Alone Together I (part.), Aristotle Roufanis ©

Alone Together: la fotografia post-hopperiana di Roufanis.

Alone Together è il progetto a cui Aristotle Roufanis, fotografo greco ora di stanza a Londra, sta tutt’ora dedicandosi. Chiunque si prenda la briga di seguirlo sul suo sito web, o ancora meglio sul suo profilo Instagram, comparteciperebbe della piacevole esperienza di veder nascere le sue fotografie. Le sue foto nascono. Nella dimensione tutta verticalmente scorrevole dell’era digitale, queste fotografie interrompono per un istante il costante flusso anodino dell’immagine continua. Intervengono nel tempo, lo interrompono poiché sono nate e vivono del racconto di un tempo altro. Intimo, forse. Silenzioso, sospeso, è certo.

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Larghi frammenti di una visione distante, onnicomprensiva ed algida: ciò che vediamo è, per ammissione dello stesso fotografo, solo raramente riconoscibile. Eppure non manca mai troppo al momento del riconoscimento del pennacchio della Tour Eiffel, di un angolo di Central Park. Solo ecco, questo è il momento successivo, quello in cui la visione è già inoltrata.

Siamo ora sospesi nella notte, momento prediletto e unica condizione necessaria di questo progetto fotografico. Avvertiamo la vibrazione del silenzio, quello che meglio conoscono i fumatori incalliti e i viaggiatori ostinati. Brani di città, di vaste metropoli, davanti ai nostri occhi.
In ordine casuale, casuali solitudini si svelano come in un luminescente alveare post-umano, eppure sembra trasparire una strana delicatezza. Luci isolate lì a farsi eco, una finestra dopo l’altra, membri di un’orchestra di cui il Maestro ha per occhi metropoli e otturatore.
Ogni qualvolta l’obiettivo fotografico si posa su un lacerto di questa visione, possiamo scorgere l’essenza filtrata di un uomo che legge, piedi in attesa di un caffè, busti a riposo, schiene che attendono.
Più grande la città, maggiore la solitudine”, dice Aristotle Roufanis. E non ha tutti i torti, ovviamente. Sarebbe facile dire (e vi assicuro che lo è) che il più grande merito di questa serie fotografica stia nel saper efficacemente rappresentare la condizione dell’individuo a tratti alienato al seno della nostra (nostra?) società contemporanea: in questo riesce splendidamente. Eppure rimane lì quella strana delicatezza, sospesa.
Qui sta la vera abilità del fotografo. La solitudine cui l’uomo è chiamato ad adempiere nella grande macchina della metropoli non è necessariamente una condizione di irreparabile disperazione.
Se su questa società pende una condanna, è quella al pensiero dualistico.

Dietro un’idea solo apparentemente semplice si nasconde la pervicacia di una tecnica di lavorazione tutt’altro che intuitiva o veloce: ogni fotografia è infatti figlia di un incessante lavoro di pulizia digitale dell’atmosfera cittadina e di una riconsiderazione delle luci artificiali e naturali. Le finestre, la luna: vocabolario basilare di ogni romanzo riuscito quel tanto che basta.
Grazie a questo procedimento i nostri occhi possono fermarsi e percorrere il campo in un tempo sospeso. Ed è grazie a questo che Roufanis ci racconta di come non esista una solitudine che sia totale e incontrovertibile: anche nell’ora più silenziosa della notte molti altri, eguali a noi e unici nelle proprie differenze, sono soli tanto quanto noi. Solo, non sono così lontani come a noi sembra di sentire: questo è il capovolgimento apportato dall’artista. Alone Together, appunto. Soli, tutti insieme, figli della metropoli che non riusciamo mai ad abbracciare e cogliere nel suo insieme. Che ci accontentiamo di percorrere, talvolta consumati dal desiderio di possederla, per poi accontentarci di sentirci semplicemente accolti, non ora, magari un giorno.

Guardiamo tutti altrove, prima o poi. Guardiamo fuori, cercando nella città un attimo di vacuità che abbia senso. E sarebbe bene ricordare, di tanto in tanto, che se c’è un pittore che ha sovvertito la dinamica finale dello sguardo all’interno dello spazio figurativo della tela, questo è Edward Hopper.
Come fece a suo tempo notare il critico e letterato Yves Bonnefoy, è difficile farci venire alla mente un dipinto di Hopper in cui il soggetto ritratto non guardi fuori il limite della tela, altrove da noi e dallo spazio di cui è circondato. È questo uno degli elementi che più rende la produzione di Hopper unica, funzionando su un livello sotteso nella psicologia della visione.

Sembra che il Pittore e il Fotografo stiano raccontando, a quasi un secolo di distanza, una storia estremamente simile. O meglio, stiano osservando una sensazione simile. Quelle che in Hopper erano figure isolate, che guardavano di là di loro stessi inseguendosi idealmente di tela in tela, ora Roufanis sembra le stia unendo.
Alone, but Together.

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Articolo a cura di Marco Zindato.

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