Giuseppe Terragni, Casa del Fascio, Como

Imparare da Terragni

Da molti anni si dibatte sulle responsabilità e le posizioni dell’architettura razionalista italiana in merito al suo reale valore, alle criticità che ha fatto o non ha fatto emergere, e soprattutto in merito al suo reale aspetto internazionale, essendo geneticamente affine al modernismo capeggiato da Le Corbusier e soci.

Quello che sembra essersi delineato negli ultimi decenni, anche a seguito dell’enorme quantità di trattati e saggi critici sfornati sul personaggio, è il ruolo centrale del movimento, la figura di spicco e senza dubbio più interessante, riscontrabile nella persona di Giuseppe Terragni.

Per molti, specialmente nell’immediato dopo guerra, fu oggetto di censura preventiva perché etichettato come “fascista”: per qualcuno lo è ancora oggi, ma si tratta di piccoli refusi post-ideologici stupidamente motivati.
Bruno Zevi nel 1980 spezzò una lancia, forse anche più di una, in favore dell’architetto comasco, con il suo libro “Giuseppe Terragni” . In merito alla sua adesione al partito mussoliniano è interessante il pensiero del grande critico, il quale in maniera ardita lo paragona a due grandi maestri del passato, affermando: “Michelangelo e Borromini si dichiarano sinceri, ferventi cattolici, e Terragni si presenta integralmente fascista; tuttavia , dato che il cattolicesimo ed il fascismo in cui credono sono immaginari, e contraddicono quelli concreti, la loro azione risulta eversiva”. 

Eversivo è il suo modo di progettare, così come eversiva sarà la sua attività ideologica che non verrà apprezzata né compresa in tutta la sua grandezza durante l’arco della vita. L’architetto, l’uomo, porta la tradizione nello spirito, e così Terragni annette nei  “postulati della tendenza razionale che le nuove forme architettoniche, nei loro rapporti di vuoto e di pieno, di masse pesanti (cemento, mattoni, pietre) e di strutture leggere (ferro, vetro) abbiano a donar all’osservatore un’emozione artistica”, elevando così tutte le sue opere ad un livello universale, rievocando nelle forme della sua architettura una “teoria” che parte dall’Alberti e arriva fino ai giorni nostri.

Dunque proprio oggi, 18 aprile 2016, ad oltre un secolo dalla sua nascita (18 aprile 1904) ancora una volta “le memorie ne dilatano la gittata civile e umana”, rigettandoci nell’interrogativo iniziale: il buco creatosi dal 1943 in poi, gli anni glissati chiudendo gli occhi sul messaggio rivoluzionario del moderno italiano, sono recuperabili? Oppure aveva ancora una volta ragione Zevi quando affermava che senza una pesante autocritica saremmo andati in contro “alla ricostituzione di immagini statiche, monumentali, chiuse, volumetricamente inespressive e spazialmente mute, insomma al tradimento dell’architettura moderna.”?

L’impressione di aver perso qualcosa in Italia c’è, l’idea che un gruppo talentuoso, come quello di cui Terragni era leader morale, ha lasciato in sospeso messaggi fecondi pronti ad essere carpiti ancora oggi, pieni di forze contestatrici, trasforma la preoccupazione in un gap evolutivo importante, che a posteriori riscontriamo nei disastri degli anni ’60.

Cosa ne rimane? I progetti, quelli realizzati e quelli solo immaginati. Schizzi, idee e pensieri appuntati qua e là, oltre ai numerosi saggi che si vanno accavallando di anno in anno: è dovere di ogni studente, di ogni architetto interrogarsi ancora oggi e scoperchiare quel vaso di pandora, curare e approfondire quelle tematiche spaziali e stilistiche cosicché a distanza di oltre un secolo venga accresciuta e non rimanga “appannaggio e fregio dei padri e dei fratelli maggiori, ma costituisca un’eredità splendida e tremendamente pesante, tutta da reinvestire.”

 

Fonti bibliografiche:
– Bruno Zevi, Editoriale estratto dal n°153 di “L’architettura, cronache e storia”, del luglio 1968
– Bruno Zevi, Giuseppe Terragni, Bologna 1980

 

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