Angelo Morbelli, il sogno e la realtà nel dramma della solitudine in vecchiaia

Il Pio Albergo Trivulzio era il più noto centro assistenziale per anziani a Milano sul finire dell’ottocento, periodo in cui il pittore Angelo Morbelli decise di affrontare, con un poema denominato “della Vecchiaia”, l’ultima fase della vita di un uomo. E’ struggente e senza veli, non lascia spazio ad ottimismo o a letture meno drammatiche delle impossibili condizioni dei poveri anziani conviventi nel tragico ospizio.

L’ultima opera del ciclo pittorico, la conclusione del cerchio, è rappresentata idealmente dal trittico intitolato “Sogno e realtà”, desolante affermazione del passato sul presente: esposto per la prima volta in occasione della biennale di Venezia del 1905 insieme al quadro “Le parche”, succede cronologicamente ad un rinnovato interesse (come confessato in una lettera a Pellizza da Volpedo) nei confronti del Pio Albergo Trivulzio, luogo che lo aveva accolto ed ispirato fin dalle sue prime opere negli anni ’80 dell’ottocento.

Angelo Morbelli, Sogno e realtà, 1905

A differenza delle prime però, il trittico si presenta in un ambiente sterile e assolutamente poco caratterizzante: un balcone sull’ignoto, il quale sembra invidiare le poche certezze, seppur drammatiche, del romantico viandante di Friedrich, dove persino la nebbia e il mare di ghiaccio probabilmente sarebbero state una prospettiva migliore. La composizione è suddivisa in una parte centrale, che rappresenta ideologicamente il sogno, e le due laterali, in cui i due anziani protagonisti sono ritratti assopiti. La realtà e il sogno messi a confronto in maniera impietosa, di fronte ad un passato raggiungibile sono il una dimensione onirica capace di ricongiungere i due amati ai che furono probabilmente migliori. L’unico elemento di continuità in questa sottile e spietata poesia rimane l’arabesca composizione della ringhiera continua, perno delle due dimensioni.

Il trittico chiude il cerchio della vita, con il ritorno alla giovinezza sognata, condizione altrimenti inaccessibile, ma proseguendo allo stesso tempo il percorso iniziato qualche anno prima sul tema del ricordo: così infatti nel quadro “Mi ricordo quand’ero fanciulla” il tema della memoria, del fragile legame con il passato, veniva già affrontato in maniera matura e smaccatamente fatalista. Non vi è scampo alla malinconia insomma, alla tristezza che genere in sé per sé il ricordo.

In ultimo una particolare attenzione per i temi, tipicamente divisionisti: le problematiche sociali, oltre allo stile della pennellata che rende la scena più onirica e sospesa, fanno di queste opere del primo novecento, a mio avviso, tra le più interessanti della sua composizione.

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