Marcel Duchamp, Fontana, 1917.

A futura memoria

Nel corso della seconda metà del XIX secolo anche la letteratura e l’arte divengono mercati, e le loro creazioni prodotti e merci che si vendono e si comprano. Di conseguenza il pubblico si amplia, diviene così vasto come mai è stato in passato, ma, in modo direttamente proporzionale all’estensione, culturalmente limitato, sprovvisto di conoscenze approfondite, superficiale e facilmente abbindolabile – la stessa, identica situazione si ritrova oggi, persino peggiorata, se possibile -. Per incontrare i favori di un simile pubblico la merce prodotta in ambito letterario e artistico deve necessariamente de-culturalizzarsi, de-problematizzarsi, riprodurre determinati stereotipi, veicolare determinate strutture, tematiche, linguaggi, luoghi comuni. Come un vero e proprio oggetto industriale riproducibile in serie, insomma. Durante i primi anni del secolo successivo, il XX, tale processo di mercificazione, di uniformizzazione – di rettoricizzazione direbbe Michelstaedter – giunge all’apice. Ed ecco che esplode la rivolta della Cultura, con l’alternativa letteraria che vive il suo momento d’oro – per quanto riguarda l’alternativa letteraria italiana parliamo del primo quindicennio del Novecento, fino all’entrata in guerra -. Esplodono le avanguardie, le cosiddette avanguardie storiche: Espressionismo, Futurismo, italiano e russo, Dadaismo, Surrealismo. L’avanguardia distrugge il canale comunicativo – possiamo immaginarlo come un vero e proprio ponte – che lo lega, lo conduce al pubblico comune, a quel vasto e minorato pubblico che non sa spingersi oltre il banale e sciocco romanzo d’appendice – dei sottogeneri, oggi -. Lo scrittore e artista avanguardista – capita spesso che queste due anime, chiamiamole così, convivano nella stessa persona, visto l’atavico, genetico allargamento alle arti dell’avanguardia – si pone, e non perde mai di vista, altrimenti non sarebbe più tale, l’obiettivo di creare un’opera illeggibile e/o incomprensibile per il pubblico minorato. L’avanguardia rigetta con disprezzo i codici culturali vulgati, il gusto, o meglio cattivo-gusto dominante, il linguaggio consueto, comune, ordinario. L’avanguardista proclama la propria indipendenza dal diffuso asservimento – con conseguente decerebramento – al mercato che degrada, umilia, mortifica intellettuali, scrittori, artisti, proclama con forza, con gesto energico e irriverente la propria autonomia. Praticamente, la via principale di questa rivolta Culturale è rappresentata dallo sperimentalismo, con l’avanguardia che si scapicolla verso forme e linguaggi del tutto nuovi, inediti, audaci, talvolta sfacciati e dunque sconcertanti, scandalosi, scabrosi. Luoghi comuni e stereotipi vengono abbattuti, rasi al suolo, polverizzati. E l’artista e lo scrittore avanguardista creano, come scrive brillantemente Sanguineti, non a caso il più illustre esponente della Neoavanguardia italiana, «a futura memoria», per un fruitore nuovo, di là da venire, mirando ovviamente, o meglio contribuendo a crearlo questo fruitore nuovo, libero, ergendo un nuovo ponte: abbattuto il ponte con il presente, se ne costruisce uno verso il futuro. Ed è ciò che si trova costretto a fare oggi – evito di parlare d’arte perché non è il mio ambito – l’aspirante scrittore che rifiuta di piegarsi alle leggi idiote e stupide di un mercato editoriale che annega nell’ignoranza e nella superficialità, che rifiuta di inginocchiarsi alla dittatura nociva, distruttiva – politicamente e socialmente – del sottogenere. Scrivere «a futura memoria»: la sola cosa che resta da fare nell’epoca della morte della letteratura italiana.

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