Monet, tra luci e ombre

“Più invecchio più mi rendo conto che devo lavorare molto duramente per riprodurre ciò che cerco: l’attimo istantaneo. L’influenza del clima sulle cose e la luce che le caratterizza“
(Claude Monet, 1891)

Continuiamo il nostro percorso attraverso i colori, dopo essere partiti dalla “Teoria dei colori” di Goethe e aver approfondito l’impatto avuto sui pittori a lui contemporanei, come William Turner, arriviamo dunque all’impressionista Claude Monet ed in particolare ai suoi profondi studi sull’importanza della luce nella percezione dei colori, sviluppando le teorie che furono del poeta tedesco.

Nella stagione invernale a cavallo tra il 1892 e il 1893, Claude Monet si stabilisce a Rouen con l’intenzione di realizzare una serie di dipinti che riguardassero la cattedrale stessa. Già precedentemente aveva tentato soluzioni simili, come la famosa serie sui covoni di fieno che tanto ha impressionato Wassily Kandinsky, in cui si cimentava nello studio approfondito di un soggetto unico e immobile che mutava infinitamente il suo stato e i suoi colori scontrandosi con gli imperturbabili agenti climatici.

Rouen Cathedral, circa 1832, Joseph Mallord William Turner

In questo caso la scelta è ben più “eversiva”, come ammetterà lo stesso Pissarro. Ma un passo alla volta, ragioniamo sulla scelta del soggetto e sulla modalità di espressione. Scorrendo gli articoli precedenti di questa serie, noterete come i collegamenti sono chiari e non casuali: senza dubbio Monet osservò infatti un ciclo di dipinti, uno in particolare, di Turner, dedicato proprio alla cattedrale gotica, che avrà un influsso decisivo nell’opera del pittore francese. In questa opera inoltre, la cattedrale è ritratta da un angolazione insolita, lontana dal far apprezzare appieno il suo splendore architettonico, anzi. Questo in Monet verrà accentuato stringendo ancora di più l’obiettivo, così come verrà approfondito il problema cromatico legato alle differenti illuminazioni giornaliere.

Come precedentemente detto, le 31 opere furono realizzate più o meno tutte in una stagione, anche se in realtà furono poi terminate al ritorno dal suo viaggio nel suo studio a Giverny nel 1894. La maggior parte di esse sono state realizzate dalla stessa stanza di fronte alla cattedrale, mantenendo così la stessa prospettiva (per quanto è quasi assente, e comunque poco significativa ai fini della comprensione dell’opera) e snaturando l’innaturale bellezza dell’architettura.

L’esperimento del pittore impressionista è quello di dare vita a ciò che per antonomasia è immobile, statico e immutabile (probabilmente se fosse stato realizzato oggi avrebbe dipinto un grattacielo per capirci) e così vedere l’imponente cattedrale in una propensione dinamica grazie all’effetto della luce e dell’atmosfera in generale. In questo modo Monet ha compiuto un passo in avanti notevole, dando la possibilità di delineare diverse facce ad uno stesso monumento con la sola complicità di un ombra, una nuvola o il sole. Così affermerà anche lo scrittore Clemenceau, che scrisse un articolo intitolato “La rivoluzione delle Cattedrali” asserendo che “il pittore ci ha dato la sensazione che le tele avrebbero potuto essere cinquanta, cento, mille, tante quante i minuti della sua vita”.

Claude Monet, Collage di opere relative alla Cattedrale di Rouen

Infine concludiamo con le parole che lo stesso Clemenceau, in un saggio sulla visione intitolato “Le Grand Pan” e datato 1896, ha scritto, riferendosi alla serie di Monet: “Di fronte alla ventina di viste della costruzione di Monet, ci si accorge che l’arte, nella sua persistenza di esprimere con sempre maggior esattezza la natura, ci insegna a guardare, a percepire, a sentire. La pietra si è trasformata in una sostanza organica, e si può percepire come cambia nello stesso modo in cui un fugace momento della vita è seguito da un altro. I venti capitoli di campioni di luce in evoluzione sono stati sapientemente scelti per creare un orientamento ordinato di questa evoluzione. Il grande tempio è di per sé un testamento del sole unificante, e manda la sua massa contro la luminosità del cielo”

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