“La sua era una piccola bottega, la vetrina stretta ospitava un solo quadro alla volta. È da lì che siamo partiti, ognuno di noi ha avuto la possibilità di esporre i propri quadri”
Claude Monet
Non so se vi è mai capitato di cercare un libro raro negli scatoloni dormienti di qualche cantina ultracentenaria, oppure affondare le mani nella sabbia in cerca di una conchiglia particolare, mentre la corrente ci accarezza. Julien François Tanguy è stato qualcosa di simile, una sorta di “ghost track” dell’Impressionismo come noi lo intendiamo.
Per circa trent’anni il 14 di rue Clauzel, inginocchiato ai piedi di Montmartre e inseguito voracemente da Pigalle, è stato il luogo dove le avanguardie artistiche hanno trovato il primo accondiscendente padre e sostenitore nella figura del rivoluzionario mercante di colori. Abile artigiano della mescola e macinatura dei colori, stuccatore di professione, Tanguy è il rappresentante di una storia che rimane sommersa sotto le tele e la cortina mediatica che ha invaso i boulevard nei decenni successivi, ma al tempo stesso massimo esponente di una generazione che ha visto capovolgere per un breve periodo gli equilibri che volevano l’arte come beneficio esclusivo di nobili, reali o pontefici.
La tendenza che è quasi tutta del periodo a cavallo tra i due secoli infatti, è composta da un pubblico vasto, non necessariamente erudito e illuminato, fatto anche da gente comune, come il commissario Zamaron, il dottor Gachet o Victor Libion, passando per autotrasportatori, negozianti, ristoratori o quant’altro. In questo senso il signor Tanguy fu un precursore quando, trainando un carretto in giro per Barbizon, cominciò a smerciare colori in cambio di tele o anche solo di quattro chiacchiere. Ma andiamo per ordine ripercorrendo la vita speciale di una persona normale.
Julien Tanguy, bretone vagabondo, alternava la sua esperienza da stuccatore con il lavoro di mercante. Tra un pellegrinaggio e l’altro ebbe modo di simpatizzare per la Comune, condividendo una certa idea di socialismo che mai rinnegherà, maturata in lunghe chiacchierate con Pissarro. Questo evento rischiò di sfociare in un finale che ha del tragicomico: venne condannato a morte, senza mezze misure, per poi essere salvato da un amico pittore, Armand Felix Jobbé-Duval.
Da lì in poi la sua vita prese una svolta trasformando la sua in una professione stanziale, fatta di poche sicurezze ma tra quelle vi erano le mura della bottega in rue Clauzel e le cure della scontrosa moglie, Renée Briend. Tra i vari squattrinati clienti vi sono due generazioni di artisti, gli Impressionisti e i post.
Di lui e della sua bottega Monet spende parole dolci, raccontando di come quel piccolo spazio che possedeva in vetrina era pronto a metterlo a disposizione ai suoi artisti prediletti: lunedì Sisley, martedì Renoir, mercoledì Pissarro, giovedì Monet, venerdì Bazille e Jongking il sabato. Ma non solo loro, anche Cézanne, Gauguin, Bernard e soprattutto van Gogh, uno spirito affine per bontà d’animo al Pére (che significa “padre” in francese) Tanguy dipinto in diverse occasioni all’interno della sua bottega. E sono proprio i dipinti di van Gogh i più interessanti, non a caso sono quelli che il mercante terrà con sé respingendo offerte sontuose fino alla sua scomparsa.

Prendiamo il più famoso, “Ritratto di Pére Tanguy” del 1887: in quest’opera il mercante è seduto in una stato di fiera contentezza, immerso nella sua originale collezione di stampe giapponesi, alle pendici del monte Fuji. Questo ci prova ancora l’attualità dell’omino nascosto dietro quella barba da Babbo Natale e il cappello da agricoltore, in grado di anticipare ed apprezzare una tendenza, quella del Giapponismo, che ha cambiato l’arte moderna occidentale, ed in particolar modo l’arte di van Gogh.
A proposito di questo ritratto, come detto poco fa il mercante decise di tenerlo con se fino alla morte, respingendo le offerte non perché non avesse bisogno di denaro, ma per riconoscenza verso colui che lo aveva ritratto (ed un pizzico di orgoglio). Alla sua scomparsa Rodin lo comprò per inserirlo nella sua collezione privata.
Un’ultima chicca, un gossip, sul mercante di tempere: fu proprio da lui che prendemmo ispirazione per la creazione del personaggio di Yiptah Schamash, protagonista del libro “Coloreria Schamash”.
Ancora oggi, in rue Clauzel, vi è una lapide che ricorda il padre di quei senza patria, un amatore appassionato, che ha fatto delle sue normalità un bene prezioso e fragile come il diamante.
Ps: Per chi legge e comprende il francese e vuole approfondire il personaggio consigliamo il libricino sul mercante di Emile Bernard intitolato “Julien Tanguy, dit le père Tanguy”.