Corrado Govoni, attraverso il primo Novecento

L’esperienza letteraria di Corrado Govoni si contraddistingue per uno spiccato eclettismo poetico: simbolismo-liberty di stampo dannunziano, crepuscolarismo, vocianesimo, Futurismo: il poeta originario di Tamara (Ferrara) passa attraverso tutte le stazioni della passione lirica italiana del primo Novecento, «senza però che mai l’adozione di una tendenza comporti il netto superamento delle precedenti» [1]. Quest’ultimo, fondamentale aspetto rende particolarmente originale ogni contributo poetico di Govoni, e si pensi in tal senso alla sua produzione futurista, del tutto personale e mai asservita fino in fondo ai dettami marinettiani, unicità che gli permette, insieme con altri grandi futuristi eretici quali Lucini [2] e Palazzeschi [3], d’imporsi come una delle poche voci dell’avanguardia davvero apprezzabili e di assoluto valore.

All’inizio del XX secolo, Govoni fa il suo esordio ammiccando al Vate, all’Immaginifico, fornendo il proprio contributo alla diffusa tendenza poetica liberty-simbolista con la sua prima raccolta, Le fiale (1903). Una fauna ed una flora preziose, fatte di cigni e di pavoni, di rose e di gigli, proliferano nel volume, sorta di riserva naturale, di scrigno di specie protette bellissime e fatali. Interessante, per l’impeto erotico alla Berni, la seconda sezione della raccolta, intitolata Vas luxuriae e dedicata polemicamente a «coloro che sono ipocriti», sorta di rilettura in chiave sessuale della storia del genere femminile, da Maddalena a Lucrezia Borgia, con tanto di celebrazione di vulve dalla folta vegetazione odorose di peccato. Riporto di seguito i primi tre sonetti della sezione, dedicati ad eroine bibliche e dunque dotati di una particolare carica blasfema, ma tutt’altro che scabrosi.

MAGDALENA

O magnifica donna di Magdàla,
dotta ne le lussurie phi segrete;
tu, che l’alcova da le bianche sete
inebrii del balsamo che esala

il tuo bel corpo, come da una fiala,
e le giovini amanti rendi inquiete
con un sol sguardo ove l’ardente sete
de la carne agognata batte l’ala;

io ti penso così: nuda sul letto
in una positura sapiente,
con dolce e inesprimibile languore

contro il saturo ventre e contro il petto
stringendoti libidinosamente
il biondissimo Cristo Redentore.

***

GIUDITTA

I.

«In cospetto del re libidinoso
snoderò le mie trecce rilucenti,
e lenta con un gesto voluttuoso
e irresistibile le trasparenti

gonne succingerò, coi movimenti
lascivi del mio labro insidioso
facendogli agognare il dilettoso
morso dei nitidi ed acuti denti.

S’abbia pure il mio corpo delizioso,
una sol volta, e la mia bocca sana
donde cola la mirra e l’idromele,

Oloferne il gran mostro obbrobrioso,
credendomi una pubblica puttana,
ma il popolo sia salvo d’Israele».

II.

E tu godesti, o re, le ignude e belle
membra, con gran delizia sul tuo letto
molte volte abbattendole a diletto
con le braccia avvinghiate tra le ascelle;

e fino a sazietà le grasse e snelle
coscie palpeggiasti e il largo petto,
mordendo con frenetico diletto
le sue bianche e durissime mammelle.

Però, poiché dormivi, ella, leggera,
il ferro da la serica parete
calava con la mano giustiziera;

e mentre l’alba languida spuntava,
rigagnoli di sangue tra le sete
il tuo collo lascivo gorgogliava…

Govoni attraversa, non approda, è un poeta randagio, vagabondo che consacra la propria attività letteraria alla sperimentazione. E così, nello stesso anno di pubblicazione de Le fiale, il 1903, dà alle stampe una raccolta di versi di tutt’altro stampo, Armonia in grigio et in silenzio, in cui il tono si fa ben più dimesso, sussurrato, e la condizione dell’io lirico diviene quella dell’escluso, dell’esiliato, tipicamente crepuscolare. Govoni è tra i primi a segnare la via della nuova ed innovativa tendenza, tra i primi ad indicarla, illuminarla. Le forme metriche iniziano ad aprirsi, fino allo spalancamento pressoché totale rappresentato dall’adozione più o meno sistematica del verso libero, che avviene nelle raccolte successive, Fuochi d’artifizio, del 1905 ma ancora marcatamente crepuscolare, e, soprattutto, Gli aborti, del 1907, dove si assiste alla svolta espressionistica di Govoni, che nei temi e nelle soluzioni formali si avvicina ai vociani. Negli Aborti il nuovo paesaggio, la città, si configura come una sorta di labirinto in cui trionfa l’irregolarità. Ai cigni ed ai pavoni che popolano Le fiale si sostituiscono prostitute, ubriachi, assassini, folli, quell’umanità oscura insomma portata alla ribalta da Baudelaire [4] e che, in ambiente vociano, trova in Sbarbaro un pregevole cantore [5]. L’io lirico fornisce la testimonianza del proprio vagabondaggio per strade sulle quali piove una luce, la luce artificiale, sinistra ed inquietante, che illumina «stranezze» ed «inaudite stravaganze». In un tale teatro, vizioso e criminale, immorale, anche la scrittura, rispetto ai canoni tradizionali e al dominio della metrica e della rima, si fa stravagante, trovando nell’espressionismo il suo approdo naturale. Dagli Aborti traggo due poesie, la prima dedicata ai pazzi ed ai malati, la seconda ai mendicanti, esemplificative del nuovo corso impresso da Govoni alla sua multiforme poesia.

RONDA DELLE TRISTEZZE

Dei pazzi che non sembran tali, in abiti d’alga
innaffiano nell’ora del meriggio con del vino
i puri gigli del giardino del manicomio.

Un pappagallo sulla sua gruccia in cima a una scalea
d’un castello di principi schiamazza
contro una vecchia mendicante tutta lacera
che chiede invano l’elemosina,
che chiede sempre e non si stanca mai.
A tratti appare a una finestra qualche viso
di pazzo e si ritira impaurito.
Due suore con le candide cornette
guardano lungo la ferrovia
se si vede arrivare un treno,
in una piccola stazione di campagna
dove attende una bionda signora vestita a lutto
con un mazzo di rose thee di zolfo
che a tratti fiuta con malinconia.

Innumerevoli lebbrosi ignudi
si accoscian sui gradini di una mostruosa cattedrale
senza una voce
come una massa irregolare di cariatidi corrose
che sudan sotto il sole tropicale
d’un meriggio d’agosto
in cui tutte le cose treman per la febbre del riverbero.

***

CREPUSCOLO

Dei mendicanti guardan l’acqua correr sotto i ponti.
I pipistrelli apatici
ghiribizzano per l’aria.
Mettersi al collo una di quelle funebri cravatte!
La miopia gialla dei fanali
sbircia lungo le strade.
L’angelus cade. Oh ma tutte quell’anime che lo raccolgono
come una manna azzurra!
Come degli occhi alcoolici
spuntano qua e là le stelle
tra la fauna in caricatura delle nubi.
Ed ecco che una gran chiazza di sangue vivo
macchia l’orizzonte
là dietro i malinconici bastioni,
dietro la flotta arenata dei tetti;
e i poveri convalescenti alle finestre
rabbrividendo vuotano con gli occhi smorti
come bicchieri di medicamenti
tutto quel rosso.

Con le raccolte Poesie elettriche (1911), Rarefazioni e parole in libertà (1915) ed Inaugurazione della primavera (1915), Govoni si getta nell’esperienza futurista. Ma, come ricordato all’inizio dell’articolo, egli non rinnega le proprie esperienze poetiche precedenti, e ciò fa si che il suo Futurismo si caratterizzi per una particolare originalità dovuta soprattutto alla contaminazione con elementi imprevisti dal dettato marinettiano, se non del tutto banditi. Certo, anche la poesia futurista di Govoni «porta a un aumento delle proporzioni, fino all’estensione dell’enorme e dell’immenso, nonché a un furore dissacratorio, talora blasfemo» [6] proprio dell’avanguardia, ma resistono anche in questa fase tracce crepuscolari, evidenti, ad esempio, nella sua più celebre tavola parolibera, Il palombaro, in cui il tratto infantile produce un simpatico ed innocuo disegnino che non ci stupiremmo di ritrovare tra le vecchie chincaglierie dimenticate nel solaio della gozzaniana Villa Amarena [7].

NOTE

[1] Marcello Carlino, Francesco Muzzioli, La letteratura italiana del primo Novecento, NIS, Roma 1986.

[2] Per un approfondimento sul poeta milanese rimando all’articolo «Revolverate»: la strage – premeditata – di Gian Pietro Lucini.

[3] Per un approfondimento sul poeta e scrittore fiorentino rimando agli articoli L’originale futurismo di Palazzeschi – Il controdolore, L’originale futurismo di Palazzeschi – L’incendiario, Aldo Palazzeschi – Il Codice di Perelà, Aldo Palazzeschi, E lasciatemi divertire!

[4] Per un approfondimento sul poeta francese rimando all’articolo Charles Baudelaire, il primo poeta moderno.

[5] Per un approfondimento sul poeta ligure rimando all’articolo Camillo Sbarbaro: «Pianissimo», fino al silenzio.

[6] Marcello Carlino, Francesco Muzzioli, La letteratura italiana del primo Novecento, cit.

[7] Per un approfondimento sul poeta torinese rimando all’articolo Totò Merùmeni ovvero l’anti-dannunziano.

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