Henri Le Sidaner, La banchina, 1898

Henri Le Sidaner – La formazione, i maestri e il pensiero

Metropoli affollate, rumorosamente caotiche, disordinate ed eccessive in tutti i loro aspetti, tendono ad invadere sempre di più la sfera privata di ogni persona. Oggi, come ieri Gauguin, van Gogh e un gruppo di artisti riconosciuti poi nei Post-Impressionisti, il flusso migratorio dei popoli europei ha cominciato ad invertire la rotta riportando una folta schiera di cittadini a prediligere uno stile di vita bucolico, volto a premiare la tranquillità e la pace rispetto allo stress e al caos, che solo la campagna ed un piccolo paese possono darti.

In questo senso i poveri pittori che passarono per la metropoli per eccellenza, Parigi, verso la fine dell’800, compresero in maniera quasi profetica che una civiltà industrializzata stava portando ad un inesorabile meccanizzazione dell’uomo. In questo senso può sembrare comune la ricerca di un artista francese meno noto dei sopra citati, ma che ha colto lo spunto di fine secolo e gli studi dei Neoimpressionisti per portare avanti un lavoro personalissimo, fatto di mistici paesaggi interiori svuotati dalla presenza umana e ricercati con una cura cromatica degna di Signac, Redon o Seurat.

Eppure Henri Le Sidaner, nato nel 1862 su un’isola delle Mauritius, ha una formazione accademica e convenzionale a differenza di molti altri suoi contemporanei, che non portava a pensare ad una svolta così originale e “sui generis”. A conferma dell’atipicità del suo caso va ricordato che dal 1894 entra nell’atelier di Cabanel, pittore elegante e raffinato, senza dubbio dotato di una tecnica fuori dal comune ma rappresentante di una classe che nuota in direzione contrario a chi provava a produrre qualcosa di nuovo, ostinatamente contro l’innovazione nell’arte a favore di un’estetica fine a se stessa e astratta.

Nel periodo successivo il suo stile troverà sempre più una definizione, prendendo una piega decisamente introspettiva. Le sue lunghe permanenze nella regione d’origine (Nord-Pas-De-Calais) lo porteranno infine ad un simbolismo onirico e velato, con tratti di Renoir e Signac, convinto nella solitudine nel quale dipingeva. A voler cercare tra i suoi contemporanei vanno citati senza dubbio Cazin, pittore francese di una generazione precedente con cui senza dubbio Le Sidaner si confronterà, Thaulow, con il quale intraprese un lungo viaggio in Italia e in Olanda, ma anche Laurent ed Emile Claus, pittore belga con cui passo diversi periodi viaggiando per le Fiandre (che saranno il paesaggio con il quale toccherà il picco della sua produzione, ispirandolo con scorci particolarmente evocativi).

Dal 1900 in poi si evincerà appieno il suo pensiero, la sua poetica: l’intimo paesaggio interiore diventerà il centro dell’opera, e a Le Sidaner va dato il merito di aver carpito il segreto “genius loci” di paesi fuori dalla routine metropolitana, di aver dato un significato profondo anche ai fantasmi che affollano i freddi canali del Nord, come al profondo e perenne crepuscolarismo che solo nella luce del nordica trova la sua massima espressione.

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