Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte VI

Arrivati nel 1874, anno della prima esposizione impressionista nello studio del fotografo Nadar, va detto che la pittura si presenta come principale arte che si può realmente definire di “avanguardia”, poiché ha ufficialmente detronizzato la letteratura e la poesia. Non è allora che inizia però l’avventura impressionista, ma probabilmente una ventina di anni prima, ma è in quel momento che viene presentata al pubblico parigino, e che continuerà a far parlare di se fino al 1886, anno dell’ultima esposizione. In tutto questo periodo gli sforzi da parte degli aderenti al movimento furono numerosi per farsi accettare dai contemporanei, ma quasi sempre vani. Da una parte il popolo non poteva capire la grande rivoluzione che si andava attuando, anzi spesso si sentiva preso in giro da un’arte che considerava irrisoria, dall’altra una borghesia, forse inetta e facile, che però in realtà non aveva grandi motivi per non accogliere il nuovo stile, aristocratico in fin dei conti, fatto di ricerca estetica, amante del raro, epicureo, che apparentemente ben si sposava con la classe borghese.

Una caratteristica insita dunque nei pittori facenti parte al movimento è una sorta di estraniamento, non totale, ma sicuramente maggiore rispetto alle generazioni precedenti, che sfocia da un’anaffezione da parte della maggior parte degli artisti all’aspetto sociale dell’arte. In effetti è la conseguenza aspettata per una politica deludente, un susseguirsi di sconfitte concluse con una sbiadita Terza Repubblica che in fin dei conti non proclamava vinti e vincitori, ma solo sconfitti. Ovviamente non mancano le eccezioni, ad esempio Pissarro è decisamente socialista, crede fortemente nella causa, ma ciò non toglie che dalle sue opere non traspare nessuna fede politica, nessun impegno sociale, nonostante le sue tele abbiano un impulso rivoluzionario come quelle di tutti gli Impressionisti.

Claude Monet, Autoritratto, 1886

E’ in questo atteggiamento che forse affondano le radici dell’Espressionismo, che discende dall’en plen air della Scuola di Barbizon, ma che non ha bisogno di uscire dalla città per sentirsi intimamente soli, ma sono i primi a provare un nuovo tipo di solitudine, quella metropolitana, che solo chi è circondato da sconosciuti può provare. E’ l’unione di due sensazioni fortemente cittadine alla base dell’Impressionismo, ovvero la sensazione di solitudine, di passare inosservati tra le grandi masse, e il veloce traffico umano, il moto perpetuo dell’uomo che genere sentimenti e impressioni, è il compimento di una parabola che unisce le sensazioni più intime e personali al susseguirsi veloce delle sensazioni.

Di quest’impulso ne sono i migliori esponenti sicuramente Claude Monet e Auguste Renoir, seppure con tecniche e stili molto differenti. Il primo è forse colui che più di ogni altro scopre la pittura di paesaggio in città: dipinge in diverse versioni e a diverse ore del giorno la Gare Saint-Lazare, una stazione ferroviaria affollata e confusa dal fumo provocato dalle locomotive che ingombrano i binari, emblema della rinnovata velocità della vita a discapito di una solitudine assistita. E’ il simbolo, l’apice del pensiero. Renoir invece si muove su binari differenti, per quanto è da considerarsi tra i fondatori dell’Impressionismo dato che insieme a Monet sul finire degli anni ’60 girava per le rive della Senna con il cavalletto sotto braccio deciso a rompere con la pittura accademica. Ma fu anche tra i primi ad abbandonare la causa, già nel 1878 infatti si distacco dagli impressionisti, intraprendendo una via del tutto personale, cercando i consensi dei Salon ufficiali che pochi anni prima lo avevano scansato. Ma non va giudicata come una forma di astensionismo da parte sua, bensì come una protesta contro quel mondo che tendeva sempre di più ad una meccanicizzazione del lavoro, a discapito delle discipline manuali che iniziavano a perdere valore di scambio. E’ nel potere dell’artigiano, quale era Renoir, che giace la chiave della sua protesta, della tecnica appresa sul campo analizzando e studiando i maestri del passato.

Pierre-Auguste Renoir, Pont Neuf, 1872

E’ il seme di un sentimento che si va man mano instaurando nella nuova generazione di pittori, quello dell’avversione nei confronti della tecnologia, le industrie e l’abbandono delle campagne. Ben presto cambierà ancora l’atteggiamento nei confronti dell’arte, che per gli impressionisti era un’astrazione quasi totale da messaggi sociali, cosa che invece muterà profondamente negli anni a venire, a partire da van Gogh e Gauguin. Con il loro contributo si arriverà ad una fase successiva dell’Impressionismo, nonostante camminassero su due sentieri abbastanza differenti, ma entrambi uniti da una nuova introspezione.

Bibliografia:
Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte, Einaudi, 1964
Giulio Carlo Argan, L’arte moderna 1770-1970, Sansoni, 1970
Carlo Bordoni, Introduzione alla Sociologia dell’arte, Liguori, 2008

Link alle altre uscite

Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte I
Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte II
Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte III
Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte IV
Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte V
Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte VI
Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte VII
Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte VIII
Storia sociale dell’arte nella Francia del XIX secolo – Parte IX

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