Vladimir Vladimirovič Majakovskij (1893-1930), il più illustre esponente del futurismo russo, compose La guerra è dichiarata nel rovente luglio del 1914, alla notizia dello scoppio del primo conflitto mondiale.
«Edizione della sera! Della sera! Della sera!
Italia! Germania! Austria!»
E sulla piazza, lugubremente listata di nero,
si effuse un rigagnolo di sangue purpureo!
Un caffè infranse il proprio muso a sangue,
imporporato da un grido ferino:
«Il veleno del sangue nei giuochi del Reno!
I tuoni degli obici sul marmo di Roma!»
Dal cielo lacerato contro gli aculei delle baionette
gocciolavano lacrime di stelle come farina in uno staccio,
e la pietà, schiacciata dalle suole, strillava:
«Ah, lasciatemi, lasciatemi, lasciatemi!»
I generali di bronzo sullo zoccolo a faccette
supplicavano: «Sferrateci, e noi andremo!»
Scalpitavano i baci della cavalleria che prendeva commiato,
e i fanti desideravano la vittoria-assassina.
Alla città accatastata giunse mostruosa nel sogno
la voce di basso del cannone sghignazzante,
mentre da occidente cadeva rossa neve
in brandelli succosi di carne umana.
La piazza si gonfiava, una compagnia dopo l’altra,
sulla sua fronte stizzita si gonfiavano le vene.
«Aspettate, noi asciugheremo le sciabole
sulla seta delle cocottes nei viali di Vienna!»
Gli strilloni si sgolavano: «Edizione della sera!
Italia! Germania! Austria!»
E dalla notte, lugubremente listata di nero,
scorreva, scorreva un rigagnolo di sangue purpureo.
(Trad. it. di A. M. Ripellino, in Poesia straniera del Novecento, a cura di A. M. Ripellino, Garzanti, Milano 1961.)
In questo componimento il poeta, piuttosto radicale nelle forme e nello stile, accantona la caratteristica e propriamente avanguardista demolizione del linguaggio tradizionale, in favore di penetranti immagini allusive che si rincorrono numerose, donando ai versi una straordinaria efficacia. Versi inoltre attraversati da una elettrizzante tensione politico-sociale che svela già quello slancio, quell’impeto rivoluzionario a cui Majakovskij aderirà nel 1917.
Leggendo la poesia emerge con evidenza tutta la distanza che separa l’autore russo dai colleghi futuristi italiani. A differenza di questi, che si gettano a capofitto con sconfinato giubilo nella tragedia bellica, Majakovskij si discosta dalla guerra, condannandola in quanto vicenda del tutto contrastante con la solidarietà umana e con i reali bisogni della popolazione. Secondo il poeta russo infatti, il conflitto non è che un “capriccio” di quelle classi agiate legate al passato, che perseguono solamente i loro interessi e non quelli della collettività.
Il componimento è caratterizzato da una pregevole alternanza tra intensa tragicità, sottile e tagliente umorismo ed autentico e sentito dolore. Una miriade di analogie abbaglianti e palpitanti si incalzano in un ritmo eccezionalmente sostenuto, ossessivo, dando vita ad una forza visiva, e fisicamente concreta, che colpisce, quasi stordisce il lettore, trascinandolo con veemenza nel “bel” mezzo del dramma, anche grazie ad immagini cruente («mentre da occidente cadeva rossa neve / in brandelli succosi di carne umana», vv. 19-20).
Lo sguardo inquieto di Majakovskij, che potete ammirare nello splendido scatto posto in copertina, scruta la realtà, osserva le sanguinose vicende storiche che segnano il mondo ed opera una cronaca in versi. Una cronaca poetica originale, notevole e vigorosa, come del resto l’intera produzione del geniale autore russo, animo proletario, rivoluzionario, irrequieto, che la musa Lilja Brik descrisse così: «Se non avesse esasperato tutto non sarebbe stato un poeta. Sentiva e viveva con forza iperbolica: amore, devozione, amicizia. Non si apriva facilmente, ma era calmo e tenero. Era infelice. Solo nei primi anni della rivoluzione visse con furore e lietamente, ma non sapeva accettare il declino, non sapeva rassegnarsi all’idea che la giovinezza è un attimo, e che il futuro è spesso mediocre.»