Se c’è un film che ho visto mille volte, che rivedo d’inverno, roba che fuori nevica o piove oppure c’è freddo. Un film che guardo quando sto male, sono a letto o chiuso in casa. Se ci sta un film del genere è proprio: I soliti ignoti.
Sarà che a casa dei miei c’era, fra le poche vhs, quella di questo film misterioso, che da bambino non guardavo, troppo bianco e nero, grigio.
Monicelli si trovò tra le mani un cast stellare che probabilmente oggi fa ancora più impressione di allora. Il regista toscano farcisce la pellicola con lo strepitoso talento di Mastroianni, con la fisicità strabordante di Vittorio Gassman lanciato per la prima volta in una parte davvero comica, Claudia Cardinale, Renato Salvatori, Memmo Carotenuto e gli strepitosi caratteristi Pisacane e Murgia. Ovviamente senza tralasciare la piccola ma decisiva parte di Totò, che con la sua ingombrante popolarità sarebbe stato forse scomodo come protagonista del film, ma che al contrario con la sue puntuali apparizioni graffia lo schermo con unghie più pronte.
Capannelle (Pisacane) è alla ricerca di una “pecora” che possa sostituire Cosimo (Carotenuto) che è finito in galera. Questo è il preambolo da cui scaturisce la storia, la ricerca di Capannelle, in giro per una Roma meravigliosa e scomparsa, ci fa conoscere i vari personaggi della storia uno dopo l’altro. L’unico incensurato in grado di sostituire Cosimo in prigione è il boxeur fallito Peppe “er Pantera” (Gassman) , all’inizio reticente nell’accettare diventerà poi la “pecora” perfetta per sostituire Cosimo. Questo turbine di personaggi andrà all’assalto della “comare” la cassaforte tanto sognata, l’obiettivo del colpo minuziosamente preparato.
Le definizioni lasciano sempre il tempo che trovano, mi interessa di più sottolineare come questo film abbia regalato spessore a tutta la commedia realizzata in futuro in Italia, oltre alle gag e alle tecniche umoristiche anche temi differenti, come la sconfitta e la morte (Cosimo) prima poco utilizzate nelle pellicole umoristiche, vengono introdotte nel film. Questa capacità “Monicelliana” di ampliare lo spazio tematico della commedia con uno spettro di tonalità ampissimo, renderà non soltanto questo film un capolavoro, ma riuscirà a sollevare le sorti di tutto il genere, rimpolpando direttamente questo “tipo”cinematografico. Alla stessa maniera Chaplin riuscì ad allargare i confini di quel giovane cinema, inserendo in pellicole come Tempi moderni i celeberrimi temi di denuncia sociale.
La narrazione ruota sul perno dei personaggi, della loro caratterizzazione e della vicenda, il paesaggio che attraversano diventa sfocato, quasi confuso, Roma diventa il cartonato di una scenografia teatrale spesso inevitabilmente sottomessa alla commedia. Un mondo senza punti di riferimento, che vive nelle borgate popolari e non ritrae i monumenti della città eterna, dove l’unico punto fermo è il miraggio della cassaforte da svaligiare. Il furto in quel banco dei pegni diventa il loro unico obiettivo, e la rappresentazione di certo modo di vivere, che si contrappone al “lavoro” della gente per bene. Dante Cruciani (Totò) diventa l’archetipo di quello stile di vita, tra il romantico e il disperato, che nella pellicola dimostrerà tutta la genialità e la malinconia di quel personaggio. Un uomo anziano che non è riuscito ad adeguarsi alle peculiarità di una società da cui è però soggiogato. Il suo erede sembra proprio Peppe, che invano cercherà di pianificare “Scientificamente” il colpo al banco dei pegni.
La sceneggiatura è stata redatta dallo stesso Mario Monicelli oltre alla mitologica Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli. Invece il tema musicale d’inspirazione Jazzistica è a cura di Piero Umiliani.
Naturalmente la scena finale riassume in maniera efficace tutto il film, con Capannelle che si allontana nella città illuminata dall’alba dopo aver perso l’amico “Peppe er Pantera” che per una sfortunata serie d’eventi aveva trovato disgraziatamente lavoro.