Gioacchino da Fiore, l’utopia di un rinnovamento spirituale

Nell’articolo Le origini dell’utopia ci siamo occupati di indagare gli autori che nell’antichità affrontarono il tema utopico, e le loro opere in questo senso più significative (su tutti spiccò Platone con il suo dialogo La Repubblica). Quest’oggi compiamo un passo in avanti piuttosto lungo, che ci conduce direttamente al Medioevo. Durante questo periodo non furono create opere che trattarono esplicitamente dell’utopia, poiché a prevalere era una visione del mondo totalmente cristiana. L’idea diffusa che tutto fosse nelle mani di Dio e facesse parte di un suo disegno stabilito e incontrovertibile, rendeva impossibile qualunque volo pindarico e utopistico nel vero senso della parola. Tuttavia nacque e si propagò una convinzione definita “millenarismo”, che prevedeva una seconda apparizione sulla terra di Cristo, e la celebrazione del settimo e conclusivo periodo della storia del mondo, caratterizzato dalla permanenza millenaria del figlio di Dio tra gli uomini e di un conseguente regno pacifico e giusto, al termine del quale l’esperienza del mondo si sarebbe esaurita per sempre e gli eletti sarebbero stati condotti da Cristo in cielo.

Tra gli autori medievali portavoce di questa suggestiva e utopica, anche se non nel senso tradizionale del termine, convinzione, l’abate Gioacchino da Fiore (1130-1202). Particolarmente celebri le sue profezie, che prevedevano un rinnovamento sociale sulla terra. Egli annunciava infatti l’avvento prossimo di una “terza età”, definita dello Spirito, che sarebbe seguita all’età del Padre (caratterizzata ad esempio dalla «legge», dalla «conoscenza», dal «servaggio servile», dai «flagelli» e dal «timore») e a quella del Figlio (contraddistinta invece dalla «grazia», dal «potere» e dalla «sapienza», dalla «servitù filiale», dall’«azione» e dalla «fede»), e avrebbe condotto gli uomini a una liberazione dalle sofferenze e dalle incertezze del presente, criticato con asprezza e senza riserve dall’abate calabrese.

Le opere di Gioacchino promulgano dunque con fermezza l’idea di un futuro profondamente rinnovato rispetto al presente. Questa convinzione ebbe una grande fortuna nel Medioevo, e scavò un profondo solco nella religiosità popolare, colpita da una visione avveniristica splendida e paradisiaca, caratterizzata da una quiete a da un’armonia indistruttibili. Il pensiero visionario dell’abate influenzò inoltre il francescanesimo, e diede origine al cosiddetto “gioachinismo”, movimento che prevedeva appunto un sensibile rinnovamento religioso e insieme politico. Fu il cardinale, filosofo e teologo Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221 circa-1274) a opporsi con fermezza all’esaltazione gioachiniana. Quello stesso San Bonaventura che nel canto XII del Paradiso della Divina Commedia, celebra le virtù profetiche di Gioacchino da Fiore: «Rebano è qui, e lucemi da lato / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato» (vv. 139-141).

Di seguito, un passo tratto dall’opera Concordia veteris et novi Testamenti, nel quale l’abate descrive, con uno stile di scrittura davvero apprezzabile, ricco di immagini affascinanti, i tratti caratteristici delle tre età e annuncia l’avvento imminente dell’ultima, quella dello Spirito.

In questi giorni sacri noi dobbiamo resistere nel lavoro e nel pianto, in attesa che si compia il ciclo quaresimale, che si chiuda cioè il novero delle quarantadue generazioni del lutto e dell’afflizione, e noi possiamo essere introdotti nella sacra solennità dell’universale risurrezione, per cantare al Signore quel cantico nuovo di gioia, che è l’alleluia.
Nessuna meraviglia se tutto il significato profondo dei vecchi sacri misteri, fino a oggi celati, sotto il velame, agli occhi nostri, di noi più giovani e più piccoli, si va dischiudendo. Dappoiché apparteniamo a quell’ultima generazione che è designata nell’ultimo sacro giorno della penitenziale quaresima: il giorno in cui si toglie dagli occhi del popolo il velario che tiene l’altare in lutto. Affinché quella verità che il popolo vide finora in sullo specchio, in enigma, cominci a scorgere a faccia a faccia, passando, secondo l’assicurazione dell’Apostolo, di chiarezza in chiarezza. Tutti i simboli sacramentali contenuti nelle pagine della rivelazione di Dio ci instillano la convinzione dei tre stati. Il primo stato è quello durante il quale noi fummo sotto il dominio della Legge; il secondo è quello durante il quale noi fummo sotto il dominio della grazia; il terzo è quello che noi attendiamo da un giorno all’altro, nel quale ci investirà una più ampia e generosa grazia. Il primo stato visse di conoscenza; il secondo si svolse nel potere della sapienza, il terzo si effonderà nella plenitudine dell’intendimento. Nel primo regnò il servaggio servile; nel secondo la servitù filiale; il terzo darà inizio alla libertà. Il primo stato trascorse nei flagelli, il secondo nell’azione, il terzo trascorrerà nella contemplazione. Il primo visse nell’atmosfera del timore, il secondo in quella della fede, il terzo vivrà nella carità. Il primo segnò l’età dei servi, il secondo l’età dei figli, il terzo non conoscerà che amici. Il primo stato fu dominio di vecchi, il secondo di giovani, il terzo sarà dominio di fanciulli. Il primo tremò sotto l’incerto chiarore delle stelle, il secondo contemplò la luce dell’aurora, solo nel terzo sfolgorerà il meriggio. Il primo fu in inverno, il secondo un palpitare di primavera, il terzo conoscerà la pinguedine dell’estate. Il primo non produsse che ortiche, il secondo diede le rose, solo al terzo appartengono i gigli. Il primo vide le erbe, il secondo lo spuntar delle spighe, il terzo raccoglierà il grano. Il primo ebbe in retaggio l’acqua, il secondo il vino, il terzo spremerà l’olio. Il primo stato fu tempo di settuagesima, il secondo fu tempo di quaresima, il terzo solo scioglierà le campane di Pasqua. In conclusione: il primo stato fu il regno del Padre, che è il Creatore dell’universo; il secondo fu il regno del Figlio, che si umiliò ad assumere il nostro corpo di fango; il terzo sarà il regno dello Spirito santo, del quale dice l’Apostolo: «Dove è lo Spirito del Signore, ivi è la libertà». E il primo stato è simboleggiato in quelle tre settimane che vanno innanzi al digiuno quaresimale; il secondo nella stessa quaresima; il terzo nel tempo solenne di Pasqua. per cui se convenientemente interpretiamo il mistero del velo interposto tra il popolo e l’altare, comprendiamo come non è senza motivo che nel giorno di quaresima in cui si consacra il sacro crisma, quel velo è tolto di mezzo, affinché i fedeli non veggano più l’altare quasi attraverso uno specchio, ma piuttosto faccia a faccia. Il che vuol dire che in questo nostro tempo, regnante la quarantesima generazione, occorre ritirare il velo della lettera dal cuore della massa. E questo accadrà al momento del dischiudimento del sesto sigillo, col sesto angelo discendente dal cielo, con in mano il libro spalancato. E allora sarà tempo di gioia per gli amatori di Dio, fino al giorno solenne della consumazione finale.

Gioacchino da Fiore, Concordia veteris et novi Testamenti, libro V, cap. 84, trad. it. di C. Fabro, in Grande Antologia Filosofica, diretta da U. Padovani, Marzorati, Milano 1989, vol. V, pp. 484-485.

L’abate calabrese non fu certamente un autore di opere utopiche nel senso più tradizionale del termine, ma il fatto che siano passati migliaia di anni dalla sua profezia, e che questa non si sia mai realizzata durante quest’immenso arco di tempo, spiega bene il motivo per cui abbiamo deciso di inserirlo all’interno di questa rassegna dedicata all’utopia.

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