Austriaco, inglese, tedesco, ceco e ebreo. Un cittadino del mondo, non sempre per sua scelta, che il più delle volte si spostava per avviare un nuovo progetto in qualche altro paese, lasciando ovunque un segno indelebile del suo passaggio. Dalla secessione viennese a quella berlinese, dall’Espressionismo alla scuola di Dresda, dal Die Brucke ai Fauves, il suo peregrinaggio artistico è stato scandito dalle travagliate vicende personali che lo segnarono nell’arco della lunghissimi vita (1886-1980), giungendo ad una sintesi artistica personalissima e fortemente enfatica.
Queste sue caratteristiche mutevoli e multiformi lo portarono pian piano però a non essere riconosciuto in nessuno dei movimenti artistici che imperversavano per l’europa di allora, rendendolo un elemento al di fuori di ogni schema ideologico benché oggi si possa associare il suo stile ad un’evoluzione dell’espressionismo. E forse furono proprio queste sue caratteristiche a condurlo ad una vita nomade, sempre spinto ad osservare nuovi orizzonti per trarre rinnovate ispirazioni.
Da qui, osservando le sue opere balza all’occhio la numerosa presenza di paesaggi, urbani per lo più. Questa particolare connotazione (abitudine, quella di dipingere le città vissute, molto presente anche in Kirchner, fondatore del movimento espressionista tedesco del Die Brucke) lo portò a realizzare delle fantastiche vedute fortemente emotive: i colori diventano una traccia precisa che delimita lo stato d’animo dell’artista e la propensione della città stessa. E’ chiaro in più di una sua opera che l’influenza subita dal luogo dipinto entra a far parte dell’opera stessa.
Nelle sue infinite peregrinazioni ha toccato le più importanti capitale europee, lasciandosi trasportare dalle proprie emozioni in una descrizione “espressionista” dei luoghi visitati: i colori accesi (come nel caso di Venezia e New York) accentuano ancora di più l’acuminosità dei palazzi che svettano e infilzano il cielo frastagliato e inquieto; altre volte invece lasciano spazio ad un interpretazione più intimistica legata forse ad un esperienza passata, come nel caso di Praga, città in cui ha vissuto a lungo ed ha avuto modo di conoscere più a fondo, lasciando intendere dal dipinto un velo di malinconia e di tristezza, rievocando un simbolico tramonto.
Il suo spirito nomade lo ha dunque portato ad osservare il mondo in maniera enfatica, spesso capace di regalare emozioni diverse anche da una stessa veduta. Ed è probabilmente questa sua capacità emotiva che rende ancor più interessante i suoi paesaggi urbani, trasformandoli in un’evoluzione barocca dei paesaggi fiamminghi e apocalittici di Bosch: niente sarà più lo stesso dopo il passaggio di Kokoschka e del suo pennello, e il mondo acquisirà nuove forme e colori al tramontare del suo sguardo.