Nel 1830 Luigi Filippo si insedia come nuovo sovrano assoluto di Francia: si farà chiamare “l’uomo del popolo”, “il re dei francesi”, ma il nuovo stato democratico auspicato dalla rivoluzione del ’30 venne prestamente tradito dallo sfrenato capitalismo della classe governante. L’arte nel suo complesso conosce un periodo di delusione e spaesata riflessione, mentre il giovane Honoré Daumier affronta ruggendo la nuova borghesia e Luigi Filippo in persona. “Gargantua” ingurgita in pochi mesi tutti i già poveri averi di chi la rivoluzione l’aveva combattuta. E’ in questi anni e per le sue litografie che l’arte si fa sociale, e scorrendo le sue opere si può ripercorrere la storia di una Francia in trincea, progressista e rivoluzionaria, quella che Daumier ha sempre difeso.


Il suo contributo alla causa rivoluzionaria passò per le vignette satiriche, che furono per altro il suo inizio nel mondo dell’arte, ma proprio a causa di esse ben presto passò ad essere un perseguitato politico: per “Gargantua” finirà in prigione, una vignetta in cui Luigi Filippo a bocca aperta accoglie i frutti del tradimento dei borghesi, che a loro volta con sembianze quasi da scarafaggi risalgono fino alle fauci del sovrano per depositare i beni avidamente raccolti dal povero popolo. Non basterà il carcere a fargli cambiare orientamento sociale e politico. All’uscita di prigione, arrendevole e deluso per l’esito della rivoluzione tanto sperata, pubblica sul giornale satirico “La caricature” nel gennaio del 1834, una litografia dai toni quasi nichilistici: “Il passato, il presente e il futuro” hanno la stessa faccia, ignorante e capitalista, del principe borghese. Qualche tempo dopo verrà messo a tacere per via della pressante censura, costringendolo a dedicarsi ad altro per qualche anno. Trovò conforto in quegli anni nelle animate discussioni con Balzac, che lo ospitò sul giornale da lui fondato, “La cronaca di Parigi”.
“Bisogna essere del proprio tempo”, affermava in continuazione, ed esserlo è divenuto un punto nevralgico della sua produzione. Anche quando il periodo peggiore passò non finì mai di raccontare la sua spassionata e sincera simpatia per il ceto più debole, schierandosi dalla parte di chi perdeva. Nel 1850 ancora stupisce le lettura idealistica dell’Ecce Homo di Daumier: il popolo sceglie barabba, ma non per colpa sua, poiché il Pilato della situazione con gesto fermo e deciso indica le scelte giuste da compiere quasi imponendole. Come suggerisce l’Argan inoltre, non si può parlare di popolo in quest’opera, ma di folla, delirante e avvelenata da un informazione contro produttiva e sfavorevole anche a loro stessi. Il bambino in primo piano è il chiaro segno dell’ingenuità della massa di fronte alla ferocia del tiranno.
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