Lorenzo Viani, Consuetudine, 1907-1909.

Lorenzo Viani scrittore. Prima parte

Non c’è cosa fatta, non c’è via preparata, non c’è modo o lavoro finito pel quale tu possa giungere alla vita, non ci sono parole che ti possano dare la vita: perché la vita è proprio nel crear tutto da sé, nel non adattarsi a nessuna via: la lingua non c’è ma devi crearla, devi crear il modo, devi crear ogni cosa: per aver tua la tua vita.

Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica

1. L’Espressionismo di Lorenzo Viani

L’arte che è la più grande espressione della realtà, ha la virtù o (se volete) il difetto della verità: è impossibile. […] L’arte per me è la esaltazione dell’impossibilità, dell’eccessività, della rivolta o, magari, della follia.

Lorenzo Viani, Note d’arte. L’arte è armonia d’errori

All’inizio del XX secolo un grido assordante, d’angoscia e di protesta, di disperazione e di ribellione si diffonde per la vecchia, spossata Europa, con la prepotenza ingovernabile d’un’onda anomala, sconvolgendo l’arte, rivoluzionandola: il grido dell’Espressionismo.

Si tratta di questo: l’uomo vuole ritrovare se stesso. Può l’uomo essere destinato a trascurare se stesso per un qualche scopo? si è chiesto Schiller. Costringere l’uomo contro la sua natura a questo compito è il tentativo disumano del nostro tempo che lo rende un semplice mezzo. L’uomo è diventato uno strumento della sua stessa opera, non possiede più i sensi da quando serve esclusivamente la macchina. Questa gli ha tolto l’anima. E ora l’anima vuole avere di nuovo l’uomo. Ecco di che cosa si tratta. Tutto quello che stiamo vivendo è questa enorme lotta per l’uomo, lotta dell’anima con la macchina. Perché non viviamo più, ma siamo vissuti. Non abbiamo più libertà, non sappiamo più decidere, siamo come morti, l’uomo è stato privato dell’anima, la natura dell’uomo. Ci vantiamo di essere suoi padroni e maestri, ora la sua vendetta ci ha inghiottiti. Potesse avvenire un miracolo! Si tratta di questo: se l’uomo privato della sua anima, sprofondato e sepolto con un miracolo possa resuscitare.
Mai c’è stata un’epoca scossa da un orrore simile e dalla paura della morte. Mai si era steso sul mondo un tale sepolcrale silenzio. Mai l’uomo è stato così piccolo. Mai l’uomo è stato afferrato da tanta angoscia. Mai la gioia è stata così lontana e la libertà morta. E ora grida tutta la sua miseria: l’uomo grida reclamando la sua anima, dal nostro tempo sale un unico urlo di disperazione. Anche l’arte grida nelle tenebre, grida in cerca d’aiuto, grida in cerca dello spirito: questo è l’espressionismo [1].

Lorenzo Viani, Autoritratto, 1911-1912.

In Italia, a questo prepotente e sovversivo grido si unisce la voce di Lorenzo Viani, tra i pochi, pochissimi artisti e scrittori autenticamente, profondamente, visceralmente espressionisti del nostro paese [2]. Viareggino classe 1882, Viani si forma, si sbozza nelle botteghe dei barbieri presso cui è impiegato come garzone sin da giovanissimo: qui, negli sgabuzzini trasformati in piccole, ma fornitissime biblioteche di fortuna, legge e trascrive i Classici della letteratura universale, da Dante a Dostoevskij, qui scopre l’Anarchia, qui inizia a disegnare. Ed è proprio in una di queste botteghe che lo scopre Plinio Nomellini, esortandolo a battere con impegno e quotidiana regolarità la via della pittura. All’attività artistica Viani affianca quella politica: anarchico militante, nel 1898 diventa il capo del gruppo Delenda Carthago, successivamente entra a far parte del Manipolo d’Apua, in qualità di Grande aiutante, insieme con Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, “Generalissimo”, Giuseppe Ungaretti, “Console d’Egitto”, ed Enrico Pea, “Sacerdote degli scongiuri” [3]. E a partire dagli anni Venti, proprio con una biografia sui generis del Generalissimo, all’esercizio artistico Viani affianca quello letterario.

Che Lorenzo Viani sia un pittore ed uno scrittore espressionista è ormai assodato, del resto l’espressionismo lo pratica da subito, sin dalle sue prime prove artistiche, è la sua vera e propria «cifra» [4], con la critica che, nel corso degli anni, ha parlato di espressionismo provinciale [5], «dialettale» [6], «sociale e visionario» [7], «inquinato da un eccesso di letteratura» [8], «allucinato, di autorità […] europea» [9], «statico» [10]. Credo in ogni caso possa essere utile rintracciare quei particolari aspetti che fanno di Viani un espressionista ricorrendo alle puntuali coordinate fornite da Muzzioli alla voce «Espressionismo» del Piccolo dizionario dell’alternativa letteraria. Il critico individua innanzitutto delle opposizioni attraverso le e sulle quali l’Espressionismo si fonda. Tra queste, la più caratteristica e significativa, anche perché sottolineata con particolare vigore e acredine da Bahr nel suo importante saggio al quale ho già fatto riferimento, è l’opposizione Espressionismo vs. Impressionismo [11]. Opposizione riducibile al contrasto tra attivo e passivo.

L’Impressionismo […] nella sua stessa denominazione, si propone come una disposizione ricettiva. E qui potrebbe vantare la propria importanza come registrazione del nuovo. Al di là di ogni avvenimento epocale, infatti, la novità più profonda – dicono: di un periodo di cambiamenti sempre più rapidi come la modernità – è costituita appunto dai modi del vivere (le structures of feeling) e di recepire i fenomeni. Per essere adeguatamente al passo con il suo tempo, l’arte prova a cogliere addirittura in anticipo tali mutamenti del sentire. Altro aspetto che potrebbe essere vantato dall’Impressionismo a suo favore è la prospettiva di ritorno al prius, al momento vergine del percepire, al di sotto delle sovrastrutture culturali governate dall’abitudine. Mettendosi a livello delle sensazioni, infatti, l’artista cerca di cogliere le cose con una libertà riconquistata rispetto alle conformazioni di quello che non a caso si chiama “senso comune” o “buon senso”. Tuttavia, nella posizione del ricevente degli stimoli si può nascondere la persistenza dell’atteggiamento contemplativo, la visuale privilegiata nel contorno della natura. Un altro limite parallelo è la permanenza nell’estetico (“estetica” indica proprio nell’etimo il momento percettivo). Se l’arte è collocata nella capacità di assorbire sensazioni pure, non contaminate dall’intelletto, ciò in fondo corrobora l’idea invalsa dell’artista come essere speciale, dotato di antenne che mancano agli uomini normali, una specie di sensitivo.
L’Espressionismo contiene invece nel suo nome una spinta, un incentivo dell’attività. Perciò, rispetto al modo di vita, si presenta non come semplice ricezione, ma come reazione. Quindi al contemplativo si sostituisce un atteggiamento dinamico. Non solo la consapevolezza del nuovo scenario, ma anche una contro-risposta ad esso. Mentre l’Impressionismo non può che realizzarsi nella dispersione (fino al puntinismo) che tuttavia conserva effetti suggestivi, l’Espressionismo si concentra nell’impatto di un gesto. Dunque inserisce una energia polemica, che innerva la materia della sua significazione o, se si vuole, della sua semiotica. Mentre una possibilità era quella di “lasciarsi imprimere”, quest’altra è quella di ex-primere, cioè di sprigionare una forza, nei modi della carica o comunque della tensione. Nel caso dell’Espressionismo la “volontà artistica”, che non si esime dal rompere le forme, non ha l’estetico come obiettivo; piuttosto il punto su cui deve essere valutata (o chiede di essere valutata) è in termini di efficacia. Il linguaggio o la materia segnica sono utilizzati come corpo contundente il cui effetto non può essere previsto, ma s’impone di non essere tranquillamente ricevibile [12].

L’avversione, la profonda avversione di Bahr nei confronti dell’Impressionismo, e che Muzzioli individua quale elemento caratteristico dell’Espressionismo, la ritroviamo anche in Lorenzo Viani, che pone la questione in termini di oggettività e soggettività, con la critica del viareggino che risulta ancor più radicale – si tratta di fatto di una stroncatura senza appello -, perché inserita all’interno di una considerazione generale dell’arte e del fare artistico:

L’impressionismo è contro lo stile. È la cronaca dell’arte pura. Chi si compiace di far delle impressioni dimostra di essere superficiale e irriflessivo. L’impressionista è oggettivo. L’artista è profondamente soggettivo [13].

Un’altra fondamentale e fondante opposizione individuata da Muzzioli è quella tra Espressionismo e Realismo. Leggiamo.

Chiaro che, se si tratta di contrastare un malriposto “principio di piacere” con le durezze del “principio di realtà”, l’Espressionismo non può mancare di stare dalla parte del secondo, essendo essenzialmente antiedonista, tale la sua ripulsa del “piacevole” e il suo aver da fare con penose e travagliate resistenze e insistenze, con anime lacerate e con corpi materiali, quindi cedevoli e caduchi.
Tuttavia, se pur realismo c’è, quello espressionista risulta essere di tipo ben diverso da una registrazione o conferma di realtà date. […] Diciamo che l’Espressionismo non ha consuetudine con l’assodata oggettività e invece la realtà che lo tocca e gli tocca è l’insurrezione soggettiva, sia pure nei modi di una sorta di emblematica allegoria dell’Io. Mentre il Realismo, nel suo periodo più importante degli anni Trenta del Novecento […] puntava sul tipico, l’Espressionismo vi contrappone l’eccentrico. È significativo allora non il normale, ma lo strano, per cui nei pressi potrà svilupparsi come affine lo straniamento […]. E anche l’anonimato del nudo uomo, dell’elementarmente umano, che porta gli espressionisti verso l’archetipo e l’arcaico, o verso una sorta di “metafisica dell’anima”, assume valore qui. Se in questo modo si evitano le omologazioni del Realismo, il rapporto con la realtà potrà essere interpretato sotto una specie “combattiva”. E in questo punto potrebbe inserirsi anche una verifica sulla posizione politica, tendente alla protesta anarchica [14].

Per quanto riguarda la conclusione politica della citazione sopra riportata, beh, il caso di Viani è emblematico, come intuibile da quanto scritto finora – seppur solo per brevi accenni -, dell’atavica tendenza all’anarchia da parte degli espressionisti, intolleranti al dominio borghese – si tratta più o meno di tutti borghesi penitenti, quelli che Gian Pietro Lucini elegge destinatari del messaggio rivoluzionario delle sue Revolverate [15] – ed ai suoi nuovi miti: il progresso [16], il produttivismo, il consumismo. Per quanto riguarda invece la questione del Realismo, in un articolo del 1926 Viani si sente in dovere di puntualizzare il proprio significato, originale, espressionistico nella sua funzione di svelamento e di rivelazione, della nozione, contrapposto soprattutto alla sua accezione verista:

Per me realismo è un senso profondo delle cose, poesia che pulsa e solleva le apparenze per rivelare la vita [17].

Una dichiarazione che mostra come Viani, e con lui gli espressionisti in generale, non rinneghino la nozione di Realismo, ma la rielaborino, ponendosi in atteggiamento combattivo nei confronti di quella realtà cui intendono imporre la propria anima, il proprio spirito, il proprio Io.

Edvard Munch, L’urlo, versione del 1910.

Dopo le opposizioni, Muzzioli passa in rassegna le connessioni che caratterizzano la nozione di Espressionismo. La prima e più significativa è quella con la nozione di deformazione, e non potrebbe essere altrimenti, essendo questo il primo aspetto che balza all’occhio – aggredendolo – osservando un quadro – si pensi al capolavoro espressionista par excellence, L’urlo di Edvard Munch – o leggendo un testo espressionisti.

Abbiamo visto che Espressionismo comporta una sorta di principio “vitale”, e quindi richiede di essere valutato non sul piano etico e neppure su quello di qualche registro di “bellezza”, quanto piuttosto mediante una considerazione in termini dinamici: si può parlare di intensità, forza, energia, tensione e quant’altro. Ciò conduce in primo piano l’effetto della deformazione. Così come la realtà è percepita nella sua alterazione, altrettanto la forma, la buona forma, la forma canonica, viene stravolta e modificata. […] La deformazione lavora esagerando e dilatando, parte per la tangente e sforza i limiti, scarta le soluzioni mediane e conciliatrici, con effetti dirompenti.
Per altro il deforme ha spazio nell’Espressionismo anche da un punto di vista tematico. Una volta evitati la ripulsa e la rimozione del brutto [18], anche a costo di mettere il disgusto al posto del gusto educato, l’obiettivo cerca un deforme insieme sociale e psichico, psico-sociale. Il mostro, potremmo dire; tanto più che una certa mostruosità verrà contemplata […] perfino nell’assetto stesso dell’opera. Ora, il mostro è ciò che la comunità non riconosce appartenerle, che respinge e che rifiuta di comprendere; rovesciare il disvalore comminato dal senso comune è obbligatorio per la spinta espressionista che abbiamo indicato – di una pressione dell’esterno verso l’interno che viene restituita all’esterno. Sicché il giudizio negativo del “buon borghese” viene rispedito al mittente, per quanto scandalo ne possa suscitare. Ancora una volta: azione e reazione: e infatti la mostruosità si applica all’inverso dall’altro lato; i veri mostri sono proprio coloro che comminano siffatte condanne e ripulse […], sono gli omologati, i capi e i servi della classe dominante, i campioni della norma e della normalità, i facitori di destini incuranti dell’umano mentre se ne riempiono la bocca, e anche i loro servi sciocchi e le maggioranze silenziose che gli danno il consenso. Se la visuale dinamica dell’Espressionismo ci fa ragionare in termini di carica (sia “caricamento” o sia “assalto” in controtendenza), nulla è più esplicito in tal senso dell’importanza della caricatura. La caricatura è il rendere deformi proprio i sacerdoti depositari del buon ordine costituito [19], bellezza compresa. In questo l’Espressionismo contiene la sua corrosiva e acre critica sociale, nella demistificazione del potere, quando sotto le spoglie della apparenza suadente o dei paludamenti ufficiali si svelano macabri scheletri oppure demoniache ridde, oppure ancora fattezze animalesche ed oscene. Allo stesso tempo, la deformazione intacca l’intera rappresentazione, fino ad accedere allo spazio vacillante dell’onirismo (e dell’incubo, naturalmente, che è addirittura l’incubo della storia) e alle coordinate frananti di una prospettiva rovinosa, come di basi mal costrutte sulle quali ogni stare dell’uomo è divenuto delicato o acrobatico [20].

In perfetta sintonia con quanto scrive Muzzioli, in Viani troviamo un’esaltazione della deformazione, e in forma teorica, o meglio, programmatica, nella quale il viareggino, nella fattispecie specificamente pittore – del resto la nota risale al 1915, prima del suo approdo definitivo alla letteratura -, tratteggia persino una storia della deformazione nell’arte, a partire dagli albori dell’umana civiltà, sottolineandone così il carattere atavico.

L’arte che è la più grande espressione della realtà, ha la virtù o (se volete) il difetto della verità: è impossibile. […] L’arte per me è la esaltazione dell’impossibilità, dell’eccessività, della rivolta o, magari, della follia. […] ridurre alla sintesi definitiva ogni sensazione provata – allontanarsi da quello che è apparenza esteriore per dare la profonda realtà delle cose – deformare per armonizzare – decomporre per costruire: […] ecco una verità per chi ha gli occhi aperti. Egizi, etruschi, babilonesi, bizantini, primitivi – quale superba meravigliosa armonia delle più audaci deformazioni! [21]

Lorenzo Viani, Figure in barca.

Si tratta di una nota straordinariamente importante, illuminante, che chiarifica di colpo ogni tela, ogni cartone, ogni pezzo di eternit dipinti da Viani. Ma la deformazione, evidentemente, riguarda anche, e talvolta in modo ancor più incisivo, ancor più icastico che nelle opere d’arte, l’attività letteraria del viareggino, coinvolgendo anche qui l’essere umano, ma soprattutto, e in maniera davvero abnorme, straripante, come vedremo, la lingua:

Una lingua farcita di dialetti, arcaismi, formulario parlato, neologismi, ossimori, parlate storpiate, “cozzi” lessicali e codici inusitatamente accostati: Viani procura una rottura totale della coesione armonica della lingua al pari del corpo umano; ambedue escono deformati dalla furia delle sue pennellate. Anche il ritmo narrativo ne consegue: procede per blocchi, ritratti, flashes, senza un vero svolgimento narrativo [22].

Altra connessione fondamentale e fondante dell’Espressionismo è quella con il concetto di deviazione. In ogni manifestazione artistica espressionista si assiste ad una serie di deviazioni dell’ordine consueto, dalle sue convenzioni, dai suoi luoghi comuni. L’Espressionismo ribalta le prospettive, s’incammina per altre vie, dimenticate o peggio condannate, stigmatizzate, proponendo soluzioni alternative, meno pacifiche, concilianti, moralmente confortevoli e decisamente più problematiche, dissonanti, contraddittorie e, proprio per questo, più umane.

Se il Realismo, nella sua epoca d’oro, si basava sul rispecchiamento e sulla teoria del riflesso, patendo perciò una certa staticità della rappresentazione, la dinamica dell’Espressionismo si basa sulla diffrazione. Vi si possono riscontrare tutta una serie di deviazioni, su qualunque materiale ci si eserciti e quindi su tutto lo spettro delle pratiche artistiche: dalla dissonanza musicale alla linea sghemba e al colore acido nei generi figurativi, alle abrasioni verbali della poesia, all'”infrangersi in segmenti” della linearità letteraria, alla sproporzione in generale. Incrinature, interferenze, rotture, ritmi sincopati, segni graffianti, cadute, instabilità, crisi, patologie, sarcasmi, impennate, sequenze indiavolate, atonie improvvise, destini crudeli, sessualità brute, aspirazioni illusorie, rumori assillanti e stridenti, utopie rovinate e rovinose, soprassalti folli e quant’altro. Forse basterebbe osservare che la “spinta propulsiva” che anima questo tipo di espressione, per forza di cose e per sua stessa natura procede verso il disordine e lo squilibrio. Su questo piano […] l’espressionismo astratto si comporta allo stesso modo di quello rappresentativo, deformante o caricaturale; altrimenti detto, la musica o la pittura fanno la stessa cosa della poesia, o del romanzo: in tutti i casi, il principio classico dell’armonia viene contestato o aggredito in quanto complice dell’ordine oppressivo.
Ora, la disarmonia dell’Espressionismo coinvolge almeno due implicazioni di ampia portata. Per prima cosa evoca un cambiamento del gusto, poiché armonia, equilibrio e proporzione sono da tempo criteri di giudizio caratterizzanti la giusta e corretta rappresentazione. Per apprezzare il contrario, occorre quindi che si formi un gusto nuovo che chiamerei radicalmente moderno. Un gusto […] in cui l’avvertimento della contraddizione abbia sostituito il compiacimento per la sintesi. In secondo luogo, all’arte-letteratura deve essere affidata una diversa funzione. Non più quella sublimante di confortare, alleviare, pacificare, compensare, consolare, sollevare, appagare e via dicendo, bensì la funzione di una terapia d’urto, il compito di scrollare violentemente l’interlocutore per strapparlo da un sonno pesante (quello dell’ideologia e dell’alienazione). Non di dargli risposte, ma di metterlo di fronte alle domande che non riesce a farsi da solo. Domande che non devono essere risolte nell’opera d’arte: l’opera non finisce, ma continua ad arrovellare anche dopo chiuso il libro o essere usciti dal teatro o dalla esposizione [23].

Lorenzo Viani, Amanti anarchici.

Le penne e i pennelli degli scrittori e degli artisti espressionisti sono lame, lame affilate che recidono le palpebre dei lettori e degli osservatori, schiantati da tanta inconsuetudine. A maggior ragione in Lorenzo Viani, che si definisce idealmente «bakunista» – del resto Bakunin era il suo soprannome [24] -, che considera l’arte «un’inutile mollezza della vita se alle moltitudini oppresse non è dato goderne» [25]. Che ammanta tutte le sue figure di una coltre di morte, perché concepisce la realtà attraverso un non mai precisato «trauma psichico» [26], che dedica la propria, combattiva attività artistica tout court ai combattenti:

Chiuso nel mio studio della Camera del lavoro a Viareggio, contornato da bandiere nere, vermiglie ed eroiche, giuravo a me solo sulla mia volontà indomabile sola […] che quanti avevano lasciato sui sassi della strada o sulle spine della siepe un brandello della loro carne, o nell’officina un fiore della loro giovinezza, o nel carcere il soffio di un vasto affetto umano, dovevano avere la loro gloria in una ferma visione di comune dolore e di comune terrore. E nella notte alta il mio lavoro andò di pari passo ai colpi di martello di mio fratello calzolaio [27].

Muzzioli conclude la propria disamina dell’Espressionismo e dei suoi aspetti caratteristici accostandolo alla tecnica del montaggio, vero e proprio «stigma della modernità, forse il suo principale contrassegno».

[…] l’Espressionismo appare vicino alla modalità del montaggio. Intanto nella sua singolarità soggettiva, quella che si potrebbe definire una “sineddoche impazzita”, dà voce al frammento. Ma poi soprattutto in quanto la potenza della emissione-impulso deve per forza produrre spaccature, disturbi ed eterogeneità, pena il ricadere senza effetto nel reale codificato. Così si includono il collage o l’uso degli inserti. Interferenze e strappi sulle superfici; finestre che si aprono nella linearità su dimensioni compossibili; interruzioni e stacchi come faglie o ferite nel corpo del testo [28].

La pagina vianesca abbonda di spaccature, disturbi, eterogeneità, interferenze, strappi, interruzioni e stacchi, che riguardano sia l’aspetto formale – la scrittura, la lingua, lo stile – sia l’aspetto strutturale – l’intreccio -, mai banali, mai scontati, mai rispettosi dei canoni codificati dalla tradizione, sempre sovversivi, sempre alternativi, perché l’esperienza letteraria di Lorenzo Viani rappresenta una prepotente alternativa, dopo il trionfo di quest’ultima nel primo quindicennio del Novecento – il suo momento d’oro – e il quasi fisiologico – dopo il disastro e l’orrore bellici – ritorno alla misura, alla compostezza, alla tradizione – movimento a ritroso a trazione rondista – del primo dopoguerra.

NOTE

[1] Hermann Bahr, Espressionismo, traduzione di Fabrizio Cambi, Silvy, Scurelle 2012.

[2] Scrive Mario Luzi sul grido espressionista, accostando Viani, qui considerato soprattutto in quanto pittore, ad uno dei maggiori precursori dell’avanguardia, il belga James Ensor: «Confronti, collusioni con l’espressionismo sono stati stabiliti: tra Ensor e Viani, tra Kafka e Tozzi […] ravvicinamenti legittimi nello spirito, illuminanti, più di quanto sia forse dato di verificarli nella sostanza e nella lettura del testo. Il “grido” potrà essere diversamente composto o incomposto ma il grumo di non accettazione del mondo è lo stesso. Così un rovello nativo, profondo, che alla nostra critica europeizzante poté sembrare umorale e vernacolo, trovava proprio nella cultura più carica di presentimenti la sua autonoma corrispondenza» (Mario Luzi, Lo sguardo di Viani, in 100 opere di Lorenzo Viani, Edizioni Galleria Farsetti, Prato 1967, pp. 6-7).

[3] La Cirillo sottolinea l’importanza imprescindibile della vocazione anarchica di Viani, da tenere necessariamente in considerazione per una giusta comprensione e valutazione della sua opera, artistica e letteraria: «Impegnatosi […] sul fronte anarchico (operava nella Delenda Carthago, gruppo “senza Dio né Padrone” che odiava “i timorosi, i pavidi, i calcolatori, i metafisici”, di cui divenne capo nel 1898), fu messo in carcere – già dal 1901 – e schedato. E del resto non si può capire la carica ribelle delle sue opere se non si tiene conto della missione anarchica che improntò il suo pensiero sin da giovanissimo e, seppur con qualche pentimento e debolezza, fino alla fine: rivendicava fortemente Viani la coriacea fedeltà a credo e sentimenti, badando bene a non passare per quel poeta “che aveva per tutta la vita cantato: io sono tisico e morirò a primavera e che invece morì di cotta in un affocato meriggio di luglio”» (Silvana Cirillo, Vagabondo tra i vagabondi: Lorenzo Viani, in Ead., Sulle tracce del surrealismo italiano (flâneurs, visionari, sognatori), Esedra editrice, Padova 2016, pp. 31-32).

[4] Ivi, p. 29.

[5] Gianfranco Contini, Espressionismo letterario, in Id., Ultimi esercizî ed elzeviri (1968-1987), Einaudi, Torino 1988.

[6] Rosaria Bertolucci, Lorenzo Viani parola come colore, La Ginsetra, Firenze 1980, p. 7.

[7] Marcello Ciccuto, Introduzione a Lorenzo Viani, Parigi, Mondadori, Milano 1980, p. 29.

[8] Romano Luperini, Il Novecento, 2 voll., Loescher, Torino 1981, I, p. 302.

[9] Luigi Baldacci, Nota in La peste a Lucca e 100 disegni di Lorenzo Viani, Firenze, 7-27 marzo 1970, Galleria Pananti, Firenze 1970.

[10] Piero Bigongiari, L’espressionismo statico di Lorenzo Viani (Riflessi alla luce di un taccuino inedito), in Id., Dal Barocco all’Informale, Cappelli, Bologna 1980. Una definizione piuttosto singolare quest’ultima, che necessita di un, seppur succinto, chiarimento: la staticità sta nel tentativo vianesco di conferire monumentalità alla forma, comunque sempre concepita in modo espressionistico dunque necessariamente dinamico.

[11] Scrive polemicamente Bahr: «L’impressionismo non è altro che l’ultima parola dell’arte classica, portata a completo compimento, nel momento in cui cerca di accrescere al massimo la vista esterna, spegnendo per quanto possibile quella interna, indebolendo però sempre la vita propria, l’attività, l’attività autonoma, la volontà dell’occhio e facendo così dell’uomo il soggetto completamente passivo dei suoi sensi. “Mais moi-même je n’existais plus, j’étais simplement la somme de tout ce que je voyais“: in questa frase Barrès ha espresso tutto il vero carattere dell’impressionismo. In quest’epoca artisti e dilettanti hanno a poco a poco dimenticato che l’uomo è dotato anche degli occhi dello spirito. […] Ma ora sembra che nell’ultima generazione si annunci di nuovo e con grande intensità lo spirito. Allontanandosi dalla vita esteriore si rivolge a quella interiore, ascolta le voci delle sue zone più riposte e crede che l’uomo non sia solo l’eco del suo mondo, ma forse colui che l’ha creato ritenendosi comunque altrettanto forte quanto lui. Una generazione simile non potrà non rinnegare l’impressionismo ed esigere un’arte che veda di nuovo con gli occhi dello spirito: all’impressionismo segue l’espressionismo […]». E ancora, più chiaramente, più aspramente: «L’impressionismo è il rinnegamento dello spirito da parte dell’uomo, l’impressionista è l’uomo umiliato a grammofono del mondo esterno. Si è accusato l’impressionismo di non “portare a compimento” i propri quadri. Ma gli impressionisti non soltanto non portano a compimento i loro quadri, ma anche l’atto del vedere perché l’uomo dell’epoca borghese non porta a compimento la vita, essi si fermano nel mezzo della vista, proprio là dove l’uomo comincia a partecipare alla vita. Si fermano a metà dell’atto del vedere, dove l’occhio dopo essere stato interrogato, deve dare una risposta. […] L’occhio dell’impressionista percepisce soltanto, non parla, recepisce le domande, ma non risponde. Gli impressionisti invece degli occhi hanno un paio di orecchi, ma non la bocca. L’uomo dell’epoca borghese infatti non è che orecchio, è in ascolto del mondo, ma non gli infonde il suo respiro. Non ha bocca, è incapace di parlare lui stesso del mondo, di pronunciare la legge dello spirito. L’espressionista invece spalanca la bocca dell’umanità, che per troppo tempo ha ascoltato e taciuto e ora intende annunciare la risposta dello spirito» (Hermann Bahr, Espressionismo, cit.).

[12] Francesco Muzzioli, Piccolo dizionario dell’alternativa letteraria, ABEditore, Milano 2014, pp. 73-75.

[13] Luisa Petruni Cellai, Lorenzo Viani. Testi inediti e rari, Tipografia Pezzini, Viareggio 1982, p. 111.

[14] Francesco Muzzioli, Piccolo dizionario dell’alternativa letteraria, cit., pp. 75-76.

[15] Con i suoi precisi e implacabili colpi di revolver Lucini, come Viani, difende quel lato oscuro dell’umanità che non si integra nel sistema borghese e non solo da questo viene rifiutato, ma sfruttato: prostitute, operai, contadini. Ma il poeta milanese sa bene che il suo messaggio non può raggiungere questa parte abbandonata dell’umanità, e allora «il “per chi” immediato di una letteratura che si consuma entro un apparato di produzione e di trasmissione detenuto dalle classi dominanti, si identifica in colui, borghese, che voglia rinnegare ideologicamente la sua stessa estrazione sociale e rivolgere su di sé, maschera smascherata, il ghigno satanico, le saette intossicate della poesia» (Marcello Carlino, Francesco Muzzioli, La letteratura italiana del primo Novecento, NIS, Roma 1986, p. 83). Per un approfondimento sul poeta milanese rimando all’articolo «Revolverate»: la strage – premeditata – di Gian Pietro Lucini.

[16] Tutte le volte che nomino, o che sento nominare, che scrivo o che leggo questa parola, non posso far altro che pensare alle sacrosante parole di Michelstaedter: «Tutti i progressi della civiltà sono regressi dell’individuo» (Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Adelphi, Milano 1982, p. 156).

[17] Lorenzo Viani, La pittura italiana dell’Ottocento, in «Il Popolo Toscano», 28 settembre 1926, in Id., Scritti e pensieri sull’arte, a cura di Marcello Ciccuto, Mauro Baroni editore, Viareggio 1997, p. 147.

[18] «È infatti con l’espressionismo tedesco che il “brutto” entra sistematicamente in una poetica; e con esso tutto il negativo che gli artisti avvertono nella scena urbana, irta di pericoli, di presenze ostili sin nelle esasperazioni antropomorfiche degli edifici, luogo di incomunicabilità e di corruzione» (Jolanda Nigro Covre, Arte contemporanea: le avanguardie storiche, Carocci, Roma 2011, p. 24).

[19] E i loro luoghi sacri, i loro templi, mi permetto di aggiungere. Emblematico il processo di caricaturizzazione cui Viani sottopone i più celebri ed iconici monumenti di Parigi, la capitale della Modernità, nell’omonimo romanzo pubblicato nel 1925: la Tour Eiffel diviene una «mostruosa siringa che buca il cielo col suo parafulmine», Notre-Dame un «vascello in perdizione», il Pantheon un «gran cisternone», il Musée du Luxembourg un «grande lavatoio». Nella svalutazione complessiva della capitale francese, significativa la definizione di Parigi come «immane ergastolo», alla faccia dell’immagine ideale – ovvero stereotipata – della città, tutta luci e colori, feste e divertimenti, da cartolina e da rivista patinata (Lorenzo Viani, Parigi, cit.).

[20] Francesco Muzzioli, Piccolo dizionario dell’alternativa letteraria, cit., pp. 77-78.

[21] Lorenzo Viani, Note d’arte. L’arte è armonia d’errori, in «Versilia», 1 maggio 1915, ora in Id., Scritti e pensieri sull’arte, cit., p. 63.

[22] Silvana Cirillo, Vagabondo tra i vagabondi: Lorenzo Viani, cit., p. 20.

[23] Francesco Muzzioli, Piccolo dizionario dell’alternativa letteraria, cit., pp. 78-79.

[24] Silvana Cirillo, Vagabondo tra i vagabondi: Lorenzo Viani, cit., p. 47.

[25] Ivi, p. 32.

[26] Lorenzo Viani, Lettera autobiografica, in «Giornale di bordo», luglio 1968, p. 482, poi in Id., Mostra bio-bibliografica e iconografica, a cura di Marcello Ciccuto, Palazzo Paolina, 20 marzo – 3 aprile 1982, Tipo-Offset La Darsena, Viareggio 1982, pp. 13-15, ora anche in Id., Scritti e pensieri sull’arte, cit.

[27] Lorenzo Viani, La mia arte. Dalla Val di Nievole, il 30 magio 1919, in «Ardita», I, 7, 15 settembre 1919, ora in Id., Scritti e pensieri sull’arte, cit., p. 73.

[28] Francesco Muzzioli, Piccolo dizionario dell’alternativa letteraria, cit., pp. 80-81.

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