Lewis Hine: le altre gioventù bruciate.

Lewis Wickes Hine (1874-1940) può essere considerato a buon diritto uno dei primi grandi pionieri della fotografia moderna. Nato in una famiglia piccolo-borghese del Wisconsin, a ventisei anni inizia a studiare pedagogia e sociologia alla Columbia University, approcci scientifici che rimarranno sempre fondanti della sua pratica artistica, e imprescindibili per la comprensione della sua portata.
Nel 1903 inizia il suo pratico interessamento per la fotografia: inizia a realizzare degli scatti per la sua scuola con un apparecchio di formato 5×7 pollici, insistendo sempre sull’importanza pedagogica che la fotografia può trovarsi a ricoprire. L’anno successivo, è il 1904, Hine inizia a interessarsi sulle condizioni degli immigrati di New York. Un vero e proprio progetto di ricognizione fotografica sociale è già iniziato l’anno successivo: gli immigrati sono ritratti nei loro difficili ambienti di appartenenza, smarriti, disorientati, indissolubilmente legati a quelle che potrebbero essere brevi sintassi di alienazione.
L’approccio fotografico ed estetico di Hine unisce l’impegno sociale votato ad una riforma legislativa e politica da una parte, e un certo tipo di realismo ben calibrato, antipittorialista e mai sensazionalista dall’altra.

Fra il 1906 e il 1914 realizza la serie di scatti che oggi ci interessa particolarmente: commissionato dal National Child Labor Commitee (la Commissione nazionale per la manodopera infantile, appunto), il progetto consisteva nel registrare fotograficamente le numerose infrazioni della legge che vietava ai bambini di lavorare ad orario pieno.

 

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

Un impegno non solo attuato nella mera attività pratica del fotografare, ma portato avanti con tenacia e con un intento di comprendere ed inquadrare per far sì che l’Arte del mezzo tecnico sia al servizio della Realtà. Una realtà migliore, se possibile. Dovendo spesso ricorrere a piccoli trucchi per carpire la reale età dei bambini scovati nelle varie cittadine statunitensi, come misurarne l’altezza o interrogarli rigorosamente di nascosto, le foto ci raccontano aziende agricole, fabbriche tessili. Strade o miniere, addirittura. Nome, età, mansioni e carico di lavoro sono sempre annotati e fungono da didascalia della foto:

 

Rosie, sette anni. Sgusciatrice di ostriche. È il secondo anno. Analfabeta. Lavora tutto il giorno.

Addie, dodici anni. Filatrice al mulino di cotone. Le ragazze al mulino mi dicono abbia dieci anni, ma lei ne dichiara dodici. Dice di lavorare solo durante le vacanze, ma vorrebbe restare.

Rose, dieci anni. Alla terza estate di lavoro. Guarda i bambini e trasporta la frutta, due ceste alla volta.

Willie, ragazzino polacco. Nella pausa pranzo, stava riposando in una cassa da filati.

Piccola filatrice al mulino di Macon. Era così piccola che si è dovuta arrampicare sul telaio meccanico per riparare i filamenti rotti.

 

Non servirebbe aggiungere altre parole. Sono, queste, annotazioni brevi, scritte velocemente su taccuini e magari riportate sul retro della carta da stampa. Incutono un naturale bisogno di silenzio. E il problema è che possono risuonare tremendamente attuali, nonostante i nomi a cui noi oggi pensiamo tali parole possano riferirsi evochino istintivamente realtà diverse. Bambini, vestiti, colori, odori diversi, ma povertà così simili da tenerci lì a osservare queste fotografie di un secolo fa, e ci accorgiamo che gli occhi faticano a dirigersi altrove. Arrivano al necessario recondito del mezzo fotografico: quella incapacità di distinguere, quella frizione immaginativa. Una sospensione. Foto bellissime, e pure così crudeli. Bambini talvolta persino sorridenti in una miseria che è così naturale da sembrare ineludibile.

Tutto ciò fummo noi, ieri. Questo sono altri di noi, oggi, mentre fuori imperversano la musica facile e il vino in taniche di plastica. Primo Maggio. Sipario.

 

Articolo a cura di Marco Zindato.
Fonti: per le informazioni biografiche si consulti Jean Claude Lemagny e André Rouillé, Storia della Fotografia, Sansoni Editore, 1988.  Courtesy delle foto Wikimedia Commons. Attualmente conservate, per la maggior parte, al Preus Museum, al Metropolitan Museum e presso la Library of Congress.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: