Avete mai visto un film o un documentario che parla anche solo vagamente di architettura? Di solito sono più noiosi di un check-in all’aeroporto, il più delle volte sono da considerarsi come cura naturale per l’insonnia o ancora, parafrasando Loos, verrà un giorno in cui verranno proiettati in carcere come inasprimento della pena.
Eppure, essendo un uomo ricco di speranze, continuo ad incapparvi, ad inciampare nelle comode poltrone da cinema per poi crollarvi sopra, il più delle volte assopito, per un’oretta abbondante, magnificamente cullato da quei fermo-immagine, da quelle musiche trapuntate e soffuse con una voce timida di pianoforte che ci accompagna delicatamente nella terra delle palpebre socchiuse.
Perché persisto, direte voi. Perché è bello dormire al cinema. Ma soprattutto perché ogni tanto, fortunatamente, si incappa in Ila Bêka e Louise Lemoine.
Durante l’ultima edizione del Milano Design Film Festival ho avuto la fortuna di assistere alla proiezione di “Moriyama-San”, un’opera che sovverte l’ordine prestabilito dal 98% dei film a tematica architettonica. Ma diciamo anche 99%.
Colpevolmente, con più di dieci anni di ritardo, ho scoperto questo modo di fare architettura attraverso lo sguardo cinematografico dell’uomo, iniziato probabilmente in maniera nitida con “Koolhaas HouseLife” ed approdato all’ultimo progetto, l’acclamato dalla critica (rediviva) “Moriyama-San”.
Ma arriviamo al film: cercherò con gli illimitati mezzi della parola di raccontarvi questa opera cine-architettonica senza spaventarvi troppo.
“Stiamo mostrando la realtà com’è senza censura né artificio, in altri termini mostrando ciò che è nascosto dietro la bellezza dell’immagine”
Ila Bêka, dopo un sopralluogo con Ryue Nishizawa, Premio Pritzker progettista del “villaggio” di Tokyo, ha deciso di passare una settimana, telecamera alla mano, seguendo il signor Moriyama nella sua più classica routine giornaliera.
Questi giorni di convivenza hanno prodotto poco più di 60 minuti di film, scanditi da qualche parola in un inglese sbilenco pronunciata dal proprietario di casa, mentre il regista si mimetizzava tra l’essenziale arredamento per osservare silenziosamente le abitudini del signor Moriyama in cattività.
Dov’è l’architettura in tutto ciò, obietterà qualcuno di voi? E non siate impazienti, placate le vostre bramosie di calcestruzzo, ci stavamo arrivando.
Infatti il punto è questo, in tutti i film della coppia Bêka-Lemoine l’atteggiamento non è quello di venerare un gesto, osservare un dettaglio costruttivo o delle prospettive mozzafiato, bensì il loro obiettivo è orientato nel seguire i movimenti naturali dell’uomo che vive l’architettura e come essa influenza la vita di tutti i giorni. Non ci sono architetti a parlare per ore delle loro idee, ma ci sono idee che come l’acqua percorrono un letto del fiume.
A tal proposito anche il regista ammette che nei loro “film scoprirai l’architettura attraverso il normale caos della vita, pieno di persone e delle loro storie personali.” Ed è per questo che guardando uno dei loro film si avrà l’impressione di osservare quasi un diario personale, avendo la percezione di invadere la privacy dell’ospite – anche se di fatto è filtrata dagli occhi del regista.

In conclusione, a testimoniare la bontà del loro operato, è arrivata nel 2016 l’acquisizione in toto dei loro lavori da parte del MoMA. Se questo è poco.