Il rischio di Dostoevskij

Vasilij Grigor’evič Perov, Ritratto di Dostoevskij, 1872.

Il rischio è una componente fondamentale, centrale all’interno dell’esperienza umana e letteraria di Fëdor Dostoevskij. Dostoevskij rischia frequentando il circolo fourierista di Petraševskij, rischia vendendo un’idea ancor prima di un libro ai direttori delle riviste, rischia puntando alla roulette. Ed è proprio l’ebbrezza del rischio ad alimentare la dannosa fiamma del gioco d’azzardo, come dimostra la conclusione del Giocatore, insieme con le Memorie di una casa morta l’opera più autobiografica di Dostoevskij.

«No, ha torto! Se io sono stato pungente e stupido sul conto di Polina e di De Grieux, lui è stato pungente e liquidatorio sul conto dei russi. Di me non parlo proprio. D’altronde… d’altronde, per il momento, non è questo il punto: sono solo parole, parole, parole, e invece ci vogliono fatti! Adesso quel che conta è la Svizzera! Domani, oh, se fosse possibile partire domani stesso! Rinascere, risorgere. Bisogna dimostrare loro… Che anche Polina sappia che io posso essere un uomo. Basta soltanto… D’altro canto, adesso è tardi, ma domani… Oh, me lo sento, e non può andare altrimenti! Ora ho quindici luigi d’oro, e ho iniziato con quindici gulden! Se solo cominciassi con cautela… possibile, possibile che io sia un ragazzino! Possibile non capisca che sono un uomo perduto. Ma perché mai non potrei risorgere? Sì! Basterebbe soltanto, per una volta almeno nella vita, essere calcolatore e paziente e il gioco sarebbe fatto! Basterebbe soltanto, per un’unica volta, esser fermo di carattere, e in un colpo solo potrei cambiare tutta la mia sorte! L’importante è la fermezza di carattere. Dovrei solo ricordare che una cosa del genere mi è successa sette mesi fa a Roulettenburg, prima della mia rovina definitiva. Oh, quello è stato un notevole caso di risolutezza: quella volta avevo perso tutto, tutto… Uscii dal casinò, mi frugai e dal taschino del panciotto spuntò ancora un gulden: “Ah, dunque ci sarà di che pranzare!”, pensai tra me e me, ma, fatto un centinaio di passi, ci ripensai e tornai indietro. Puntai quel gulden sul manque (quel giorno mi ero incaponito sul manque), e, davvero, c’è un che di particolare nella sensazione che provi, quando, solo, in un paese straniero, lontano dalla patria e dagli amici, senza sapere che cosa mangerai a cena, punti l’ultimo gulden, l’ultimo, l’ultimissimo! Vinsi e in capo a una ventina di minuti uscii dal casinò, con centosettanta gulden in tasca. È un fatto! Ecco quel che in certe occasioni può significare l’ultimo gulden! E che cosa sarebbe successo, se quella volta mi fossi perso d’animo, se non avessi avuto il coraggio di decidermi?… Domani, domani finirà tutto!» [1]

A livello letterario Dostoevskij rischia dando la voce – e che voce! – al Male. Lo scrittore crea personaggi negativi come Kirillov [2] e Ivan Karamazov [2], citando i due casi più straordinari, per combatterli, per mostrarne limiti, errori, assurdità e far risaltare ancora di più il Bene – nei Demòni non c’è una controparte positiva, o meglio, c’è, ma viene distrutta, annientata (mi riferisco a Šatov, lo studente apostata abbattuto dalla cinquina fondata e guidata Pëtr Stepanovič Verchovenskij), nei Fratelli Karamazov sì, ed è rappresentata dallo starec Zosima -. Il rischio è che il Male finisca per affascinare più del Bene, finisca per sovrastarlo, per fagocitarlo. Ed è in effetti quello che accade; quello che è accaduto a me. Cosa penserebbe Dostoevskij se venisse a conoscenza del fatto che uno dei suoi più grandi ammiratori crede in ciò che egli ha fermamente condannato, stigmatizzato, e che proprio grazie a lui l’ammiratore ha scoperto e sedimentato tale contro-fede? Dostoevskij sapeva bene di correre un rischio, sapeva bene quanto il Male sia fascinoso, attraente – e più semplice, forse -. Del resto Alëša, nel progettato ma mai scritto continuo dei Fratelli Karamazov, sarebbe diventato un terrorista, avrebbe attentato alla vita dello zar. Ivan avrebbe vinto su Zosima.

Dostoevskij ha una conoscenza dell’uomo pressoché totale, e ciò contribuisce sensibilmente alla sua grandezza. Conoscenza che gli permette di creare in modo perfetto personaggi non affini al suo pensiero, al suo credo. Personaggi, o meglio, uomini; uomini in carne ed ossa, che è possibile vedere e toccare. Da questa conoscenza dell’uomo nascono le figure negative come Kirillov e Ivan Karamazov. Inoltre questa disposizione di Dostoevskij di dare voce al Male dimostra tutta la sua avversione nei confronti della censura. Zittire non è certo il modo per condannare: rischioso, anzi, rischiosissimo, ma giusto, secondo Dostoevskij, che aveva una fiducia sconfinata nel popolo russo, capace di distinguere il Bene dal Male. Ma sto divagando. Scrivendo, anche, e forse soprattutto, scrivendo Dostoevskij ha rischiato. E ha vinto, indipendentemente da tutto.

NOTE

[1] Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Il giocatore, traduzione di Mauro Martini, in Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Grandi romanzi, Newton Compton editori, Roma 2010, pp. 574-575.

[2] Per un approfondimento sul personaggio dei Demòni rimando all’articolo Aleksèj Niljč Kirillov, l’Uomo-Dio.

[3] Per un approfondimento su Ivan Karamazov rimando agli articoli I fratelli Karamazov, il «libro sacro». Seconda parte Fëdor Dostoevskij, Il Grande Inquisitore.

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