Disegno di Egon Schiele.

Le donne dell’Uomo senza qualità: la «grande e marmorea» Diotima

Se per una volta […] potessi comportarmi al suo cospetto nel modo peggiore, lei diventerebbe meraviglioso come un arcangelo!

Attorno ad Ulrich, l’uomo senza qualità, protagonista dell’omonimo romanzo di Robert Musil, ruotano una serie di personaggi femminili interessantissimi, che contribuiscono sensibilmente alla grandezza di questa opera monumentale. Del resto, cosa sarebbe Ulrich [1] senza la maestosa Diotima, senza l’originale Clarisse, senza la ninfomane Bonadea, senza la contraddittoria Gerda e, soprattutto, senza la gemella Agathe? Ognuna di queste donne indimenticabili contribuisce a rendere l’uomo senza qualità uno dei più grandi personaggi della letteratura primonovecentesca, accanto ai Leopold Bloom e Stephen Dedalus dell’Ulisse di Joyce [2], al Marcel della Recherche di Proust, al K. del Processo di Kafka [3] e all’Hans Castorp della Montagna incantata di Mann. Accanto, perché no, al Zeno Cosini del nostro Svevo. Ma anche prese singolarmente, senza calcolare il loro influsso sul protagonista, le creature femminili di Musil suscitano una grande considerazione, ed è inevitabile che il lettore si innamori di almeno una di esse, se non di tutte, come accaduto al sottoscritto. Inauguro dunque quest’oggi una serie di articoli dedicati alle donne dell’Uomo senza qualità, a partire dalla «grande e marmorea» Diotima, cugina di Ulrich e anima di quel grande bluff che è l’Azione parallela, il cui comitato si riunisce proprio in casa sua.

Ulrich ribattezza la cugina Diotima – nome eccezionalmente evocativo, reso celebre da Platone nel Simposio (Diotima è colei che indottrina Socrate sull’amore) e già ripreso da Hölderlin nel suo Iperione [4] – dopo aver raccolto informazioni sul suo conto e aver constatato che tutti la descrivono come una «bellezza spirituale». Ella si chiama in realtà Ermelinda, anzi, soltanto Hermine, moglie del caposezione Tuzzi, impiegato nel ministero degli Esteri, nel quale «era l’unico funzionario borghese che occupasse una posizione di rilievo; ne dirigeva la sezione più importante, era ritenuto il braccio destro o addirittura […] il cervello dei suoi ministri, ed era uno dei pochi uomini ad avere influenza sulle sorti dell’Europa» [5].

L’Azione parallela si riunisce in casa di Diotima per la stima che la guida del comitato, Sua Signoria il conte Leinsdorf, nutre nei suoi confronti, e poi perché il suo salotto ha la fama di luogo d’incontro tra società e spirito. Così Ulrich, in qualità di segretario dell’Azione parallela, fa visita a Diotima, con la quale prima d’ora non ha mai avuto rapporti. In questo stesso giorno, che viene così ad imporsi come uno dei più significativi della sua esistenza, Diotima fa la conoscenza di un altro personaggio determinante del romanzo, l’industriale prussiano Paul Arnheim, alter ego dell’uomo senza qualità e ipocrita perfetto, uomo «incredibilmente ricco», figlio del «più potente dominatore della “ferrea Germania”». E l’effetto che provoca in Diotima la conoscenza di un individuo dotato di un capitale sterminato è fuori dal comune: «l’incontro con un uomo incredibilmente ricco le procurava un effetto simile alla sensazione delle ali dorate di un angelo che si fossero posate su di lei» (126).

Arnheim compare in un momento particolare della vita di Diotima, proprio quando ha scoperto di aver perduto l’anima (contagiato dalla proverbiale ironia ulrichiana, il narratore si domanda cosa sia un’anima, rispondendo così: «In negativo è semplice da definire: è proprio ciò che velocemente arretra quando sente parlare di serie algebriche», mentre in positivo pare «che si sottragga con successo a tutti gli sforzi di coglierla» (133)), e a questa scoperta se ne affianca un’altra, la scoperta della «ben nota sofferenza dell’uomo contemporaneo che prende il nome di civilizzazione», «una condizione antipatica, piena di sapone, di onde senza fili, del presuntuoso linguaggio delle formule matematiche e chimiche, di economia politica, di ricerche sperimentali e dell’incapacità di un semplice ma elevato vivere in comune» (ivi). Anche per quanto riguarda il matrimonio Diotima è vittima di una certa delusione; le sue aspirazioni spirituali ad un legame superiore sono state totalmente disilluse: «il ritmo lento dei rapporti coniugali aveva finito per evolversi in un’abitudine puramente fisiologica, che seguiva la sua orbita e che, senza alcun legame con le parti superiori dell’essere, si annunciava come la fame di un servo, i cui pasti sono poco frequenti ma cospicui» (136). Per la donna delusa l’Azione parallela rappresenta inizialmente un benefico toccasana; Diotima si impegna con tutta se stessa a trovare l’idea guida che animi l’ambizioso comitato, ma non le viene in mente nulla, e di questa sua sterilità ideologica accusa il marito e la famigerata civilizzazione. Diotima diviene malinconica e in lei si genera «un rancore verso tutto che fino a quel momento le era sconosciuto», ma compare Arnheim e avviene finalmente la svolta. Oltreché ricchissimo industriale, Arnheim è anche uno scrittore di straordinario successo, che nei suoi libri «annunciava niente meno che l’unione di anima ed economia, ossia di idea e potere» (139). Tra loro due scocca subito la scintilla, e l’incanto è immediatamente reciproco: «Anche Arnheim […] rimase incantato trovando in Diotima una donna che non solo aveva letto i suoi libri, ma che, al pari di una antica statua corpulenta, corrispondeva per giunta al suo ideale di bellezza, ossia quello ellenico con un po’ più di carne, in modo da ammorbidire la rigidità classica» (139-140). Ci sono tutti gli ingredienti perché tra i due scoppi l’amore, tanto più che nessuno dei due finora ha mai amato – Arnheim tra l’altro è scapolo -. E quando si incontrano, sembra che avvenga un incontro tra due montagne: «In loro si scontrarono forze misteriose con una violenza paragonabile soltanto allo scatenarsi dei monsoni, alla corrente del Golfo, alle eruzioni vulcaniche della crosta terrestre; forze di gran lunga superiori a quelle umane, simili alle stelle, si misero in moto dall’uno all’altra, al di là dei limiti dell’ora e del giorno; flussi ininterrotti. In simili momenti non ha alcuna importanza di cosa si parli. Al di sopra della piega verticale dei pantaloni il corpo di Arnheim era ritto nel divino isolamento dei giganti alpini; attraversando la valle, c’era sull’altro lato Diotima, splendente nella sua solitudine, indossava un abito bianco, allora alla moda, che formava dei piccoli sbuffi sulle spalle, copriva il seno con un ampio e artistico drappeggio al di sopra dello stomaco per poi restringersi di nuovo sotto le ginocchia intorno ai polpacci. Le cordicelle di vetro che decoravano le porte brillavano come specchi d’acqua, le lance e le frecce alle pareti erano attraversate da un tremito che ne rivelava la pennuta e mortale passione, e i volumi gialli di Calmann-Lévy sui tavolini erano muti come boschetti di limoni» (221-222). Diotima ed Arnheim possono finalmente saziare la loro brama di elevatezza spirituale, tra i due vi è una affinità che permette alla donna di risorgere, di ricomporsi un’anima, e allo scapolo d’oro di vagheggiare quell’ideale unione matrimoniale sin qui relegata ad un embrionale stato utopico.

La provvidenziale conoscenza di Arnheim, il fatto che uno degli uomini più influenti d’Europa collabori con lei «per portare lo spirito nelle sfere del potere», genera in Diotima una metamorfosi: «qualcosa che non aveva mai provato prima, impeti di gioia, anzi di allegria sfrenata, l’attraversavano. Le sembrava di essere in una torre con molte finestre. […] Si potrebbe quasi dire che all’improvviso fosse diventata consapevole del moto rotatorio del globo terrestre sotto i suoi piedi, e non riuscisse a liberarsi di quella sensazione […]. e nell’insieme la sua condizione era più o meno simile a quel grigio chiaro e nervoso che è il colore tenero del cielo, quando si è liberato da ogni peso nell’ora avvilita della calura estrema» (375-376).

L’amore di Diotima per Arnheim cresce di pagina in pagina, a tal punto che la donna vorrebbe lasciare l’Azione parallela e sposare l’uomo con il quale sogna di raggiungere «i supremi amplessi delle anime», che il povero caposezione Tuzzi non capirebbe mai, neppure se gli venissero confessati. Ma Diotima non riesce a decidersi, anche perché per sua natura più che all’adulterio è portata ai «modelli rinascimentali»: «finora Diotima non aveva saputo superare quel lato miseramente cocottesco e sgradevolmente frivolo legato a tutte le storie d’adulterio che lei conosceva. Non riusciva a immaginarsi in una simile situazione. Toccare la maniglia di una garçonnière era per lei come immergersi in un pantano. Il fruscio delle gonne mentre si saliva veloci per scale sconosciute: una certa tranquillità morale del suo corpo vi si opponeva. I baci scambiati in fretta erano contrari alla sua natura, così come le parole d’amore che svolazzavano fugaci. Piuttosto preferiva le catastrofi. Ultimi incontri, parole d’addio che muoiono in gola, laceranti conflitti tra il dovere di amante e quello di madre s’addicevano molto meglio alla sua natura. Ma a causa della parsimonia del marito non aveva figli, e la tragedia doveva essere senza dubbio evitata. Così Diotima si decise, se si fosse arrivati a tanto, per i modelli rinascimentali. Un amore che vive con il pugnale nel cuore. Non riusciva a farsene un’idea precisa, ma era di certo qualcosa di sincero; con uno sfondo di rovine di colonne oltre le quali s’inseguono le nuvole. Colpa e superamento del senso di colpa, piacere e sua espiazione nel dolore vibravano in quell’immagine e riempivano Diotima di un’esaltazione e di una solennità inaudite» (477).

Diotima ci viene presentata sempre nel suo maestoso contegno da «statua antica con in più qualcosa di viennese». Solamente una volta la sua essenza femminile primordiale si manifesta senza filtri, pur restando confinata nell’ambito della potenzialità. Durante una riunione dell’Azione parallela lei e il cugino Ulrich, che la sottopone in continuazione alla sua caustica ironia, si rifugiano nella cameretta di Rachel, e qui Diotima si lascia scappare una frase che svela per un attimo il suo lato oscuro e mostra come, probabilmente, se non ci fosse stato Arnheim, le sue fantasie si sarebbero concentrate sull’uomo senza qualità: «Se per una volta […] potessi comportarmi al suo cospetto nel modo peggiore, lei diventerebbe meraviglioso come un arcangelo!» (525). Del resto, Diotima è attratta da entrambi gli uomini nuovi che le sono apparsi lo stesso giorno, ma si tratta di attrazioni diverse; spirituale e ideale quella verso Arnheim, dissonante quella verso Ulrich, il solo che si rivolga a lei in quanto donna in carne ed ossa e non in quanto idea: «Eppure Diotima sentiva che quasi poteva amare quell’uomo; per lei era come la musica moderna, del tutto insoddisfacente ma carica di una diversità che la emozionava» (531-532).

Arnheim decide finalmente di compiere il grande passo, e propone a Diotima di sposarlo. Lei gli stringe la mano e, «con un sorriso che ricordava i più begli esempi della storia dell’arte», risponde: «Coloro che abbracciamo non sono mai quelli che più profondamente amiamo…!» (559), citazione da Le trésor des humbles di Maeterlinck. Non se ne fa nulla – perché in fondo il ricco industriale prussiano si è infiltrato nell’Azione parallela per conquistare i giacimenti petroliferi della Galizia e non una donna, per di più sposata con un importante funzionario del Ministero degli Esteri austro-ungarico -, e Diotima ed Arnheim se ne restano così, come due «persone unite da un magnifico ponte, nel mezzo del quale una buca di pochi metri impedisce loro di riunirsi» (560).

Al suo ritorno a Vienna, dopo aver sepolto il padre, Ulrich trova una Diotima diversa, che ha iniziato a interessarsi al cosiddetto “problema sessuale”. E grazie ai saggi dedicati a questo argomento, Diotima si apre a nuove prospettive riguardo la propria relazione coniugale: «Nell’approcciarsi a questi saggi Diotima in principio corrugò la fronte, ma poi tornò a distenderla; infatti era un’offesa al suo amor proprio che fino allora le fosse sfuggito un nuovo grande movimento nato dallo spirito del suo tempo e alla fine ne fu conquistata e si prese la testa tra le mani poiché aveva capito di donare al mondo una meta (seppure non si era ancora deciso quale), ma non aveva ancora afferrato che gli snervanti fastidi del matrimonio potessero essere trattati con spirito superiore. Tale possibilità era in perfetta armonia con le sue inclinazioni e le aprì all’improvviso la prospettiva di trattare come una scienza e un’arte i rapporti con il marito, che finora aveva avvertito solo come una sofferenza» (963). Ed ecco che Ermelinda, o meglio, Hermine Tuzzi diviene davvero la nuova, moderna Diotima. Tra i suoi allievi non c’è di certo Socrate, ma un personaggio di cui ci occuperemo tra qualche settimana e che ho citato in apertura del presente articolo, un’altra delle donne dell’uomo senza qualità: la ninfomane Bonadea, che Diotima tenta di redimere. Ed è proprio Bonadea a svelare ad Ulrich quanto, e in che termini, queste nuove letture influiscano su Diotima: «Si tratta di perfezionare e di regolare il suo istinto sessuale […]. Ed è convinta che la via verso un erotismo ispirato e armonioso deve passare attraverso la più dura autoeducazione. […] La sua atmosfera sessuale è intossicata […]. E l’unico modo per risanarla è che lei e Tuzzi esaminino con il massimo scrupolo la propria condotta. Non vi sono regole generali per farlo. Occorre che ognuno si sforzi di osservare l’altro nelle sue reazioni vitali. E per poter osservare correttamente, bisogna avere una certa dimestichezza con la vita sessuale. Bisogna poter confrontare l’esperienza acquisita praticamente con i frutti della ricerca teorica, dice Diotima. Infatti la donna ha assunto oggi nei confronti del problema sessuale una posizione nuova, diversa: dall’uomo non esige solo l’azione, ma l’azione che nasce dalla conoscenza corretta della femminilità» (964-965). Sempre da Bonadea, Ulrich viene a conoscenza di una teoria elaborata da Diotima nell’ambito del “problema sessuale”, la teoria del fiasco: «il portatore di organi riproduttivi maschili, poiché rischia con tanta facilità di fare fiasco, si sente sessualmente sicuro solo là dove non deve temere la superiorità intellettuale della donna, comunque si configuri, gli uomini dunque non hanno quasi mai il coraggio di misurarsi con una donna che sia loro pari come persona. O almeno cercano immediatamente di sottometterla. Diotima dice che il leitmotiv di tutti i gesti d’amore dell’uomo, e soprattutto dell’arroganza maschile, è la paura» (966). Svanito il sogno di un supremo amplesso dell’anima con Arnheim, Diotima, sostenuta dalle nuove letture, torna ad occuparsi del marito, con l’obiettivo di curarlo: «per curare il marito Diotima partiva dal presupposto di doverlo liberare dalla paura di lei, e che per questo si era anche un po’ riconciliata con la sua “brutalità sessuale” [di Tuzzi, s’intende]. Riconosceva che l’errore della sua vita era stato di essere una donna troppo importante per il bisogno ingenuo di superiorità dell’elemento maschile della loro coppia, e si era proposto di attenuarlo nascondendo ora la propria superiorità intellettuale dietro una più accondiscendente civetteria erotica» (967).

È evidente il radicale cambiamento avvenuto in Diotima, ora capace di affermare davanti ai suoi ascoltatori: «La vita sessuale non è un mestiere che s’impara, ma resterà sempre l’arte più alta che possiamo apprendere a questo mondo!» (969). Diotima la vediamo per l’ultima volta nel Concilio, l’ultima, trionfalmente fallimentare riunione dell’Azione parallela che conclude L’uomo senza qualità – una sorta di crepuscolo prima della grande «sciagura di massa», come Ulrich definisce l’imminente Prima guerra mondiale, profetizzandola -. Una Diotima indifferente e forse stanca per l’imponente e fallimentare impresa da lei tentata: «Diotima guardava Arnheim in piedi davanti alla finestra della sua cucina: un’immagine stranamente intima, dopo che per tutta la sera si erano scambiati solo poche parole caute. Ma improvvisamente sentì anche il contraddittorio desiderio di riprendere con Ulrich la conversazione interrotta. Nella sua testa regnava una certa piacevole disperazione che, irrompendo contemporaneamente in molteplici direzioni, si era attenuata e sublimata in un’attesa pacificamente cortese. Il fallimento del Concilio, da tempo previsto, la lasciava indifferente. E quasi altrettanto indifferente le sembrava anche l’infedeltà di Arnheim. Quando era entrata, lui le aveva rivolto lo sguardo, e per un istante l’antico sentimento si era ridestato: spazio vivo che li univa. Ma immediatamente lei ricordò che Arnheim la evitava da settimane, e il pensiero “vigliacco in amore!” restituì alle sue ginocchia la forza di andargli incontro con grande dignità. Arnheim vide tutto: lo sguardo, l’esitazione, il venir meno della distanza; sui sentieri ghiacciati che innumerevoli li univano si apriva come il presentimento che il disgelo fosse ancora possibile. Arnheim si era allontanato dagli altri, ma all’ultimo momento lui e Diotima cambiarono direzione e si affiancarono a Ulrich, al generale Stumm e al resto del gruppo che si trovava dall’altra parte» (1125).

Nel personaggio di Diotima si concentra una forte dose dell’ironia musiliana, e a partire dalla scelta del nome, il primo dato identificativo, una scelta particolarmente irriverente considerando ciò che questo nome ingombrante si trascina dietro, a partire da Platone e passando per Hölderlin. Dapprima eroina filosofica – nel Simposio – e poi eroina romantica – in Iperione -, Musil agisce ironicamente proprio su questi due piani tradizionali tramandati dalla storia, creando un personaggio femminile inedito ed originale, in cui la bellezza – classica, da Venere di Milo, ma con qualche chilo in più – fa i conti con, e in un certo senso bilancia, la ridicolaggine, trionfante nello slancio spirituale che lega la sposa delusa all’ipocrita Arnheim e, dopo il naufragio amoroso, nell’interesse per la questione sessuale, che fa di Hermine-Ermelinda Tuzzi davvero una nuova, moderna Diotima. Certo, non c’è più un Socrate da indottrinare sulla vera natura di Eros, ma un funzionario dell’impero asburgico da curare ed una bella signora ninfomane da redimere: mica poco.

NOTE

[1] Per un approfondimento sul protagonista del romanzo di Musil rimando agli articoli Ulrich, l’uomo senza qualità. Prima parte Ulrich, l’uomo senza qualità. Seconda parte.

[2] Per approfondimento su Stephen Dedalus rimando agli articoli Lo sviluppo artistico-intellettuale di Stephen Dedalus nel Ritratto dell’artista da giovane L’Ulisse di Joyce: amor matris.

[3] Per un approfondimento sul romanzo dello scrittore ceco rimando all’articolo Franz Kafka, Il processo: colpevole senza colpa e per legge di natura.

[4] Per un approfondimento sulla Diotima di Hölderlin rimando all’articolo La scelta dei nomi dei personaggi nel romanzo Hyperion di Friedrich Hölderlin. Seconda parte.

[5] Robert Musil, L’uomo senza qualità, traduzione di Irene Castiglia, op. cit., p. 121. D’ora in poi il numero di pagina tra parentesi nel corpo del testo.

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