Il Dizionario filosofico di Voltaire, pubblicato a Ginevra nel 1764 e immediatamente condannato alla distruzione dal tribunale ginevrino – condanna che non impedisce all’opera di diffondersi con eccezionale rapidità in tutta Europa -, nasce come risposta polemica ai primi, grossi e particolarmente dispendiosi volumi dell’Enciclopedia di Denis Diderot, che il padre del celebre Candide, animato da un’incontenibile ansia di rinnovamento culturale, considerava eccessivamente prudenti e scomodi.
Ora, da un testo intitolato Dizionario filosofico ci si attenderebbe una serie di definizioni concettuali, fredde e distaccate, riservate ad un pubblico di specialisti, o quantomeno di appassionati alla disciplina. Così non è, come dimostra brillantemente la geniale voce «Dogmi», che in poche righe compendia il senso più profondo del Voltaire pensatore, scrittore e uomo, e di quello straordinario fenomeno culturale, l’Illuminismo, di cui egli è uno dei protagonisti più illustri, il più illustre in assoluto, forse, insieme con Immanuel Kant [1].
Dogmi (Dogmes). Il 18 febbraio dell’anno 1763 dell’èra volgare, quando il sole stava per entrare nella costellazione dei Pesci, fui trasportato in cielo, come sanno tutti i miei amici. Non la giumenta Borac di Maometto mi prese in groppa; non il carro di fuoco di Elia mi rapì alla terra; non fui trasportato sull’elefante del siamese Sammonocodom, né sul cavallo di san Giorgio patrono dell’Inghilterra, e neppure sul porco di sant’Antonio: debbo confessare che non ho idea di come feci quel viaggio.
Potete immaginare come ero intontito. Ma faticherete a credere che vidi giudicare i morti. E chi erano i giudici? Erano, se permettete, tutti coloro che han fatto del bene agli uomini: Confucio, Solone, Socrate, Tito, gli Antonini, Epitteto, i grandi uomini che, avendo insegnato e praticato le virtù che Dio esige da noi, sembrano gli unici che hanno il diritto di pronunciare le sue sentenze.
Non vi dirò su quali troni erano seduti, o quanti milioni di esseri celestiali erano prosternati davanti al creatore di tutti i mondi, o quale folla di abitanti di quegli innumerevoli globi comparve davanti ai giudici. Mi limiterò a esporre alcuni particolari molto interessanti che mi colpirono.
Notai che ogni morto parlava in proprio favore, e faceva valere i suoi buoni sentimenti, aveva a fianco i testimoni delle proprie azioni. Per esempio, quando il cardinale di Lorena si vantò di aver fatto adottare alcune sue opinioni dal Concilio di Trento, e chiedeva la vita eterna in ricompensa della sua ortodossia, ecco apparire attorno a lui una ventina di cortigiane o gran dame, che portavano scritto sulla fronte il numero dei loro convegni intimi col cardinale; si vedevano anche comparire al suo fianco quelli che avevano attribuito a organizzare la Lega: i complici, insomma, dei suoi misfatti.
In faccia al cardinale di Lorena c’era Calvino, che si vantava, nel suo rozzo gergo, di aver preso a calci l’idolo papale dopo che altri l’avevano rovesciato. «Ho scritto contro la pittura e la scultura», diceva; «ho dimostrato in tutta evidenza che le buone opere non servono a nulla, e ho provato che è cosa diabolica danzare il minuetto: su, cacciate via quel cardinale di Lorena e mettetemi al fianco di san Paolo». Mentre parlava, si vide comparire accanto a lui un rogo, e da quelle fiamme sorse uno spaventevole spettro che portava al collo una gorgera spagnola mezzo bruciata, che si mise a gridare: «Mostro, mostro abominevole, trema! Riconosci in me quel Serveto che hai fatto morire col supplizio più crudele solo perché aveva osato disputare con te sulla maniera in cui tre persone possono fare una sola sostanza». Tutti i giudici allora sentenziarono che il cardinale di Lorena fosse precipitato nell’abisso, ma Calvino fosse punito ancor più duramente.
Vidi una folla prodigiosa di morti che dicevano: «Ho creduto, ho creduto», ma sulla loro fronte c’era scritto; “Ho fatto questo, ho fatto quest’altro”, e venivano condannati.
Il gesuita Le Tellier avanzava fieramente con la bolla Unigenitus in mano. Ma al suo fianco comparve un monte di duemila mandati d’arresto arbitrari. Un giansenista gli dette fuoco: Le Tellier fu arso fino agli ossi, ma il giansenista, che non aveva intrigato meno, ebbe anche lui una bella scottatura.
Vedevo arrivare da destra e da sinistra eserciti di fachiri, talapoini, bonzi, monaci, bianchi neri e grigi, convinti che per far piacere all’Essere supremo bisogna cantare, o farsi frustare, o andare in giro nudi.
E udii una voce terribile che domandava: «Come e quando avete fatto del bene agli uomini?». A quella voce seguì un cupo silenzio: nessuno osò rispondere, ed essi furono tutti avviati al manicomio dell’universo, una delle costruzioni più grandiose che si possano immaginare.
Uno gridava: «Bisogna credere alla metamorfosi di Xaka»; un altro: «No, a quelle di Sammonocodom». «Bacco fermò il sole e la luna!» gridava un terzo. «Gli dèi risuscitarono Pelope», diceva un altro. «Ecco la bolla In caena Domini», esclamava l’ultimo venuto. E l’usciere dei giudici gridava: «Al manicomio, al manicomio!».
Sbrigate che furono queste cause, sentii promulgare questa sentenza: “IN NOME DELL’ETERNO CREATORE, CONSERVATORE, REMUNERATORE, VENDICATORE, MISERICORDIOSO, ECC. ECC.: sia noto a tutti gli abitanti dei centomila milioni di miliardi di mondi che abbiamo voluto creare, che non giudicheremo mai nessuno dei detti abitanti per le sue stravaganti concezioni, ma unicamente per le sue azioni; tale è la nostra giustizia”.
Confesso che fu la prima volta che sentii un editto siffatto: quelli che avevo letto prima sul granello di sabbia dove son nato, finivano invece con le parole: Tale è il nostro beneplacito [2].
Voltaire ricorre alla narrazione, grazie alla quale riesce a raggiungere un’efficacia – democratica – difficilmente eguagliabile. Ma soprattutto, nella sua aspra lotta contro ogni dogmatismo religioso, ricorre alla straordinaria arma del comico, e di una sua variante in particolare, la parodia. Nella fattispecie, la voce è una parodia delle diffusissime narrazioni di rivelazioni religiose. Con il suo tocco delicato, ma implacabile, di polemista sopraffino eppure spietato, Voltaire smaschera l’assurdità dei dogmatismi religiosi, rivelandone ipocrisie – il cardinale di Lorena e il gesuita Le Tellier – e orrori – il rogo di Serveto ordito dai calvinisti ginevrini -. Ed è assordante il silenzio dei vari yogin indiani, monaci buddhisti e cattolici, sacerdoti dell’Estremo Oriente alla domanda: «Come e quando avete fatto del bene agli uomini?». Perché ciò che conta non sono le «stravaganti concezioni», ma le «azioni».
Nella sua intransigente e critica prospettiva, Voltaire non nega affatto la dimensione religiosa, ma esprime la necessità dello sviluppo di una religione anti-dogmatica che permetta all’uomo di condurre un’esistenza pacifica nel nome della tolleranza e del rispetto reciproco. È quanto emerge dalla voce «Teista».
Teista (Théiste). Il teista è fermamente convinto dell’esistenza di un Essere supremo, benigno e potente, che ha formato tutti gli esseri estesi, vegetanti, dotati di sentimento, o di sentimento e ragione; egli perpetua la loro specie, punisce senza crudeltà i delitti e ricompensa con bontà le azioni virtuose.
Il teista non sa come Dio punisce, come premia, come perdona; perché non è così temerario da lusingarsi di sapere come Dio può agire. Sa che Dio agisce e che è giusto. Le difficoltà che si oppongono all’idea della Provvidenza non lo scuotono nella sua fede, perché sa che sono grandi difficoltà, ma non prove decisive. È sottomesso alla Provvidenza, benché ne scorga solo alcuni effetti e alcune apparenze; giudicando delle cose che non vede in base a quelle che vede, pensa che la Provvidenza si estenda a tutti i luoghi e a tutti i tempi.
Pur concordando in questo principio col resto dell’universo, non appartiene a nessuna delle sette che si contraddicono. La sua religione è la più antica e la più estesa, perché la semplice adorazione di un Dio ha preceduto tutte le dottrine del mondo. Parla una lingua che tutti i popoli intendono, mentre non si intendono fra di loro. Egli ha fratelli da Pechino alla Cajenna, e stima tutti i saggi suoi fratelli. È persuaso che la religione non consista nelle opinioni di una metafisica incomprensibile e in vane cerimonie, ma nell’adorazione e nella giustizia. Fare il bene è il suo culto; obbedire a Dio è la sua dottrina. Il maomettano gli grida: «Guai a te, se non fai il pellegrinaggio alla Mecca!» «Sventura a te», gli dice un colletto bianco, «se non fa un viaggio a Nostra Signora di Loreto!» Lui sorride di Loreto e della Mecca, ma soccorre il misero e difende l’oppresso [3].
Il teista accetta i propri limiti, e in ciò sta la sua sapienza. Solidale con tutti gli uomini della terra, il suo credo si riduce in fondo ad un precetto semplicissimo: soccorrere il misero e difendere l’oppresso. Non occorrono bizzarre e assurde teorie che sfociano nella pratica violenta, basta questo intento umanitario. Alla faccia di chiese, ordini e sette che, con i loro dogmi, mirano solamente a legittimare il loro potere temporale, fregandosene del prossimo, anzi, assai spesso annientandolo. Chiedere a Giordano Bruno, esaltato dagli Illuministi quale supremo esempio di pensatore libero [4], o a Galileo Galilei [5], o a Pietro Giannone, che pagarono a carissimo prezzo il loro impegno anti-ecclesiastico.
NOTE
[1] Per quanto riguarda il filosofo tedesco, basti ricordare l’incipit del celebre saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?: «L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo». Documenti storici, a cura di Rosario Romeo e Giuseppe Talamo, II, Loescher, Torino 1966.
[2] Voltaire, Dizionario filosofico, traduzione di A. Paszkowfsky, Orsa Maggiore editrice, Torriana (Forlì) 1993.
[3] Ivi.
[4] Ecco quanto scrive Diderot nella voce «Eclettismo»: «L’eclettismo, che fin dalla nascita del mondo fu la filosofia dei sani ingegni, […] questa filosofia così saggia, restò sepolta nell’oblio fino alla fine del secolo XVI. Allora la natura, rimasta lungamente intorpidita e quasi esausta, fece uno sforzo e generò finalmente uomini fedeli alla più bella prerogativa umana, la libertà di pensiero; e si vide rinascere la filosofia eclettica con Giordano Bruno da Nola, Girolamo Cardano, Francesco Bacone da Verulamio, Tommaso Campanella, Renato Descartes, Tommaso Hobbes, Goffredo Guglielmo Leibniz, Cristiano Thomasius, Nicola Girolamo Gundlingius, Francesco Budée, Andrea Rudigerus, Gian Giacomo Syrbius, Giovanni Leclerc, Malebranche, ecc.». Diderot-D’Alembert, Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri ordinati da Diderot e D’Alembert, traduzione di P. Casini, Laterza, Bari 1968. Per un approfondimento sul processo, o meglio sui processi, e la condanna a morte del filosofo nolano rimando all’articolo Giordano Bruno – I viaggi, i processi, la morte.
[5] Per un approfondimento sul processo e l’abiura dello scienziato pisano rimando all’articolo Galileo Galilei – L’ennesimo ed imperdonabile crimine contro l’umanità.