L’illusione di conoscenza che ha isolato gli intellettuali italiani

Ieri è apparsa su L’Espresso un’esegesi del fallimento del ruolo dell’intellettuale a cura di Giovanni Orsina, il quale ha cercato di ricostruire i passi che hanno portato alla progressiva divergenza tra “l’intellighenzia” e il pragmatico popolo italiano. Il tragitto percorso dal politologo romano è quanto meno lineare, ma a mio avviso è troppo sinistrocentrico, fraintendendo un ruolo che esiste da prima del gramscianesimo italiano.

Provo ad aggiungere alcuni punti cardinali, per cercare di capire insieme a voi chi sono e dove abitano questi intellettuali: in passato il ruolo dell’intellettuale era quello di riuscire a mediare tra l’alto e il basso, guidando il popolo verso direzioni condivise e pesate su temi quali l’etica e la giustizia. Chi ricopre questo ruolo oggi? Chi fa sintesi di un pensiero illuminato rendendolo pane per la sempre più vasta classe abbiente? Prima di rispondere posiamo un’altra pietra miliare, analizziamo una richiesta.

“Personalmente, sono convinta che gli intellettuali non esistano ma che, al contrario, siano solo “disonesti intellettualoidi” stipendiati dallo stato. Quelli con il «posto fisso.»”
Diletta Nespica, www.blogtaormina.it

La classe abbiente di ieri ed oggi non è cambiata di molto, gli operai sono diventati impiegati, ma di fatto siamo di fronte ad un rapporto simile tra chi detiene il potere e chi ne rimane abbagliato dal riflesso. Ciò che invece è cambiata è la consapevolezza – o forse sarebbe meglio definirla “l’illusione di consapevolezza” -. Oggi chiunque pensa di poter leggere il mondo scorrendo con il pollice la timeline di Facebook o Twitter, creandosi una personalissima illusione di conoscenza, che genera a sua volta una presunzione immotivata. In questi casi è bene ricordare che il 70% degli italiani è analfabeta funzionale, dunque si limita a comprendere i titoli, o poco più, di ciò che legge. Questo vuol dire che il “so di non sapere” di socratica memoria non può attecchire. Ergo, l’opinione che vince è quella comune, non necessariamente quella giusta, poiché basata sui titoli e non sui contenuti, sulla forma e non sulla sostanza, ed è questo il vero stravolgimento nel ruolo che fino ad oggi ha voluto la massa, dalla parte della materia.

“Gli intellettuali, in particolare, non sono interessati a capire il fallimento elettorale dell’amato (da loro) Matteo Renzi, preferiscono spararla grossa per prendere gli applausi dei «veri» democratici” 
Alessandro Gnocchi, www.ilgiornale.it

Con questo gioco di specchi si è arrivati ad una situazione paradossale in cui gli intellettuali non sono più necessari, poiché non è più richiesto chi allena la propria mente, anzi è visto con sospetto. Gli intellettuali sono faziosi agli occhi del mondo, invece chi lancia l’invettiva contro gli intellettuali è un lucido osservatore.

Va aggiunto però, a onor del vero, che come giustamente afferma Orsina, agli intellettuali va imputata la colpa di essersi gradualmente chiusi nella loro torre eburnea, fagocitando la loro “ars oratoria” in cambia di una vibrante quanto incomprensibile protesta silenziosa.

“Assisi su comode poltrone, tronfi della loro posizione egemonica, gl’intellettuali italiani di regime recitano in ogni contesto, in ogni momento, la sempiterna liturgia dell’autorazzismo: esterofilia dilagante mista a ignoranza atavica, ed il gioco è fatto”
Giuseppe Piconese, www.lintellettualedissidente.it

La crescente entropia culturale sembra allontanarci ancora di più da quel mito edulcorato che ci era stato promesso negli ultimi decenni, e l’unico modo per placare questo blob sempre più grande che inghiotte tutto senza distinzione è quello di cambiare il linguaggio: non possiamo aspettarci un cambiamento radicale della popolazione italiana, dobbiamo quindi auspicarci un nuovo dialogo che parta dai nuovi intellettuali in rampa di lancio, con parole nuove che ci aiutino ad uscire da questa impasse comunicativa, comprendendo in maniera più chiara le strade che ci si apriranno davanti.

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