John Gossage, Diane Arbus in Washington Square Park, NYC, 1967, gelatin silver print, 20 x 24 in. Private Collection. Photo © John Gossage

L’Arte della Fotografia: Diane Arbus

Come asserì Balla all’inizio dell’avventura futurista “data l’esistenza della fotografia e della cinematografia, la riproduzione pittorica del vero non interessa né può interessare più nessuno.” Vero, tant’è che l’avvento del nuovo strumento cambiò il mondo dell’arte radicalmente, tanto da sconvolgerne i suoi canoni. Ma come si raggiunse la consapevolezza che questo nuovo mezzo potesse essere qualcosa di più di una semplice trasposizione della realtà? Ovviamente questo passaggio è meno immediato e soprattutto troppo lungo per essere sviscerato in un solo articolo, ma quello che vorremmo fare è raccontarvi chi ha lottato perché questo accadesse, chi ha notato che grazie alla macchina fotografica qualcosa di diverso poteva essere impresso oltre ad una semplice immagine. E’ dunque con una frase di Henri Cartier-Bresson che vi invitiamo a scoprire insieme a noi alcuni dei maestri che hanno contribuito perché questo accadesse: “le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento.”

Nel quarto appuntamento della rubrica “L’Arte della Fotografia” approfondiremo una figura molto complessa e affascinante, una delle più grandi fotografe del ‘900, Diane Arbus.

Diane Arbus

Nata a New York il 14 Marzo del 1923 come Diane Nemerov da una famiglia benestante di origine ebraiche, fu la seconda di tre figli, tra cui il fratello maggiore, Howard, divenuto uno dei più importanti poeti statunitensi del XXI secolo, e la sorella minore Reneè, anche lei artista.

I genitori possedevano un grande magazzino, il Russek’s sulla Fifth Avenue, e proprio grazie alla loro condizione agiata permisero un istruzione di altissimo livello ai propri figli che non risentirono di quello che succedeva nel “mondo reale”, come la grande crisi del ’29.

Il vero episodio che segna la sua vita e che ce la farà conoscere per la grande artista qual è, avviene quando era appena quattordicenne: trovandosi spesso al negozio dei genitori conosce Allan Arbus, figlio di un dipendente. I due si innamorano sin da subito, anche se i genitori di Diane si dimostrano contrari al rapporto, sia per la differenza di età (Allan era 4 anni più grande) sia per le origini non proprio nobili dell’aspirante marito. In quel momento iniziò probabilmente un processo interiore che portò Diane a decidere di sposarsi appena un mese dopo aver compiuto 18 anni. Insieme curarono diversi interessi artistici tra i quali la fotografia. Durante la seconda guerra mondiale Allan viene reclutato come inviato di guerra e al suo ritorno è ormai un fotografo con un’esperienza tale da permettergli di aprire uno studio privato con la moglie. Inizialmente Diane allestisce solo i set e cura i dettagli dei servizi fotografici, ma successivamente si stufa dei soliti servizi dettati da un costume popolare, di gusti glamour imposti dalla moda e così decide di cambiare.

Il 1956 è un anno molto importante, a seguito della nascita della seconda figlia nel 1954 e la morte della madre nel 1955, decide di cominciare a scattare da sola e fotografare i circoli e gli ambienti alternativi che frequenta. Nello stesso anno si iscrive al corso della fotografa Lisette Model, esperienza che cambiò completamente il suo modo di vedere la fotografia, riuscendo a tirare fuori il meglio di lei e facendogli scoprire angoli della sua sensibilità che non aveva mai esplorato. E’ così che comincia a distogliere lo sguardo dal banale e lo gira verso tutto ciò che è inconsueto, brutto, sgradevole o imbarazzante.

Diane decide dunque di abbandonare lo studio e terminare così il rapporto con il marito, per intraprendere un percorso personale che la porterà a vivere la città in tutte le sue sfaccettature, dalla periferia più becera e malfamata al centro con i suoi paradossi dietro le vetrine luccicanti, da un mercato delle pulci a un circo sgangherato. Nel 1959 va a vivere da sola con le figlie e abbandona definitivamente il marito Allan, per abbracciare completamente la sua nuova vita. Con i grandi cambiamenti e gli anni sessanta arrivano anche problemi legati alla droga oltre che agli antidepressivi dai quali dipende fin da quando era molto giovane, tutto ciò inserito nel contesto sociale in cui vive, a quella visione allucinata della realtà. Però le sue foto, dopo un periodo di iniziale diffidenza, cominciano ad essere apprezzate.

Nel 1965 inizia il suo progetto “The Interior Landscape” , comincia così a stampare le foto dal vivo senza estromettere neanche il bordo del negativo, dando molta importanza al flash, che all’epoca veniva considerato un artificio inutile, per aumentare la drammaticità delle foto accentuandone i contrasti.

Il 1966 è l’anno del suo primo ricovero, per epatite dovuta probabilmente all’eccesso di antidepressivi, e della foto in cui sono immortalate due gemelle vestite nello stesso modo ma con un espressione facciale diversa ( questa foto viene citata nel film Shining di Stanley Kubrick ). Fotografa con Andy Warhol alla sua Factory e comincia ad insegnare alla Parson School of Design.

Nell’anno successivo viene ricoverata di nuovo, al rilascio smette di prendere gli psicofarmaci e passa un paio d’anni tra ricadute, crisi e continui sbalzi d’umore. Nel 1969 riesce ad ottenere il permesso per fotografare all’interno di un ospedale psichiatrico del New Jersey, da questa esperienza nascerà “Untitled” che rimarrà alla storia come la sua ultima raccolta, una toccante introspezione che ci rimanda al suo modo di fotografare più profondo di qualche anno primo. Gli anni successivi sono caratterizzati da insuccessi, i lavori non vengono più come vorrebbe, le sue crisi depressive aumentano e così il 26 luglio del 1971 decide che è arrivato il momento di farla finita, si tira fuori da una vita che forse non sentiva più sua, figlia di un mondo usa e getta newyorkese in pieno stile factory warholiana. Rimane così però intatto il ritratto che lei ci ha lasciato vivo con i suoi sguardi molto più significativi e chiari di una vita passata insieme, dei quadri umani, una vera e proprio pittrice dell’anima, voce di tutti i perdenti,dimenticati e abbandonati. Chissà dove avrebbe rivolto il suo sguardo oggi…

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