuino affetto, così come tutto il gruppo che non ci metterà molto a farlo sentire accolto nella loro famiglia artistica.
Il Doganiere d’altra parte non mancherà di gesti di generosità sproporzionati rispetto a quello che poteva permettersi, come arrivare a digiunare per una settimana per arrivare alla domenica e poter invitare i propri amici nella sua umile dimora. Ed è grazie ad i suoi amici, Max Jacob, Pablo Picasso e Guillame Apollinaire tra gli altri, che ci arriveranno alcuni aneddoti legati alla sua semplice esistenza: ad esempio era rinomato che il grande Rousseau avesse viaggiato fino in Messico, solo così poteva dipingere con tale meticolosità i paesaggi e le varietà floreali che vi erano laggiù. La realtà era ben altra, aveva osservato l’esposizione universale in cui erano esposti anche alcune riproduzioni di paesaggi sudamericani e da lì aveva preso ispirazioni per molti dei suoi quadri.
A riprova della sua infinita bontà d’animo, va detto che Henri possedeva degli occhi di bambino ed era capace di osservare tutto con sguardi nuovi, e così era anche il suo cuore. Fin poco prima della sua morte infatti ha continuato a cercare una compagna, corteggiando sempre con grande galanteria e lettere intrise di tenerezze e dolci parole. Purtroppo dopo essere diventato vedovo non ha più trovato donne degne di rimanere al suo fianco, o spesso subiva degli umilianti rifiuti.
Chi più di ogni altro rimase colpito dal suo modo di fare e dalla sua pittura fu però Picasso, che nel suo primitivismo ha trovato grande fonte di ispirazione. Lo spagnolo, pur prendendosi ogni tanto gioco della sua ingenuità, difenderà sempre strenuamente il suo amico anche nei momenti più critici e a costo di perdere un cliente importante (ed in quegli anni anche il giovane Picasso ne aveva bisogno). Un momento memorabile rimane senza dubbio la festicciola che gli organizzò alla sua abitazione nel 1908, invitando tutti gli amici compresa Gertrude Stein, Braque e Derain. Tutti riuniti a celebrare il buon Doganiere che arrivò in carrozza insieme ad Apollinaire, munito solo del suo violino, un cappello e il suo fedele bastone alla mano sinistra. Sarà forse una delle serate più belle della sua vita, in cui tutti lo ammireranno stupiti per come un uomo potesse mantenere un animo così fanciullesco e lontano dalle crudeltà del mondo. In merito a quella festa in suo onore, secondo molti fatta per prendersi gioco del Doganiere, Salmon da un’interpretazione ben precisa:
“Non abbiamo amato Henri Rousseau per la sua goffaggine, per la sua ignoranza del disegno; non gli abbiamo voluto bene per il suo enorme candore (…) Noi l’abbiamo amato, come uomo, per la sua purezza, il suo coraggio davanti ad una vita crudele, per una specie di angelicità e, come artista, per il suo sorprendente senso della grandezza, per la sua magnifica ambizione della grande composizione quando, a parte Picasso e Matisse, ma con minore profondità, pochi artisti si dedicavano in quel periodo a grandi composizioni”
Ma anche Picasso non lo avrebbe preso in giro, anzi provava una profonda stima verso l’artista: a riprova va raccontato che una volta scoprì Beatrice Hastings (l’amante focosa di Amedeo Modigliani nei primi periodi parigini) mentre parlava male del buon Doganiere, e di pronta risposta la cacciò in malo modo e non la ricevette più.
Così concluse la sua vita all’inizio della sua carriera artistica, anche se mai era stato accettato dall’ambiente poiché non era considerato un pittore. Anche la storia del suo funerale è incredibilmente pregna dei suoi valori e del suo modo di essere: quando morì nel 1910, con gli occhi ancora pieni d’amore per una donna che non lo ricambiava e rovinato dalla povertà in cui viveva, vennero inviate le partecipazioni per il suo funerale che però arrivarono troppo tardi. La funzione si svolse in uno strano silenzio, nessuno vi presenziò: sembrò come se il gentile Doganiere non volesse arrecare disturbo a nessuno, leggero come era passato nella vita.
