La passione di Giovanna d’Arco

“Non ho studiato gli abiti del tempo o cose del genere. La data dell’evento mi sembrava poco essenziale, così come lo è la distanza dal presente. Volevo interpretare un inno al trionfo dell’anima sulla vita. […] Per dare il senso di verità, ho evitato gli “abbellimenti”. Ai miei attori non era consentito toccare trucco e cipria. Ho anche infranto la tradizione dell’allestimento del set. […] Rudolph Maté, con la macchina da presa, ha compreso le esigenze di dramma psicologico nei primi piani e mi ha dato ciò che volevo, quel che sentivo e pensavo: un realizzato misticismo.”

Carl Theodor Dreyer

Un vero gioiello questo lungometraggio del maestro di Copenaghen. Un film figlio dell’approccio francese all’espressionismo visuale, incernierato sulla matrice psicologica dei personaggi, sulla loro “emotività retinica” come molti critici l’hanno chiamata.
Un criterio diverso da quello tedesco, dove la plasticità onirica, innaturale e deformante prendono il sopravvento, al contrario in Francia nasce in quel periodo la pratica della fotogenia.
E’ cosi’ che un’intensa, infinita, maniacale ricerca sul volto umano pervade tutto il film. Il filo conduttore della drammatica messa in scena dal danese Dreyer è il volto splendido di Renèe Falconetti, che con i suoi lineamenti senza tempo inietta pathos nella figura sfaccettata della pulzella d’Orlèans.
Non è solo Dreyer a lavorare sui volti, attraversando il Reno ci si accorge come il cinema francese in generale si concentri sull’introspezione morale dei suoi personaggi, sulla ricerca di un’immagine armoniosa e sottilmente equilibrata, esempi importati sono il Napoleone di Gance e tutta l’opera di Delluc.

Il film si poggia sulla spina dorsale dei tre capitoli: il processo, la sede di tortura e la lunga sequenza della condanna al rogo. Il film non tratta le vicissitudini della vita di Giovanna d’Arco, ma si concentra sugli ultimi giorni della sua vita. Al regista infatti interessa indagare l’intimo dei sentimenti e della psicologia della donna sottoposta al martirio.
È la photogénie, come detto, a determinare le scelte visuali, in una esplosione di primi e primissimi piani, dove l’immagine ha la pretesa di assumere valenza artistica e spirituale. La storia della Giovanna d’Orleans prende forma dai documenti del processo del 1431, esaminati lungamente dallo storico Pierre Champion e dal regista stesso.
Dreyer vuole descrivere tutto il dramma interiore della donna, attraverso l’immagine e le parole aggiunte con le didascalie, mescolando l’inimitabile potenza visiva e la durezza delle parole . L’apporto di Renèe Falconetti è il vero pilastro del film, l’attrice sfodera una delle più grandi interpretazioni mai viste fino ad allora, immedesimandosi in maniera perfetta con Giovanna d’Arco. Pare addirittura che l’interpretazione di quel ruolo le abbia lasciato dei turbamenti psicologici con i quali ha dovuto combattere per gli anni successivi.

La pellicola ebbe una vita travagliata, e solamente pochi anni fa è stata ritrovata la pellicola originale, che pareva essere scomparsa per sempre dopo uno sfortunato incendio.
Il film, che sarà un flop dal punto di vista economico, vedrà praticamente scomparire Dreyer per quindici anni, fino al grande ritorno con Dies Irae (1943).

 

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