Questa serie di articoli si propone di indagare su avvenimenti legati ad alcune personalità a dir poco controverse e avvolte da un alone di mistero: molto spesso i motivi che conducono ad imprecise analisi “leggendarie” sono legati all’eccessiva distanza temporale del personaggio in questione la quale non ci permette di recuperare una quantità di informazioni sufficienti per ricostruire la storia, o per carenza di notizie a riguardo dell’indagato.
Chi per un motivo o chi per un altro sono tutti accomunati da questo legame immaginario, dal filo conduttore che è l’eternità e che conferisce all’uomo un aspetto leggendario, spogliato dei difetti umani che avrà sicuramente posseduto, a volte anche in grande quantità.
Ma le leggende non sempre sono vere, e quando si mischiano nel calderone della storia e delle dicerie popolari è impresa ardua ripescare con il mestolo della sapienza la realtà e non la letteratura.
L’intento della rubrica non è dunque di smontare miti e leggende, poiché spesso sono ciò che muove un interesse nei confronti di un autore rispetto ad un altro, ma di svelare e approfondire alcuni retroscena di aneddoti legati ad un artista, con fare voyeuristico, spiando da dietro la tenda della storia.
Il capitolo leggende trova nel pittore olandese un terreno fertile, coltivato dai numerosi estimatori più o meno informati, pronti ad ampliare ulteriormente l’aura mistica che avvolge il suo personaggio.
Molte informazioni sulla sua vita sono state raccolte da fonti dirette come amici, pittori a lui vicini e soprattutto dal fratello Theo e dalla sua famiglia. Per non parlare delle numerose lettere, un’appuntamento liturgico per van Gogh, durante il quale si apriva ai pochi eletti sezionando i suoi pensieri e le sue paure, fino a scendere nei dettagli dei lavori che stava realizzando in quel momento. Ed è proprio dalla lettura di queste lettere che spesso partono critici e psicologi per far luce sui molti aspetti della sua vita rimasti ancora ignoti, come ad esempio il grande scetticismo intorno al suo suicidio.

Tra le varie storie legate a van Gogh, che ancora giace senza una risposta definitiva, vi è senza dubbio la controversa diatriba sul taglio dell’orecchio: la maggior parte della critica è unanime nell’affermare che il gesto venne compiuto in una fredda notte di dicembre ad Arles, in onore di una prostituta di nome Rachel che godeva delle sue particolari attenzioni. La versione di Gauguin (allora presente sul posto insieme all’artista olandese) ci racconta di come il pittore diede in escandescenza ed accecato dall’ira perse il sennò: “mi rincorse per Arles impugnando il rasoio, ma io gli misi soggezione col mio sguardo”. Il seguito lo sappiamo, van Gogh tornò a casa e completò l’amputazione dell’orecchio consegnandolo poi alla donna bramata pregandola di prendersene cura come di un prezioso omaggio.
Non la pensano così alcuni studiosi secondo cui fu lo stesso Gauguin ad amputargli l’orecchio, in seguito ad una delle consuete ed accesissime discussioni, questa volta finita in tragedia: da qui la decisione del pittore francese di abbandonare l’amico per riprendere le sue peregrinazioni.
Quale sia la verità non ci è necessario saperlo, ma è ben chiaro e sicuro che il povero van Gogh già nel successivo gennaio del 1889, uscendo dall’ospedale dopo un breve ricovero di due settimane, non possedeva più un lobo.
Necessita di un’ulteriore approfondimento anche la vicenda secondo cui il pittore olandese non vendette nulla in vita, tranne il quadro “Il vigneto rosso”, realizzato nel novembre del 1888.
La vendita dell’opera in questione risale intorno al 1890: la pittrice belga Anne Boch, dopo aver assistito ad una mostra a Bruxelles in cui erano esposte anche tele di van Gogh, decise di acquistare per 400 franchi l’opera in questione. E qui si ferma la leggenda.
Ma noi vogliamo aggiungere altro e fare un distinguo: nell’arco della vita il pittore è stato spesso autore di scambi di quadri e disegni con cibo, vino o altri benefici. Insomma se ampliassimo alla vendita la categoria “scambi” senza dubbio il quadro della vigna rossa non sarebbe solo.
Ma atteniamoci alla vendita in cambio di moneta ed andiamo avanti nell’indagine, imbattendoci presto in un lavoro commissionato da un orefice olandese di nome Hermans, il quale ad Eindhoven si fece realizzare dei pannelli destinati ad adornare la propria sala a pranzo: in questo caso non abbiamo conferme di pagamento ma è pur certo che non lavorò gratis a questa commissione.
Andando avanti scopriamo ancora tramite una lettera datata 3 ottobre 1888, che Theo (fratello di Vincent) avrebbe venduto a dei galleristi londinesi due quadri: il primo si trattava di un paesaggio di Camille Corot, mentre il secondo era un autoritratto di Vincent van Gogh.
Infine è ancora provato che successivamente la stessa pittrice Anne Boch acquisì un’altra opera del pittore olandese, probabilmente degli alberi da frutto in fiore, ma non si sa con certezza se questo avvenne prima o dopo la morte dell’artista.
Insomma sembra certo che “Il vigneto rosso” non fu l’unica opera venduta in vita dal povero pittore, ma è ancor più certo che è comunque difficile stabilire con certezza se e quanti ne abbia venduti realmente, avvalorando comunque la certezza dell’insuccesso ottenuto in vita dal pittore “suicidato dalla società”.
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