Il romanzo si apre con una Dedica, nella quale il poeta si rivolge all’amata con il tanto ricercato Tu, a dimostrazione che l’anima del poeta ha finalmente trovato la propria interlocutrice ideale, favorita.
Il nucleo narrativo del capitolo primo è costituito dal sogno di Enrico. Esso allude al percorso che attende il protagonista, e permette di inquadrare la vicenda nella cornice iniziatica.
Nel capitolo successivo assistiamo alla preparazione del viaggio che Enrico compierà con la madre alla volta di Augusta, dove si trova il nonno materno. Il risveglio dal sonno non è un mero ritorno alla realtà, bensì un’attesa, l’attesa di una trasfigurazione del mondo, trasfigurazione che è però silenziosamente già in cammino [2]. Tale cammino corrisponde all’avvicinamento di Enrico alla poesia. Iniziato il viaggio, egli sperimenta il sentimento dell’estraneazione, quel sentimento che conduce l’uomo nelle profondità più recondite di se stesso. Nel colloquio con i mercanti, che accompagnano Enrico durante il viaggio, emerge il ruolo prefigurato del poeta, ossia quello di risvegliare tramite l’arte della parola quell’ordine supremo celato all’uomo comune, che senza il creatore di versi, non ne verrebbe a conoscenza.
La storia narrata dai mercanti nel capitolo terzo, offre un’ulteriore chiave di lettura sul ruolo del poeta, e dunque di Enrico, possibile fondatore di una civiltà nuova, rinnovata. Dalla storia raccontata dai commercianti emerge una delle fondamentali equazioni romantiche, essendo ambientata ad Atlantide: Oriente = natura = poesia = femminilità [3].
Possiamo considerare i capitoli quarto e quinto come un unico blocco narrativo. In quattro episodi descrivono il viaggio di Enrico, ed i suoi incontri con personaggi dall’alto valore simbolico. Anche attraverso la conoscenza di queste figure, si infittisce il cammino alla volta del proprio io da parte del protagonista. Egli, dapprima esaltato da una visione guerresca dell’esistenza, ispirata dall’incontro con i Cavalieri, riconosce la tragicità della guerra facendo la conoscenza dell’orientale Zulima, sofferente a causa degli inarrestabili conflitti che da sempre dilaniano la sua terra d’origine, la Terra Santa. Conoscendo Zulima, Enrico riconosce l’alterità come propria interiorità [4]. Successivamente il protagonista si imbatte nel minatore, con il quale esplora le profondità delle caverne (ancora un chiaro riferimento alla scoperta della propria interiorità), e l’eremita, tra i cui libri che possiede, scopre quello contenente la sua storia.
I capitoli che vanno dal sesto al nono, insieme con l’inizio della seconda parte del romanzo, Il chiostro ossia l’atrio, sono connessi da una omogeneità tematica: al loro interno compaiono pochi personaggi – essenzialmente due, Klingsohr e sua figlia Mathilde – e la policroma fiaba che lo stesso Klingsohr racconta ad Enrico. Dal capitolo sesto il lettore capisce che qualcosa di profondo è avvenuto. I poeti sono ormai dipinti come anime dall’essenza contemplativa, contrapposti ai cosiddetti uomini attivi. Scopriamo a questo punto che, fin dall’inizio, Enrico era per natura poeta. Il protagonista scopre la sua primavera. La rinascita è completata, mediata dall’imponente figura di Klinsohr, anch’esso poeta, e dall’amore istantaneo per la sua figlia, Mathilde. Il romantico ha finalmente fondato l’infinito nella finitezza trasfigurandola. La favola che racconta Klingsohr, e che occupa tutto il capitolo nono, come scrive bene Giampiero Moretti, «segna la poetica trasfigurazione del finito nella storia» [5].
Termina dunque con il viaggio di Enrico, anche il nostro viaggio. Un viaggio alla scoperta di una delle opere più splendenti del proficuo universo romantico europeo. Abbiamo tentato in queste pagine di sviscerare gli aspetti fondamentali dell’ultima, imponente fatica di Novalis, partendo dal suo rapporto conflittuale con Goethe, attraversando l’importante influenza che subì dal filosofo-mistico Böhme, e concludendo con una globale visione della vicenda che, ci auguriamo, possa rendere sufficientemente bene l’idea dell’Enrico di Ofterdingen quale opera conclusiva, e non solo cronologicamente parlando, di Novalis. Non resta altro che fare tesoro di queste nozioni, prendere di nuovo in mano l’opera e rileggerla ancora una volta, carpendo questa volta in tutta la sua straordinaria bellezza, la storia di Enrico di Oferdingen, che brilla nel firmamento dei capolavori letterari come in cielo brilla la stella della sera di Caspar David Friedrich.

[1] Opera conclusiva non nel senso cronologico del termine, ma nel senso poetico-filosofico. Novalis con questa opera giunge al termine della completa formazione di se stesso come poeta, e dunque della completa formazione di quello che secondo il suo pensiero è, e rappresenta, il poeta.
[2] Giampiero Moretti, L’estetica di Novalis, Rosenberg & Sellier, Torino 1991, p. 173.
[3] Ivi, p. 175.
[4] Ivi, p. 176.
[5] Ivi, p. 185.
Le altre parti dell’analisi: Introduzione, Novalis contra Goethe, L’influenza di Jakob Böhme nell’Enrico di Ofterdingen.