Hollywood e la portentosa industria cinematografica guidata da George Clooney negli ultimi anni ci hanno ricordato come e quanto gli Stati Uniti hanno fatto per salvare alcune opere d’arte che altrimenti sarebbero andate perdute o disperse durante la seconda guerra mondiale, sottraendole così alle grinfie dei gerarchi nazisti. “Monuments men”, film del 2014, testimonia l’importanza degli uomini che hanno compiuto queste imprese eroiche, dei veri e propri dioscuri della cultura europea: ma in che parte l’iceberg galleggia sull’acqua, è visibili e stimabile? Minima se si pensa all’incredibile numero di opere andato disperse, distrutte e bandite come “arte degenerata”.
Nell’ottobre del 1936 ebbe inizio una minuziosa ricerca, voluta dal ministro della Propaganda nazista Goebbels che istituì qualche anno prima un’apposita commissione, destinata a selezionare una serie di opere d’arte definite “degenerate” e dunque non degne di essere esposte, realizzate o anche solo commerciate nella Germania nazionalsocialista. Ovviamente gli artisti più colpiti furono ebrei, ma quello che il regime aveva richiesto e voleva ottenere era una vera e propria pulizia etnica anche nel mondo dell’arte.

Passarono al setaccio migliaia di opere, molte delle quali di artisti di fama internazionale, colpendo senza mezze misure gran parte dei movimenti contemporanei: dal cubismo all’espressionismo, dal dadaismo all’astrattismo, nessun opera poté più essere esposta. La raccolta che accumularono negli anni finì il più delle volte saccheggiata, paradossalmente, dagli stessi gerarchi nazisti che con la stessa veemenza premevano per distruggerla. Quando andava peggio, come nel famoso caso della caserma dei pompieri a Berlino nel 1939, venivano bruciate con dei roghi intimidatori.
Di 16 mila opere requisite, circa 650 vennero esposte nella grande mostra, intitolata appunto “Arte degenerata”. Parallelamente venne allestita anche un altra esposizione dedicata all’arte ariana, la cosiddetta “arte giusta” non viziata da malformazioni mentali, mancanze psichiche o quant’altro. Tornando alla prima, il trattamento fu dei peggiori ovviamente: sale mal allestite, quadri appesi senza cornici e in totale assenza di indicazioni che, quando c’erano, spiegavano perché gli autori delle opere erano da considerarsi malati mentali. La mostra ebbe un successo di pubblico inaspettato, cosicché venne deciso di renderla itinerante per umiliare e rendere chiaro cosa volesse dire arte degenerata.
Tra gli artisti colpiti ricordiamo Picasso, Van Gogh, Gauguin, Munch, Chagall, Kokoschka, Klee, Kandinsky, Beckmann, Ernst, Mondrian, Libermann e Kirchner, ma non solo. Molti di loro subirono violente ripercussioni, Kirchner ad esempio venne privato di oltre 600 opere, e gli fu impedito di realizzarne altre, trovandosi così nel 1938 costretto al suicidio. Molti di loro morirono tra atroci sofferenze nei lager nazisti dopo essere stati deportati, e con loro morirono le loro idee, le loro opere e la loro cultura. La follia tedesca non trovò quindi un dovuto appagamento dal distruggere la vita degli artisti contemporanei non graditi, ma si sentì in diritto di far sparire anche tutti i capolavori artistici non graditi.
Fortunatamente molte opere vennero successivamente recuperate, altre ancora oggi sbucano di tanto in tanto in qualche scantinato nascosto o in qualche salotto di un ricco ereditiere. Gli artisti, le persone, e le opere distrutte, quelle no, non torneranno.