Honoré Daumier e l’arte sociale – Parte II

Riprendiamo il discorso sull’arte sociale di Honoré Daumier da dove l’avevamo lasciato, ovvero sulle traballanti certezze del governo francese, precario e minacciato in continuazione da moti e sommosse, e da chi come l’artista in questione decise di schierarsi socialmente e politicamente. L’arte come un mezzo politico, per raccontare la “realtà” degli avvenimenti contemporanei.

Honoré Daumier, Il vagone di terza classe (Bozzetto), 1863

Il periodo successivo al 1848 partecipa al concorso per trovare una nuova immagine della Francia repubblicana: una donna androgina, possente e muscolosa, allatta due dei suoi figli su un trono, mentre il terzo ai suoi piedi si istruisce. Questa è la patria che vorrebbe Daumier, che permetta al suo popolo di crescere, soprattutto moralmente. Dovrà aspettare ancora molti anni per riprendere la sua attività artistica in piena libertà, almeno fino alla fine del Secondo Impero, che dal 1852 metterà a tacere la libertà con assordanti feste barocche.

L’aspra polemica contro le istituzioni, i giudici, la nuova borghesia, che sempre lo perseguiterà durante tutta la sua esistenza, sono alcuni dei motivi per cui Baudelaire gli dedica discrete attenzioni, ammirandolo come artista pur non condividendo il suo stesso pensiero politico. Apprezza di Daumier il fatto che si sporca le mani, gettandosi a capofitto nella vita di cui parla: la società è la sua casa, la sua vita, non è il mondo visto da lontano. Lo stesso poeta francese, nonché grande critico d’arte, afferma su di lui:“Il suo disegno è naturalmente colorato, le sue litografie […] evocano l’idea del colore. La sua matita contiene molto di più del nero necessario per tracciare i contorni. Essa suggerisce il colore, come il pensiero; è il segno di un’arte superiore.”

Ed arriviamo dunque ad uno dei suoi più grandi capolavori, uno spaccato sociale che neanche uno storico avrebbe saputo fare di meglio, “Il vagone di terza classe”. In primo piano i volti scossi e rassegnati della povertà, un’anziana contadina tiene un paniere tra le mani mentre una donna al suo fianco allatta la figlia. Infine un bambino dorme appoggiato alla donna. Niente fa presagire ad un cambiamento nel loro futuro, niente fa pensare che possano sfuggire al proprio destino, è una storia crudele quella raccontata dal pittore. Appena dietro svettano le tube dei borghesi, disinteressati e indaffarati.

Honoré Daumier, Il vagone di terza classe, 1864, olio su tela su tavola, 65×90 cm, National Gallery of Canada, Ottawa

E’ il distacco dall’ideale romantico che fa passare Daumier ad un livello successivo dell’arte ottocentesca, passando la battaglia artistica ad un piano sociale. La morte del sentimento romantico giace proprio nella frattura tra l’artista solitario ed estraniato dal mondo, e l’artista moderno e socialmente attivo, partecipe della vita politica, schierato e tra la folla. I suoi personaggi non sono idealizzati, non hanno una perfezione mistica bensì una forza caricaturale che accentua i loro difetti tanto da renderli palesemente imperfetti e assolutamente non eroici.  Millet dipingerà la grande dignità dei contadini, Courbet la realtà, e Daumier sarà l’artista sociale.

Link alla prima parte: Honoré Daumier e l’arte sociale I

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