Joseph Beuys nach der Räumung der Staatlichen Kunstakademie Düsseldorf, 1972

Joseph Beuys: Creatività, Capitale, Politica.

È il marzo del 1944, e lo Stuka su cui Joseph Beuys sta volando come operatore radio e mitragliere si schianta al suolo a causa di una intensa ed imprevista bufera di neve: il pilota abbandona la vita nello stesso istante in cui il velivolo da guerra tocca la bianca terra di Crimea.
Il resto è pura leggenda, ed è forse l’ultima tardiva narrazione di un’Epoca in cui la Realtà può volutamente sospendersi, come la neve e il tempo lo sono in questo bosco silenzioso.

Joseph Beuys attende un infinito giorno nella solitudine di questa fitta boscaglia sferzata dalla neve, e ritornerà al mondo dei vivi raccontando alla squadra di soccorso che lo recupera di come sia stato salvato, moribondo, da un gruppo di nomadi tartari che hanno posto su di lui i magici riti e le antiche medicine della loro tradizione. Nella vita di ogni artista che si rispetti vi è un momento, spesso irrintracciabile, in cui un prima e un dopo si toccano irrimediabilmente.

Il nazista è ora uno sciamano, e l’uomo diventa un artista.
L’uomo e il nazista forse non esisteranno più, e non rimarrà altro che l’artista sciamano.

Anni più tardi, nel foyer della Chiesa di San Giovanni di Bochum, alcune voci di giovani artisti riunitisi intorno allo sciamano abitano quello che sarebbe altrimenti lo spazio di un altro silenzio non dissimile, sempre fuori dal tempo di una serata fredda, piovosa.
Ed è qui che Beuys, con poche parole, tratteggia i confini di una Cultura e di una Società che stanno per divenire la mutazione che oggi siamo noi a vivere.

Quale è il ruolo della collettività, ammesso che una ve ne sia, e quale la responsabilità del singolo?
Quale l’illusione reale, e quale una risposta materiale all’illusione?
Ammesso che vi siano scusanti, quale la linea oltre la quale queste non sono altro che alibi tramandati di padre in figlio al solo fine di permettere una cieca, smodata crescita di cui il senso deve essere obliato?
E quale è il reale valore da creare, nel momento in cui creare non sembra essere più un valore?

Creatività, Economia, Crescita, Denaro, Capitale.
Lo sciamano apre uno piccolo squarcio nel velo della Realtà, e scorge un frammento di Futuro. Quelle che seguono sono parole che a distanza di cinquanta anni sono tanto attuali quanto visionarie allo stesso tempo, parole di cui tutti noi dovremmo perpetuare il valore.

 

Joseph Beuys, 1970. Fotografia di © Antonia Reeve, National Galleries of Scotland

 

«Il concetto di crescita economica, assieme al concetto di capitale e ciò che ne consegue, non rendono davvero il mondo più produttivo. No. Il concetto di arte deve rimpiazzare il concetto degenerato di capitale: l’arte è il vero capitale e la gente deve prenderne coscienza. Denaro e capitale non possono rappresentare un valore economico; dignità e creatività umana sono il capitale. E di conseguenza dobbiamo sviluppare un’idea di denaro che sostenga la creatività o di arte che sia, per così dire, capitale. L’arte è il capitale. Non è un’utopia; è la realtà. In altre parole, il capitale corrisponde all’arte. Il capitale è la capacità umana e ciò che da essa deriva. Allora, qui sono in gioco solo due organi o due relazioni polari, da cui nasce il prodotto: creatività e intenzione umana. Questi e non altri sono i veri valori economici. Non il denaro. Tuttavia, il nostro concetto di capitale implica l’intromissione di un valore economico che rovina tutto, perché fa dipendere l’economia dal profitto, dallo sfruttamento, ecc. Esiste solo la capacità umana e ciò che ne scaturisce; e questa può sempre essere discussa e analizzata in un dialogo costante tra le persone e condotta verso una produttività sconfinata che costruisca e ricostruisca il mondo; e che in certe circostanze costruisca un intero nuovo universo, anziché distruggerlo. Il sistema attuale non riguarda la crescita; “crescita” è solo il nome che le danno. In effetti, si tratta di un processo di diminuzione e contrazione. Perché la crescita apparente progredisce in realtà come un tumore; si tratta infatti di un processo letale. Per questa ragione non è assolutamente un processo produttivo, né tantomeno si può parlare di crescita. Non c’è crescita; solo proliferazione additiva, cancerosa, di alcuni interessi che la gente non controlla più. Ma noi possiamo controllarli. Dipende da noi. Non sta ai politici; è inutile prendersela con loro. Magari non hanno sempre le migliori intenzioni, ma ce ne sono di veramente motivati. Tuttavia è consentito loro di fare come gli pare, non vengono mai ripresi, né spinti a prendere parte a un dialogo. In altre parole, se le cose vanno male, bisogna accusare solo sé stessi e nessun altro.»

— Joseph Beuys, in “Cos’è l’Arte”, a cura di Volker Harlan.

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