Jules Breton, la nobiltà contadina

Le mani sporche di terra di chi ha raccolto il proprio pasto da sé per una vita, con la schiena piegata scavando e zappando, con i solchi neri e profondi come fiumi che gli attraversano i piedi, scalzi ovviamente, come quando attraversavano i campi finché la luce lo permette: un’immagine nitida e dura, come i contadini di Millet, il quale ci ha regalato un ritratto impietoso ma al tempo stesso pieno di dignità, dedicato a coloro i quali portavano addosso il peso della vita, a volte rimanendone schiacciati.

I contadini di Breton  però non hanno difetti fisici e non sembrano poveri e usurati dal tempo e dal lavoro, bensì appaiono belli e raggianti anche dopo una giornata di lavoro, delle semi-divinità di ritorno dall’olimpo della vita. E’ questo che rende incredibili le sue opere, la contrapposizione tra un ambiente duramente reale all’onirica figura contadina.

Jules Breton, Shepherd’s Star, 1887

Il pittore francese, di origini umili, non ha mai nascosto le sue simpatie per il mondo contadino. Il suo successo, arricchito da onorificenze ufficiali, è dettato dalla formazione classica acquisita in ambiti accademici: viceversa chi frequentava ambienti rivoluzionari non solo non veniva nemmeno ammesso ai Salon, dove Breton faceva razzie di premi e denaro, ma era spesso portato ad avere risentimenti verso quella pittura che venne considerata sempre di cattivo gusto perché guidata dal gusto comune per il vacuo, vista come una moda e non come uno stile.

Zola fu tra i primi a muovere pesanti accuse di servilismo e immeritato successo a Breton, sfociando a volte anche in digressioni personali che poco centravano con le qualità artistiche del pittore e poeta francese: nelle sue “Lettres de Paris : L’ école française de peinture à l’exposition de 1878” ammetterà che “In una revisione completa della moderna scuola di pittura francese, non si può escludere Jules Breton nel numero di pittori da prendere in considerazione” oltre ad aggiungere che “Jules Breton ha raggiunto il successo dipingendo un’ideale di vita contadina. Le sue donne, nonostante siano vestite con panni ruvidi, hanno l’aspetto di dee.” Ed infine colpisce con l’invettiva personale: “La folla approva e lo chiama “avere stile”. Ma è tutta una menzogna e nulla più. Io preferisco le contadine di Courbet, non solo perché sono meglio disegnate dal punto di vista tecnico, ma anche perché sono più vicine alla realtà. Si noti che Jules Breton è osannato e apprezzato dal 1855, innaffiato da una pioggia di medaglie e croci, mentre Courbet morì in esilio, inseguito da ufficiali giudiziari che il governo francese aveva messo sulle sue tracce.”

 

Eppure contrariamente agli atteggiamenti critici di Zola e Baudelaire, successivamente in suo soccorso si mosse persino van Gogh, che in Breton vide un maestro. In occasione di una lettera al fratello Theo, affermò senza mezzi termini il suo amore per la pittura dell’artista francese, capace di descrivere “Ancor più e meglio, in tono più nobile, più degno, se mi è consentito dire più evangelico, nei quali troviamo ugualmente la perla preziosa, l’anima umana, messa in evidenza in Breton e Millet.” 

Van Gogh nel 1880 tenterà di conoscerlo recandosi in pellegrinaggio alla sua abitazione dopo aver percorso 85 miglia a piedi, all’alba della sua vocazione artistica, poiché estasiato dalla scelta anti-tradizionalista dei suoi soggetti.

Critiche o apprezzamenti, lasciamo a voi il compito di scegliere se questo artista vi apparterrà, il nostro personale punto di vista è che traspare la viscerale venerazione che Breton aveva verso l’umile contadino, tanto nobile da vincere, nelle sue opere, l’usura di una vita di sacrifici e di lavoro, arrivando all’appuntamento con il tempo mostrando il proprio volto segreto, di divinità spezzate.

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