L’obiettivo e le premesse
Questa serie di articoli si propone di indagare su avvenimenti legati ad alcune personalità a dir poco controverse e avvolte da un alone di mistero: molto spesso i motivi che conducono ad imprecise analisi “leggendarie” sono legati all’eccessiva distanza temporale del personaggio in questione la quale non ci permette di recuperare una quantità di informazioni sufficienti per ricostruire la storia, o per carenza di notizie a riguardo dell’indagato.
Chi per un motivo o chi per un altro sono tutti accomunati da questo legame immaginario, dal filo conduttore che è l’eternità e che conferisce all’uomo un aspetto leggendario, spogliato dei difetti umani che avrà sicuramente posseduto, a volte anche in grande quantità.
Ma le leggende non sempre sono vere, e quando si mischiano nel calderone della storia e delle dicerie popolari è impresa ardua ripescare con il mestolo della sapienza la realtà e non la letteratura.
L’intento della rubrica non è dunque di smontare miti e leggende, poiché spesso sono ciò che muove un interesse nei confronti di un autore rispetto ad un altro, ma di svelare e approfondire alcuni retroscena di aneddoti legati ad un artista, con fare voyeuristico, spiando da dietro la tenda della storia.
Giotto e il cerchio perfetto
Giotto è uno dei pittori italiani più importanti e conosciuti al mondo, ma di lui e della sua vita non si sa moltissimo in realtà: le discussioni iniziano già sulla data di nascita, per alcuni è il 1267 per altri è il 1276, per poi barcamenarsi tra date e spostamenti documentati per lo più dalla biografia stilata qualche secolo dopo dal Vasari nel suo “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”.
Dal trattato ne esce un personaggio dai tratti leggendari, che non spiccava per la sua bellezza, anzi, ma senza dubbio eccelleva nella pittura tanto da catturare l’attenzione di Cimabue mentre disegnava una pecora su una roccia: “Onde, andando un giorno Cimabue per sue bisogne da Fiorenza a Vespignano, trovò Giotto che, mentre le sue pecore pascevano, sopra una lastra piana e pulita con un sasso un poco appuntato ritraeva una pecora di naturale, senza avere imparato modo nessuno di ciò fare da altri che dalla natura; per che fermatosi Cimabue tutto maraviglioso, lo domandò se voleva andar a star seco.”
La narrazione di questa vicenda è tratta probabilmente dai “Commentari” del Ghiberti, nel quale raccontava la vicenda con simili parole, ma nonostante la credibilità dei due scrittori nessuna versione può essere considerata attendibile, poiché non confutata in nessun modo oltre che basata molto probabilmente su racconti popolari.
Dunque arriviamo all’avvenimento in questione, il mito per eccellenza, intriso di ribellione e follia come piace a noi. Di seguito la storia legata al fantastico “cerchio perfetto” così come l’ha raccontata Giorgio Vasari:
“[…] papa Benedetto IX da Trevisi mandasse in Toscana un suo cortigiano, a vedere che uomo fusse Giotto e quali fussero l’opere sue, avendo disegnato far in S. Piero alcune pitture. Il quale cortigiano venendo per veder Giotto, e intendere che altri maestri fussero in Firenze eccellenti nella pittura e nel musaico, parlò in Siena a molti maestri. Poi avuti disegni da loro, venne a Firenze, e andato una mattina in bottega di Giotto che lavorava, gli espose la mente del Papa e in che modo si voleva valere dell’opera sua, et in ultimo gli chiese un poco di disegno per mandarlo a Sua Santità. Giotto, che garbatissimo era, prese un foglio, et in quello con un pennello tinto di rosso, fermato il braccio al fianco per farne compasso e girato la mano, fece un tondo sì pari di sesto e di profilo, che fu a vederlo una maraviglia. Ciò fatto, ghignando, disse al cortigiano: “Eccovi il disegno”. Colui come beffato disse: “Ho io avere altro disegno che questo?”. “Assai e pur troppo è questo”, rispose Giotto, “mandatelo insieme con gli altri, e vedrete se sarà conosciuto.” Il mandato, vedendo non potere altro avere, si partì da lui assai male sodisfatto, dubitando non essere ucellato. Tuttavia mandando al Papa gli altri disegni e i nomi di chi li aveva fatti, mandò anco quel di Giotto, raccontando il modo che aveva tenuto nel fare il suo tondo senza muovere il braccio e senza seste. Onde il Papa e molti cortigiani intendenti conobbero per ciò quanto Giotto avanzasse d’eccellenza tutti gli altri pittori del suo tempo. Divolgatasi poi questa cosa, ne nacque il proverbio che ancora è in uso dirsi agli uomini di grossa pasta: “Tu sei più tondo che l’O di Giotto”: il qual proverbio non solo per lo caso donde nacque si può dir bello, ma molto più per lo suo significato, che consiste nell’ambiguo, pigliandosi “tondo” in Toscana, oltre alla figura circolare perfetta, per tardità e grossezza d’ingegno.”
Geniale, un racconto conturbante di un’artista che si ribella al formalismo, sprezzante e pronto a gettare in faccia al messo papale un “cerchio”, correndo il rischio di essere incompreso e punito per una tale ingiuria. Ma sarà vero?
Partiamo dal racconto vasariano e cominciamo una prima analisi: l’occhio si ferma sul papa che avrebbe commissionato le opere romane di Giotto, ovvero “Benedetto IX”, a detta dell’autore aretino. Improbabile, a partire dal fatto che il papa citato appartiene ad un altro secolo, l’undicesimo: ma in questo caso probabilmente si tratta di una semplice inversione di cifre, o di un errore di stampa moderno, dunque diciamo che si riferiva senza dubbio a “Benedetto XI”, temporalmente possibile e vicino a Giotto: anche in questo caso però i dati non confutano la tesi, portando a credere piuttosto che fu il suo predecessore, Bonifacio VIII a portare il pittore a Roma. I documenti, oltre al ritratto del papa stesso in san Giovanni in Laterano realizzato da Giotto, fanno credere che il Vasari pecca di imprecisione per via delle fonti sbagliate.
E’ dunque da considerare possibile, anzi molto probabile ahimè, che oltre ai dettagli del racconto anche il cuore della vicenda sia pieno di falle se non addirittura infondato. Dolente però dover rinnegare a Giotto quel gesto eversivo, rivoluzionario e terribilmente ribelle. E pensare che i toscani gli avevano persino dedicato un proverbio: “Tu sei più tondo della O di Giotto”.
Le altre uscite della collana:
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La leggenda fa l’uomo eterno – Giotto
Questa serie di articoli si propone di indagare su avvenimenti legati ad alcune personalità a dir poco controverse e avvolte da un alone di mistero: molto spesso i motivi che conducono ad imprecise analisi “leggendarie” sono legati all’eccessiva distanza temporale del personaggio in questione la quale non ci permette di recuperare una quantità di informazioni sufficienti per ricostruire la storia, o per carenza di notizie a riguardo dell’indagato.
Chi per un motivo o chi per un altro sono tutti accomunati da questo legame immaginario, dal filo conduttore che è l’eternità e che conferisce all’uomo un aspetto leggendario, spogliato dei difetti umani che avrà sicuramente posseduto, a volte anche in grande quantità.
Ma le leggende non sempre sono vere, e quando si mischiano nel calderone della storia e delle dicerie popolari è impresa ardua ripescare con il mestolo della sapienza la realtà e non la letteratura.
L’intento della rubrica non è dunque di smontare miti e leggende, poiché spesso sono ciò che muove un interesse nei confronti di un autore rispetto ad un altro, ma di svelare e approfondire alcuni retroscena di aneddoti legati ad un artista, con fare voyeuristico, spiando da dietro la tenda della storia.
Giotto è uno dei pittori italiani più importanti e conosciuti al mondo, ma di lui e della sua vita non si sa moltissimo in realtà: le discussioni iniziano già sulla data di nascita, per alcuni è il 1267 per altri è il 1276, per poi barcamenarsi tra date e spostamenti documentati per lo più dalla biografia stilata qualche secolo dopo dal Vasari nel suo “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”.
Dal trattato ne esce un personaggio dai tratti leggendari, che non spiccava per la sua bellezza, anzi, ma senza dubbio eccelleva nella pittura tanto da catturare l’attenzione di Cimabue mentre disegnava una pecora su una roccia: “Onde, andando un giorno Cimabue per sue bisogne da Fiorenza a Vespignano, trovò Giotto che, mentre le sue pecore pascevano, sopra una lastra piana e pulita con un sasso un poco appuntato ritraeva una pecora di naturale, senza avere imparato modo nessuno di ciò fare da altri che dalla natura; per che fermatosi Cimabue tutto maraviglioso, lo domandò se voleva andar a star seco.”
La narrazione di questa vicenda è tratta probabilmente dai “Commentari” del Ghiberti, nel quale raccontava la vicenda con simili parole, ma nonostante la credibilità dei due scrittori nessuna versione può essere considerata attendibile, poiché non confutata in nessun modo oltre che basata molto probabilmente su racconti popolari.
Dunque arriviamo all’avvenimento in questione, il mito per eccellenza, intriso di ribellione e follia come piace a noi. Di seguito la storia legata al fantastico “cerchio perfetto” così come l’ha raccontata Giorgio Vasari:
“[…] papa Benedetto IX da Trevisi mandasse in Toscana un suo cortigiano, a vedere che uomo fusse Giotto e quali fussero l’opere sue, avendo disegnato far in S. Piero alcune pitture. Il quale cortigiano venendo per veder Giotto, e intendere che altri maestri fussero in Firenze eccellenti nella pittura e nel musaico, parlò in Siena a molti maestri. Poi avuti disegni da loro, venne a Firenze, e andato una mattina in bottega di Giotto che lavorava, gli espose la mente del Papa e in che modo si voleva valere dell’opera sua, et in ultimo gli chiese un poco di disegno per mandarlo a Sua Santità. Giotto, che garbatissimo era, prese un foglio, et in quello con un pennello tinto di rosso, fermato il braccio al fianco per farne compasso e girato la mano, fece un tondo sì pari di sesto e di profilo, che fu a vederlo una maraviglia. Ciò fatto, ghignando, disse al cortigiano: “Eccovi il disegno”. Colui come beffato disse: “Ho io avere altro disegno che questo?”. “Assai e pur troppo è questo”, rispose Giotto, “mandatelo insieme con gli altri, e vedrete se sarà conosciuto.” Il mandato, vedendo non potere altro avere, si partì da lui assai male sodisfatto, dubitando non essere ucellato. Tuttavia mandando al Papa gli altri disegni e i nomi di chi li aveva fatti, mandò anco quel di Giotto, raccontando il modo che aveva tenuto nel fare il suo tondo senza muovere il braccio e senza seste. Onde il Papa e molti cortigiani intendenti conobbero per ciò quanto Giotto avanzasse d’eccellenza tutti gli altri pittori del suo tempo. Divolgatasi poi questa cosa, ne nacque il proverbio che ancora è in uso dirsi agli uomini di grossa pasta: “Tu sei più tondo che l’O di Giotto”: il qual proverbio non solo per lo caso donde nacque si può dir bello, ma molto più per lo suo significato, che consiste nell’ambiguo, pigliandosi “tondo” in Toscana, oltre alla figura circolare perfetta, per tardità e grossezza d’ingegno.”
Geniale, un racconto conturbante di un’artista che si ribella al formalismo, sprezzante e pronto a gettare in faccia al messo papale un “cerchio”, correndo il rischio di essere incompreso e punito per una tale ingiuria. Ma sarà vero?
Partiamo dal racconto vasariano e cominciamo una prima analisi: l’occhio si ferma sul papa che avrebbe commissionato le opere romane di Giotto, ovvero “Benedetto IX”, a detta dell’autore aretino. Improbabile, a partire dal fatto che il papa citato appartiene ad un altro secolo, l’undicesimo: ma in questo caso probabilmente si tratta di una semplice inversione di cifre, o di un errore di stampa moderno, dunque diciamo che si riferiva senza dubbio a “Benedetto XI”, temporalmente possibile e vicino a Giotto: anche in questo caso però i dati non confutano la tesi, portando a credere piuttosto che fu il suo predecessore, Bonifacio VIII a portare il pittore a Roma. I documenti, oltre al ritratto del papa stesso in san Giovanni in Laterano realizzato da Giotto, fanno credere che il Vasari pecca di imprecisione per via delle fonti sbagliate.
E’ dunque da considerare possibile, anzi molto probabile ahimè, che oltre ai dettagli del racconto anche il cuore della vicenda sia pieno di falle se non addirittura infondato. Dolente però dover rinnegare a Giotto quel gesto eversivo, rivoluzionario e terribilmente ribelle. E pensare che i toscani gli avevano persino dedicato un proverbio: “Tu sei più tondo della O di Giotto”.
Le altre uscite della collana:
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