Nessun autore nella storia della letteratura è stato fonte d’ispirazione per l’arte tanto quanto Dante Alighieri. Le sue due opere maggiori, la Vita nuova e la Commedia, hanno dato vita a delle vere e proprie tradizioni artistiche.
Per quanto riguarda la Vita nuova, raccolta di trentuno liriche giovanili incorniciate da una prosa narrativa e teorica, autentico testo sacro del Beatricianesimo, paragonabile ai Vangeli per il Cristianesimo, numerosi artisti ne hanno rappresentato i momenti cruciali, e in particolar modo i mitici incontri del poeta-apostolo con la «gentilissima» figura di Cristo, Beatrice, colei che dà beatitudine.









Per quanto riguarda invece la Commedia, oltre alla ricchissima e secolare tradizione di illustrazioni, che ha in Blake e nel grande Doré i massimi esponenti, un canto in particolare, il V dell’Inferno – di certo non il migliore, il XIII (Pier delle Vigne), il XXVI (Ulisse) e il XXXIII (Ugolino) sono ben altra cosa, ma questo sazia quell’indefessa brama di romanticismo propria dell’uomo moderno e postmoderno -, ha attirato l’attenzione di pittori e scultori d’ogni tempo e luogo. Innumerevoli artisti hanno rappresentato i due memorabili lussuriosi Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, sbattuti in eterno dalla perpetua bufera che infuria nel secondo cerchio infernale. Neppure un pittore futurista come Boccioni ha resistito al fascino dei due cognati soggiogati dal «galeotto» libro.

















Queste numerose opere d’arte sono l’ennesima dimostrazione – non che ce ne fosse bisogno, anzi – della grandezza di Dante, tra le più straordinarie menti partorite dall’uman genere. I geni nobilitano l’uomo – e insieme lo schiacciano, lo inceneriscono, ma questo è un altro discorso -, e Dante è uno di questi.