“La modernità è al transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile […] perché ogni modernità acquisti il diritto di diventare antichità, occorre che ne sia stata tratta fuori la bellezza misteriosa che vi immette, inconsapevole, la vita umana”
– Charles Baudelaire, “Le Peintre de la vie moderne”
Il compito dell’artista è vivere il proprio tempo, e questo ci sembra assodato. Oggi viene da chiedersi come si fa a vivere la modernità senza provare una sincera repulsione verso se stessi, ma non è questo il tema, sotterriamo l’ascia di guerra, momentaneamente, tralasciando l’imminente diatriba. Torniamo a ieri l’altro, inizio ‘800, il neoclassicismo impazza nei Salon ufficiali, la critica ancora non esiste del tutto, o perlomeno non è quello che immaginiamo. L’unica esistenza degna di essere chiamata “critica” fino a quel momento è forse il reportage puntuale che svolgeva Diderot, uno dei primi a considerare il mestiere, pubblicando delle corrispondenze, ma che non contavano che una decina di lettori, tra cui lo zar di Russia.
Baudelaire in questo senso ha un compito fondamentale, stravolge il compito della critica contemporanea: se fino ad allora le discussioni erano prettamente teoriche, dopo l’estroso stravolgimento del poeta si faranno letterarie. Come nella sua produzione poetica, la ricerca del bello è da considerarsi l’obiettivo primario per un artista. Proprio per questo ammonisce l’emergente classe borghese, poiché a suo parere non è in grado di riconoscere ciò che è bello da ciò che non lo è. Ancora si sofferma più volte sull’importanza dell’artista come “uomo del mondo intero, che comprende il mondo e le ragioni misteriose e legittime di tutte le sue usanze, cittadino spirituale dell’universo,per il quale la curiosità costituisce il punto di partenza del suo genio”.
Un altro degli aspetti più interessanti del suo modo di fare critica è ovviamente l’irriverenza con la quale si pone al problema: epico rimarrà il saggio intitolato “A che serve la critica?”, in cui stila un vademecum della buona analisi, affermando che “deve essere parziale, appassionata, politica, vale a dire condotta da un punto di vista esclusivo, ma tale da aprire il più ampio degli orizzonti”.
L’importanza e il ruolo dei dandy assume una valenza centrale anche nella suo opera di critico, decretando come il bello non è una qualità naturale, dunque non moderna, bensì della società. La stessa è quindi il contenitore dentro il quale va ricercata la bellezza, che si distinguerà ponendosi al di sopra della morale comune. In questo senso i dandies sono “esseri che non hanno altra cura che coltivare l’idea del bello nella propria persona, di soddisfare le proprie passioni, di sentire e di pensare”. Stando a questo modello l’artista non è però l’uomo comune, poiché perderebbe di qualsiasi interesse se così fosse. Ha il compito invece di indirizzare la società, fungendo da faro capace di guidare il gusto, orientare le scelte e dirigere il comune pensiero con inventiva fuori dalla convenzione, abolendo noia e consuetudine.

In definitiva portare due esempi eclatanti del gusto del poeta parigino ci aiuteranno a capire il suo innovativo pensiero: Delacroix e Daumier. Il primo incarna appieno l’ideale romantico, contingente e bello allo stesso tempo, attuale e estraniato allo stesso tempo. Nel secondo caso invece vi è un eccesso, il caricaturista Daumier: in lui il bello non è oggettivo, bensì un brutto portato all’estremo, un grottesco tale da renderlo interessante nella sua lettura contemporanea. In quest’ultimo caso Baudelaire vede un segno della viva presenza dell’artista nella società con la sua attività satirica.
Per concludere vi proponiamo una frase emblematica che, speriamo, farà luce con parole vivide sul concetto del poeta moderno, critico della modernità, sull’idea e l’ideale di bello a cui tendere: “Il bello è fatto di un elemento eterno, invariabile, la cui quantità è oltremodo difficile da determinare, e di un elemento relativo, occasionale, che sarà, se si preferisce, volta a volta o contemporaneamente, l’epoca, la moda, la morale, la passione. Senza questo secondo elemento, che è come l’involucro dilettoso, pruriginoso, stimolante del dolce divino, il primo elemento sarebbe indigeribile, non degustabile, inadatto e improprio alla natura umana. Sfido chiunque a scovarmi un esemplare qualsiasi di bellezza dove non siano contenuti i due elementi”.