Giuseppe Arcimboldo, Il fuoco, 1566.

Genesi dell’alternativa letteraria italiana: Iacopone da Todi e Cecco Angiolieri

Nella storia della letteratura italiana l’alternativa nasce e si sviluppa nel segno del comico, componente che troviamo in colui che può essere considerato non solo il più grande poeta alternativo del XIII secolo, ma uno dei più grandi poeti alternativi di sempre, il frate ribelle Iacopone da Todi [1], e in quel nucleo di rimatori raccolti sotto l’etichetta di comico-parodici appunto, e che ha nel rissoso Cecco Angiolieri il suo più noto e tristemente volgarizzato esponente. Quanto il comico possa essere alternativo lo spiega efficacemente Muzzioli: «L’alterità del comico appare subito in modo evidente: è l’altra parte dei generi seri, quelli tutti compresi nella loro funzione educativa, che piove dall’alto, col viso e l’abito di circostanza, se non con gravità monumentale. Il riso del comico rovina il rito, ne abbassa il tenore e ne mostra il vuoto con un gesto insubordinato e imprevisto. Nei generi seri tutto si svolge nella testa, o meglio nella sede della ragione assennata e morale; nel comico a muoversi è invece la pancia, ci sono le contrazioni e i sussulti peristaltici del riso, che può essere contagioso e addirittura inarrestabile, quando esplode contro la stessa volontà di trattenerlo e quando non si riesce a fermare, finché non coincide con quello che dovrebbe essere il suo opposto, le lacrime. I generi seri sono spiritualisti e aspirano ad essere considerati superiori in virtù del valore estetico; il comico è materialista e realista, se ne infischia degli inestetismi. Il comico muove il basso del corpo, e muove verso il basso anche come tematica» [2].

Il componimento di Iacopone che meglio di ogni altro dimostra la sua vocazione comica e dunque alternativa è senza dubbio O Segnor, per cortesia [3]. Si tratta in sostanza di una preghiera ironica, per il suo effetto paradossale, ma anche della parodia di una preghiera, per il crollo verticale dalle vette dello Spirito al livello volgare e materiale [4]: mentre gli uomini si rivolgono a Dio per ottenere la salute, la salvezza eterna e lasciare un buon ricordo di sé dopo la morte, Iacopone prega il Signore di addossargli le malattie più orribili, nauseanti e di martoriarlo dopo l’inevitabile dipartita. Emblematica la quartina in cui il frate invoca come sepoltura il ventre di un lupo che lo abbia divorato, cosicché le sue reliquie siano ciò che la bestia avrà defecato:

Aleggome en sepoltura
un ventre de lupo en voratura,
e l’arliquie en cacatura
en espineta e rogaria (59-62).

Questi pochi versi bastano a comprendere l’utilizzo ironico, irriverentemente ironico della parola «cortesia», attraverso il quale, già al primo verso, Iacopone rovescia tutti i parametri, le convenzioni socio-culturali dominanti nella seconda metà del Duecento.

La stessa operazione di rovesciamento è attuata sistematicamente da Cecco Angiolieri, il quale, sempre attraverso il ricorso all’ironia e alla parodia, capovolge i valori della grande poesia stilnovistica, sublimando, idealizzando ciò che vi è di più basso e materiale nella vita di un uomo. È quanto accade, ad esempio, nel sonetto Tre cose solamente m’ènno in grado, dove il poeta esalta la «donna» – ma in quanto femmina, in quanto oggetto del desiderio sessuale -, la «taverna» e il «dado», rimproverando il padre di non fornirgli i quattrini necessari a saziare le proprie immorali brame.

Ma il componimento più celebre di Cecco Angiolieri è S’i’ fosse fuoco, ardereï ‘l mondo, uno dei testi più irriverenti della storia della letteratura italiana, in cui il poeta si scaglia con veemenza contro il mondo intero, in un potente inno di dissenso che Cecco stesso non manca di ridicolizzare nelle ultime terzine, smorzando il tono rabbioso, vendicativo e ammiccando con bonaria ingenuità:

S’i’ fosse fuoco, ardereï ’l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo;

s’i’ fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristïani imbrigarei;
s’i’ fosse ’mperator, ben lo farei:
a tutti tagliarei lo capo a tondo.

S’i’ fosse morte, andarei a mi’ padre;
s’i’ fosse vita, non starei con lui:
similemente faria da mi’ madre.

S’i’ fosse Cecco, com’ i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zop[p]e e vecchie lasserei altrui.

NOTE

[1] Per un approfondimento sulla figura di Iacopone da Todi rimando all’articolo Jacopone da Todi – Il frate ribelle.

[2] Francesco Muzzioli, Piccolo dizionario dell’alternativa letteraria, ABEditore, Milano 2014, p. 53.

[3] Per una lettura e un’analisi del componimento rimando all’articolo Jacopone da Todi – O Segnor, per cortesia.

[4] Francesco Muzzioli, Piccolo dizionario dell’alternativa letteraria, op. cit., p. 60.

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